articolo scritto da @attraversalibri
A più di un anno dall’uscita del suo secondo romanzo si torna a parlare della giovane dublinese Sally Rooney, classe 1991, che divide il mondo dei lettori.
Ogni generazione ha i propri miti che, amati o odiati, segnano tappe importanti nella storia di ognuno di noi.
Dopo il romanzo d’esordio Parlarne tra amici torna alla carica con un’altra storia: quella di Marianne e Connell, in Persone Normali, che attraversa gli anni del liceo per arrivare a toccare quelli universitari e tutto ciò che potrebbe esserci dopo.
Pagine più mature con uno stile inconfondibile, solo “suo”, fatto di flussi di coscienza, salti temporali e comportamenti impulsivi da parte dei protagonisti.

Ma, come dicevo, la Rooney è famosa per dividere tutti coloro che le si approcciano: se per alcuni l’inquietudine narrata appare magistrale, assolutamente rappresentativa, per altri ogni cosa sembra quasi priva di spessore e con dei personaggi al limite del sopportabile.
Ahimè, io faccio parte di questo secondo gruppo.
Avendo già letto il suo romanzo d’esordio, a dir poco irritante e facilmente dimenticabile (visto che non succede mai nulla di concreto ed interessante e dove i personaggi sembrano lasciati al caso), ho sinceramente voluto dare una seconda possibilità a questa autrice.
Durante la lettura delle prime pagine mi ero davvero ricreduta, pensavo che stavolta sarebbe andata bene…d’altronde si nota essere un’opera già più matura della precedente, con una storia che sì, è fondamentalmente banale, ma che sembra trascinarti pagina dopo pagina. Poi, però, tutto ha rallentato e non ha portato da nessuna parte.
Non riuscivo più a capirli, zero immedesimazione quando persino i dialoghi, i pensieri, sembrano buttati lì per caso senza un nesso logico.
Così Connell scappa, seppellisce ogni frase e felicità dentro di sé.
Marianne continua a sembrare quella strana stronza di ghiaccio del liceo, crede di meritare il peggio che la vita ha da offrirle e poi qualcuno scompare e arriva il fantasma della depressione. Un tema delicatissimo e affrontato meglio di tutto il resto, ecco perché è l’unica parte del libro che mi ha davvero dato qualcosa di concreto per cui piangere e da ricordare.
Altro punto a suo sfavore è la trattazione delle storie di background di entrambi: perché Marianne viene trattata in quel modo dalla sua stessa famiglia?
Perché Connell è continuamente ossessionato dall’idea di voler essere normale? È dovuto alla mancanza di una figura paterna? O c’è altro?
E un po’ di giustizia per i personaggi secondari mai? La Rooney avrebbe potuto tirar fuori qualcosa di straordinario visto che sappiamo poco o nulla e di alcuni di loro sono fondamentali nel corso della storia.
Ma cosa succede, invece, quando da un libro così discusso viene prodotto un adattamento televisivo?
Ovviamente Sally scrive a quattro mani, con Alice Birch, anche la serie. Diretta da Lenny Abrahamson e Hettie Macdonald, prodotta dalla BBC e poi trasmessa su HULU UK. Dodici episodi in tutto che hanno ancora solo una distribuzione inglese. Incerto è se verranno mai rilasciati i diritti anche a qualche piattaforma italiana. Ma, visto il grande successo, non ci resta che attendere e sperare.
Quel che non ti aspetti però, soprattutto se il libro ti ha fatto storcere parecchio il naso come con me, è l’impatto quasi devastante che ti cattura episodio dopo episodio.
Paul Mescal e Daisy Edgar-Jones, ovvero i nostri Connell e Marianne, ci regalano un’interpretazione magistrale e struggente: la rappresentazione perfetta del malessere giovanile che accomuna ( o ha accomunato) un po’ tutti nell’incertezza di quelli che vengono considerati gli anni migliori della vita e che nel libro, invece, non ha la stessa forza.

Sembra quasi sbiadita in realtà, non lascia un impatto degno di nota in chi legge.
“Voleva solo essere normale, nascondere quei lati di sé che trovava vergognosi o ambigui. Era stata Marianne a mostrargli che altre cose erano possibili. La vita da allora era stata diversa; forse non aveva mai capito fino a che punto.”
Se, quindi, chi ha fatto parecchia fatica a comprendere ogni loro gesto, parola non detta – quasi soffocata – e tutto ciò che li avvolgeva, con la serie dovrà assolutamente ricredersi.
C’è una scintilla differente, forse più concreta che fa sì che tutti appaiano fragili, vivi, umani: reali.
Connell e Marianne vanno alla ricerca di una parvenza di normalità che però non sembra esser fatta per loro. E così finiscono col nascondersi, capovolgersi, scompigliarsi, ferirsi a morte, perdersi e rincorrersi nuovamente. Sì, si incastrano perfettamente l’uno nell’altra ma le cicatrici che portano dentro riprendono a sanguinare ogni volta che si incontrano e scontrano.
Ed è qui che tutto cambia, i personaggi prendono vita in maniera differente, acquistano una tridimensionalità che nel libro a tratti mancava. Probabilmente il merito è tutto da attribuirsi a Paul e Daisy, ma ho quasi la sensazione che la Rooney abbia riscritto e approfondito in maniera maggiore e diversa i suoi due personaggi.
Il tutto, comunque, viene ambientato tra Sligo, Dublino, Italia e Svezia. La fotografia è calda e ricca di dettagli e non manca certo una colonna sonora di spessore che accompagna dolcemente ogni frame sullo schermo.

“Marianne pensa, e non per la prima volta, che la crudeltà non ferisce soltanto la vittima, ma anche chi la perpetra, e forse persino in modo più grave e definitivo.”
Insomma, un appuntamento imperdibile per chi apprezza particolarmente l’autrice ma qualcosa di assolutamente irripetibile per chi ha voglia di ricredersi totalmente sul suo conto e soprattutto su Persone Normali.
Se volete immergervi nell’atmosfera della serie, non potete perdervi le playlist dedicate, tutte disponibili su Spotify: Link soundtrack, playlist di Connell, playlist di Marianne.
E ora la parola a voi lettori: Avete letto il libro? Vi è piaciuto? E invece della serie, come l’avete trovata?
Vi è mai capitato che una serie/film vi piacesse di più del romanzo da cui è tratto?
Articolo scritto da Agnese
