Viaggio nel Dolpo, zona a 5500 mt di altitudine, che si trova in territorio di confine, tra le alte cime del Nepal in osservazione del vicino Tibet.
Il viaggio, realmente avvenuto, viene svolto da Cognetti per il compimento del suo quarantesimo anno di vita.
Paolo Cognetti è affascinato dalle altitudini. lo incantano ma, nello stesso tempo, gli creano dei problemi: come leggiamo nel suo diario, si trova a fare i conti con un suo acerrimo nemico, il male di altitudine che comporta una serie infinita di mal di testa, senso di nausea, stanchezza fisica e spossatezza. A causa di questo spesso si trova a chiudere le fila della lunga scia di viaggiatori. Intraprende l’impresa in compagnia di due amici, Nicola e Remigio ed una serie abbastanza numerosa di portantini con carovane di viveri, tende, gas e tutto il necessario per accamparsi sulle vette per un mese.
Il percorso è molto lungo, impone poche soste durante le ore del giorno in cui è possibile camminare e richiede abbondanti ore di sonno. La partenza avviene a Jupahl, si sposta a nord verso Ringmo e prosegue per oltre 5000 metri a Saldang per poi proseguire perso ovest, a Charka ed arrivare a Kagbeni. Guardano il Tibet e Mustag.

Un costante ritornello nel diario di viaggio è il libro di Peter Matthiessen, Leopardo delle Nevi che narra della stessa impresa che compie Cognetti ma con una maggiore e difficile ricerca, quella, appunto, del raro Leopardo delle Nevi.
Di tanto in tanto si percepisce una presenza felina, qualche orma lasciata nella neve, sfruscii lontani tra le dune bianche, ma quest’animale si mostra con grande difficoltà e, come Matthiessen, anche Cognetti conclude il viaggio senza averlo incontrato.
Un’importante incontro però c’è stato, con una cagnolina coraggiosa che ha sempre seguito i viandanti, quasi dall’inizio del viaggio sino alla sua conclusione.
Mentre leggevo ho immaginato potesse essere l’anima del defunto Matthiessen, sempre presente da bravo cicerone.
Pur non avendo mai letto il suo romanzo, mi rendo conto di quanto abbia ispirato Cognetti. Un passaggio viene letto ogni sera, che sia a voce alta per condividere la storia con il compagno di tenda Nicola o per conto suo, diviene un amuleto porta fortuna, la lunga preghiera personale recitata dall’autore lungo il suo sacro cammino.

Spesso ritroviamo nel libro mappe, disegni di laghi, schizzi di un paesaggio che si vuole fissare forte nella mente.
Sono frequenti anche le tipiche bandierine colorate ed i luoghi di preghiera, essendo il percorso affrontano da Cognetti quello che porta ad un importante monastero Tibetano.
Su alcune rocce durante il cammino, o su muri di pietra, troviamo un mantra che ci accompagna durante tutto il percorso: Om Mani Padme Hum, tradotto letteralmente significa ‘Om, gemma di loto, oh!’ ma l’interpretazione indica all’invisibile dietro ciò che si vede.
Durante la piacevole lettura del libro incontriamo paesaggi incredibili, aperture incontaminate, deserti, ma riusciamo anche ad immaginare i volti degli abitanti dei paesini in cui si accampa la carovana con il suo seguito.
Uomini e donne che sembrano essersi fermati in un altro tempo o che, forse, stanno vivendo proprio al di fuori del nostro. Questi abitanti sfruttano l’acqua del fiume per lavare i panni, per bere, per lavarsi. Si scaldano nelle freddissime notti con dei semplici bastoncini di ginepro che sprigionano un odore che rimarrà impresso nelle narici di Cognetti per sempre.
La serenità di questi popoli, la semplicità con cui donano un sorriso all’ennesimo turista che tenta di dialogare con loro: bastano due o tre parole in nepalese per ricevere in cambio un sorriso, ospitalità e una bevanda calda.
Ora parliamo delle impressioni che mi ha suscitato questo diario!
È un racconto breve, di sole 107 pagine, ma le ho trovate dense.
Il percorso svolto, i suoi incontri con le persone autoctone, le difficoltà del viaggio e i cieli dipinti, tutti elementi che ho percepito vicini, come se avessi vissuto la sua stessa avventura, cosa anomala per una ragazza che soffre di paura dell’altezza.
Questo, a mio avviso, è talento: saper infondere nel lettore le esatte sensazioni che si stanno vivendo è un’incredibile magia.
Avevo letto di Paolo Cognetti il suo grande successo, il premio Strega Le otto montagne ma non ne rimasi molto colpita, lo reputai un libro piacione. Una storia lineare ma senza grandi ingredienti che la rendessero differente da molte altre già lette.
Ho affrontato la lettura di Senza mai arrivare in cima durante il periodo della quarantena, costretta a spulciare nella libreria di casa per scovare qualche titolo interessante. Mi sono immersa in queste pagine e ne sono uscita compiaciuta, il Cognetti che narra di sé stesso in prima persona mi ha convinto molto di più. L’ho percepito più vero e sincero e l’ho amato.
La lettura mette in stallo ogni pensiero ed agitazione del quotidiano ed in quel lungo periodo di confinamento nelle mura moderne avevo proprio bisogno di viaggiare con la mente. Ascoltare lentamente il suono delle mie parole, leggere ad alta voce le descrizioni e prendermi tutto il tempo per immaginare luoghi che forse non vedrò mai. È stato tutto molto naturale grazie alla grazia ed alla lentezza che emana questo libro.
Sono convinta che questo viaggio abbia cambiato l’autore, mi piace pensare che divida la sua vita in due regioni ben distinte ‘prima di osservare così in alto’ e ‘dopo aver quasi raggiunto il confine del cielo’.
Consigliato ai viaggiatori, a chi ha bisogno di lasciarsi cullare da pagine che trasmettono un mantra di calma ed a chi, semplicemente, è curioso di conoscere un luogo molto molto lontano.
avete letto questo libro? Si si, cosa ne avete pensato? Lo avete amato come me oppure no?
Fatemi sapere nei commenti!
Articolo scritto da Agnese

Non lo conoscevo! Ho letto solo “Le otto montagne” e mi piacque comunque molto, ora sono incuriosita di scoprire questo nuovo libro.
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