Tra distopia e realtà: Kentuki di Samanta Scheweblin

articolo scritto da @littlereadersophia

Preferiresti essere osservato o osservare?

Dopo aver letto l’ultima pagina di questo libro, la domanda ha continuato ad assillarmi per giorni: mi sono chiesta cosa ci sia di intrigante nel lasciare entrare uno sconosciuto nella propria casa, poi mi sono ricordata che anche io, ogni giorno, pubblico stories della mia vita su Instagram.
E proprio su Instagram avevo già parlato di questo libro in un post dedicato


Anche se non mi ha coinvolto totalmente, l’opera di Samanta Schwablin (edita da Sur) ha fatto nascere in me numerose riflessioni e anche su queste si baserà l’articolo. Ma facciamo un passo indietro.

Di cosa parla Kentuki?

Kentuki racconta di un mondo distopico molto simile al nostro nel quale è stata inventata una nuova tecnologia: i kentuki. Questi piccoli robot a forma di pupazzi (coniglietti, draghi, panda, corvi) danno la possibilità a chi li acquista di essere osservato da uno sconosciuto che, in qualche parte del mondo, ha comprato una connessione a questo dispositivo.

Come tecnologia in realtà è piuttosto semplice: ogni robot e connessione sono casuali, per cui l’acquirente non potrà scegliere né chi osservare, né da chi essere osservato. Inoltre, una volta interrotta una connessione, non sarà più possibile riottenerla o sostituirla. Il principio 1:1.

La storia si dirama così nel racconto delle vicende di vari personaggi e dei loro kentuki e connessioni, da chi ha scelto semplicemente un oggetto a chi usa questa nuova tecnologia per ricavare un guadagno a chi, insoddisfatto della persona con cui si è connesso, decide di “abbandonare il gioco”.

Non le sarebbe mai venuto in mente che adesso, oltre a tutte le avvertenze tecnologiche da leggere […] ci fosse anche da chiedersi se per quell’articolo sarebbe stato dignitoso vivere con una data persona. Chi mai si chiederebbe, davanti allo scaffale del supermercato, se il ventilatore che intende portarsi a casa sarà disposto a fare area a un nonno in pannolone che guarda la tv?

Lo stile del libro

La storia, che ha una tematica molto black mirroriana -su cui torneremo tra poco- è costruito su capitoli molto brevi che alternano le varie vicende dei personaggi.
Lo stile è molto scorrevole, ma forse la quantità di punti di vista che viene inserita produce un effetto di distacco che impedisce a chi legge di entrare in sintonia con i personaggi: di conseguenza, anche se il libro è breve (230 pagine) e si legge relativamente in fretta, manca la forza narrativa capace di creare un coinvolgimento del lettore con quello che viene raccontato.

Inoltre, per quanto la storia sollevi numerose riflessioni sociali, l’atmosfera del libro rimane piuttosto piatta anche nelle scene che possono essere considerate più angoscianti (solo in due punti sono rimasta veramente con il fiato sospeso per quello che stava accadendo) e questo impedisce ancora una volta un coinvolgimento emotivo con la storia stessa, uno dei motivi per cui non ho amato questo libro fino in fondo.

Le tematiche

Nonostante lo stile in sé non mi abbia conquistato, questo libro riesce, nel raccontare le vicende dei personaggi, a sollevare una serie di tematiche molto attuali e sempre più vicine al nostro presente.

Primo fra tutti è sicuramente il tema cardine della narrazione: l’osservare e l’essere osservati.
In una società come la nostra sempre più legata alla dimensione social è forse difficile comprendere quanto, nella quotidianità, ci troviamo ad osservare le vite di persone che nemmeno conosciamo o, al contrario, ad essere osservati da persone che non ci conoscono.
Io ad esempio, sia su Instagram che su Youtube, condivido ogni giorno parti della mia quotidianità, che accompagnano le mie recensioni e consigli libreschi: quando mi metto davanti al telefono o alla telecamera produco video che, per quanto mediati, saranno comunque fruibili sui social per chiunque voglia vederli.

La situazione non è sicuramente identica, ma sarebbe ingenuo non vedere alcune analogie: in Kentuki i personaggi traggono un misto di piacere e soddisfazione all’idea di essere osservati, di essere padroni di questi animaletti – che racchiudono persone vere – che li seguono in tutte le loro attività e gli tengono compagnia.
Dall’altra parte, la possibilità di poter osservare qualcuno in tutte le sue azioni, di poter interagire solo parzialmente, ma condividendo comunque momenti intimi che danno la sensazione di essere speciali ricorda molto i social e le interazioni che ogni utente può avere con altre persone: quando guardo le stories dei miei influencer preferiti mi sento anche per poco parte della loro vita, come se mi stessero rendendo partecipe di qualcosa che gli appartiene e, a volte, commento o reagisco alle loro stories per sentirmi a mia volta parte del gruppo, visibile.

