scritto da @melanie_emme

Se chiederete al lettore medio di Charlotte Brönte quale sia il suo romanzo preferito dell’autrice inglese possiamo già anticipare la sua risposta con una precisione del 99% (mi riservo un 1% nella speranza che risponda Emma o The Professor [1]). Jane Eyre è uno dei primi romanzi che si è spinti a leggere, solitamente in età tardo adolescenziale, e che in pochi istanti viene acclamato come “strepitoso”, “capolavoro della letteratura”, “femminista” o ancora “fonte di ispirazione in campo amoroso”.
Senza voler aprire una discussione sul perché il romanzo di Jane Eyre non sia affatto una novità letteraria, né tantomeno femminista, mi ha sempre colpito la risposta alla domanda «chi è la madwoma in the attic?». Di solito il silenzio aleggia come una spada di Damocle sulla testa del mio interlocutore, a volte, se sono più (s)fortunata dopo un tentennamento iniziale una timida risposta «è la moglie matta di Mr Rochester» mi getta nel più totale sconforto. Per la lettrice e la (book)persona che sono mi è impossibile non continuare a punzecchiare il mio interlocutore, e implacabile iniziano una sfilza di botta e risposte: «ma chi ha detto che è matta?» «Mr Rochester e il fratellastro, no?» «E si tratta di due narratori attendibili che non modificano mai la loro versione degli eventi o omettono particolari rilevanti?» «Oddio, non hanno sempre detto la verità, ma Mr Rochester è stato ingannato dalla moglie che è matta» «Scusa, ma Mr Rochester non ha rinchiuso la moglie in una torre con una guardiana e ha cercato contemporaneamente di sposare Jane senza dirle nulla del precedente matrimonio?»[2]. Sì, non sono pronta a mollare l’osso su Jane Eyre, perché credo che liquidare la moglie di Mr Rochester come “la donna matta nell’attico” sia limitativo sia nei confronti del personaggio e delle sue implicazioni narrative, che nei confronti della Brönte stessa.

Ad esaudire le mie richieste ci ha pensato Jean Rhys nel 1966 con un romanzo breve, ma intenso e di complicata lettura che ha dato finalmente voce a Antoinette Cosway Mason (la famosa “madwoman”). È stato definito un prequel al romanzo di Jane Eyre e vi invito a dare una possibilità a questo esperimento di letteratura postcoloniale della scrittrice dominicana e britannica, soprattutto se avete letto il libro della Brönte.

Il romanzo è diviso in tre sezioni con narratori e punti di vista multipli: la prima parte è narrata da Antoinette ed è ambientata nella sua infanzia giamaicana poco dopo l’abolizione della schiavitù nelle colonie britanniche.
La seconda parte si svolge durante la luna di miele di Antoinette e di Mr Rochester (che non viene mai direttamente nominato, per tutto il racconto lui è un “gentleman inglese”) a Granbois, nella odierna Repubblica Dominicana. Entrambi sono i narratori di questa lunga sezione che in molti punti sfuma in una visione onirica di quella che è stata la relazione tra coloni e schiavi nelle isole caraibiche.
L’ultima parte del romanzo è narrata da Antoinette – ormai ribattezzata Bertha da Mr Rochester, proprio come i coloni ribattezzavano con nomi a loro più familiari le terre conquistate – confinata nella torre di Thornfield Hall alle cure della sua guardiana/carceriera Grace Poole[3]. A questo punto della narrazione il romanzo della Rhys si ricongiunge con quello della Brönte e in un flusso di coscienza tipico del nostro secolo ci consegna una eroina ormai realmente impazzita che si lancia nelle fiamme in un atto di estrema libertà.