Per queste ragioni il libro ha secondo me una struttura molto simile alla serie Black Mirror.


Per chi non ne avesse mai sentito parlare, Black Mirror è una serie televisiva ora disponibile su Netflix che conta 5 stagioni, ognuna delle quali composta da episodi autoconclusivi in cui viene mostrato l’effetto di alcune tecnologie non ancora inventate, ma molto vicine alla nostra realtà, che permettono all’osservatore di riflettere su tematiche di grande impatto.
Per fare un breve inciso, alcune delle puntate che mi hanno fatto riflettere di più (rispetto alle prime tre stagioni) e che quindi vi consiglio sono
1×02 15 milioni di celebrità
2×02 Orso bianco
3×02 Caduta libera
3×05 Gli uomini e il fuoco

Da questo punto di vista, Kentuki potrebbe diventare un’ottima base per un episodio, per questo tema che ho appena discusso e per l’altro, altrettanto importante, della privacy.

Se avete letto la trama, vi sarà abbastanza chiara la questione: nel momento in cui compro un kentuky, do a uno sconosciuto l’accesso libero alla mia abitazione e vita e perdo qualsiasi controllo su ogni ripresa che questo piccolo robot pupazzo fa durante la mia giornata.
Diventa così molto labile il confine tra ciò che è parte di un gioco e ciò che ricade sotto l’invasione della privacy e, quando una nuova tecnologia del genere viene messa sul mercato, spesso mancano le leggi necessarie per regolamentarne l’utilizzo e garantire la sicurezza dei consumatori.


Come posso assicurarmi che il mio kentuki, un pupazzetto a forma di coniglio che ho regalato a mio figlio, non nasconda dall’altra parte un pedofilo che si è riuscito a procurare la mia connessione? Come faccio ad essere sicuro che quello che mostro alla telecamera rimanga veramente tra me e l’altra persona che, da qualche parte del mondo, mi sta osservando?

Ci sono molte incognite che questa tecnologia porta con sé, eppure le vendite salgono alle stelle. Forse proprio per questo intrigante mistero che si prova verso ciò che non si conosce, forse per il desiderio di chi compra un accesso di osservare il mondo di qualcun altro, di diventarne partecipe.

A questo si aggiunge un altro elemento, ovvero la percezione distorta di questo nuovo piccolo robot: appena sviluppata una nuova tecnologia, sapere come reagirà il pubblico diventa davvero un mistero. 
Nel mondo creato da Samanta Schweblin, lo sviluppo di una tecnologia come i kentuki porta la nascita altrettanto rapida di movimenti per la liberazione dei kentuki, gruppi di giovani che vanno di casa in casa alla ricerca di questi piccoli robot per liberarli o, in casi più estremi, distruggerli.
Dall’altra parte, famiglie composte da membri di tutte le età seppelliscono i loro kentuki disconnessi come se fossero parte integrante della famiglia, li compiangono come animali in carne ed ossa morti in condizioni tragiche.
Un gioco, insomma, diventa un vero e proprio membro della famiglia, qualcuno con cui condividere i momenti più felici e intimi: si perde così la percezione della realtà di questi dispositivi, si dimentica spesso della persona che, dall’altra parte, sta manovrando quello che viene considerato alla stregua di un animale domestico.
E allo stesso modo ci si convince di doversi prendere cura delle persone che ti hanno adottato, di dover rispettare le regole che sono state impartite da quei nuovi padroni appena trovati.

Conclusioni

Kentuki è un libro perfetto per chi ama il distopico e vuole trovarsi a riflettere su tante tematiche etico-morali e sociali, per chi vuole chiudere un libro e aprire un dibattito personale sulla privacy e il nostro rapporto con le tecnologie.

Nonostante non abbia apprezzato a pieno la trama, che sarebbe risultata a mio parere molto più efficace se si fosse concentrata su pochi personaggi in modo più approfondito, non posso che consigliarvi questo romanzo nella speranza che faccia nascere anche in voi alcune riflessioni interessanti.

E voi, lo avete letto? Come vi è sembrato? Leggendo questo articolo, vi sono venuti in mente altri libri sulla stessa linea?

Ha scritto questo articolo Sophia