Il Grande Mare dei Sargassi è una lettura complicata su più livelli. Partendo da un livello puramente linguistico si tratta di una sfida al lettore e alla sua conoscenza o totale ignoranza del creolo. Ho letto il libro in lingua originale e devo dire che sono stata grata al curatore della mia edizione che si è premurato di annotare le parti in cui i personaggi utilizzavano il creolo o un patois giamaicano fornendone una traduzione. La Rhys ha, inoltre, riportato fedelmente la parlata frammentata e grammaticalmente incorretta dei personaggi di colore, creando un forte senso di verosimiglianza con quella che è la realtà multiculturale e linguistica dei Caraibi.
Per quanto riguarda la narrazione esiste una forte ambiguità in entrambi i personaggi di Antoinette e di Mr Rochester, entrambi non sono narratori fedeli, ma anzi, hanno la tendenza a omettere o a modificare gli eventi che li riguardano. Mr Rochester è l’elemento “altro” nel panorama giamaicano, è il figlio minore di un nobile inglese mandato nei Caraibi per sposare una ricca ereditiera creola e guadagnarsi una rendita per la vita.
La sua vera natura è smascherata da Christophine[4], una domestica che ha cresciuto Antoinette, che è l’unico personaggio del romanzo che si contrappone frontalmente al freddo e calcolatore Mr Rochester. Il suo racconto della storia è eurocentrico e non in armonia con il contesto delle colonie, Rochester manipola la storia e Antoinette per ottenere quello per cui è venuto e non ha problemi ad utilizzare ogni mezzo per spingere Antoinette nel baratro della disperazione più profonda.
Nel caso di Antoinette ci troviamo di fronte a una donna che subisce la violenza di essere privata di tutto ciò che possiede da un matrimonio infelice, e si rifugia nella fantasia che suo marito finalmente le darà il senso di appartenenza a una comunità a cui anela da sempre. Diviene spontaneo chiederci chi sia veramente Antoinette e come la sua figura si inserisca nel contesto socioculturale dell’epoca. Antoinette è una figura a metà, l’unione infelice di due mondi, colonizzatrice e colonizzata. Troppo bianca per essere accettata dalla comunità dominicana, e troppo creola per essere una moglie rispettata di un gentleman inglese. Antoinette è schiacciata dalla sua stessa duplicità e non sembra essere capace di comprendere l’emarginazione che entrambi i mondi le riservano. È un personaggio complesso che può essere compreso solo se messo in correlazione sia con il mondo bianco di Rochester che con il mondo degli ex schiavi di Christophine. La sua complessità non può essere liquidata nella frase “madwoman in the attic” ma dai silenzi e le mezze verità che in entrambi i romanzi circondano il personaggio di Antoninette Cosway Mason.
BONUS
Chi ha scritto questo articolo frequenta il secondo anno di Dottorato in Letteratura Inglese e ama alla follia le teorie di critica letteraria del post-colonialismo. Se volete cimentarvi con qualche pezzo critico dopo aver letto Wide Sargasso Sea di Jean Rhys vi consiglio “Sending the Younger Son Across the Wide Sargasso Sea: The New Colonizer Arrives” di Moira Ferguson, conentuto nella antologia “Postcolonial Discourses” edita da Greogory Castle (edizioni Blackwell).
Chiunque ne voglia discutere mi trova ai miei recapiti.
[1] Io personalmente ci spero non perché non mi piaccia Jane Eyre, ma perché confido sempre che si conosca più di un’opera di un autore prima di gridare al genio assoluto.
[2] Sì, Mr Rochester è il male assoluto personificato nel romanzo della Brönte e personalmente non capisco come si possano prendere le sue difese dopo quello a cui ha sottoposto sia la moglie che Jane. Ma questo è un altro argomento.
[3] L’ironia di chiamare Grace (Grazia, ma anche benedizione e clemenza) la carceriera di Antoinette è propria della Brönte e della tradizione inglese in cui si iscrive la sua opera.
[4] Del personaggio di Christophine potremmo parlare per ore senza mai esaurire gli argomenti che spiegano la sua complessa personalità e importanza nell’impianto narrativo di Il Grande Mare dei Sargassi.