articolo scritto da @lennesima
Era il 2008 quando venne condotta un’indagine su un campione di scolari pakistani tra gli otto e i nove anni. Venne chiesto di rappresentare con un’immagine il concetto di “noi”.
Tutti i bambini e la stragrande maggioranza delle bambine rappresentarono esclusivamente individui maschi.
Leggere “Invisibili” è un’esperienza carica di un’emotività che, nascendo dalle pagine di un saggio, travolge il lettore in maniera inaspettata.
Metto le mani avanti, lo dico subito: sono una donna ed è chiaro che questo non possa non avere un peso sulla mia reazione. Il punto delle parole di Caroline Criado Perez, però, sta proprio tutto qui: essere una donna non può non avere un peso, eppure non lo ha. Il nostro è un “mondo a misura di maschio”.
Il risultato di questa dominazione culturale dei maschi è che l’esperienza e la prospettiva maschili hanno finito per assumere una dimensione universale, mentre l’esperienza femminile – quella cioè di metà della popolazione mondiale, in fin dei conti – è diventata… di nicchia.
Che le donne debbano avere le stesse possibilità degli uomini in ogni ambito della loro vita è un concetto di base con cui, in astratto, qualsiasi essere umano decente si troverebbe d’accordo.
Che l’intero mondo in cui viviamo si ostini a fare finta che le donne non esistano (o che, peggio, il maschile predefinito possa rappresentare tutto il genere umano), sembra il delirio di una femminista radicale leggermente squilibrata.
Purtroppo non lo è, e vi invito a dare a Criado Perez la possibilità di dimostrarvelo.
Questo non è un libro di psicoanalisi. Non ho alcun accesso ai pensieri reconditi di chi perpetua nel tempo il vuoto dei dati di genere, e di conseguenza non potrò spiegare con prove inoppugnabili perché quel vuoto esista. […] Non mi interessa sapere se il produttore di questo o quell’attrezzo a misura di maschio sia o non sia un sessista in pectore […] ciò che conta davvero è stabilire se, dopo aver esaminato la mole dei dati che intendo fornire, sarà ancora tollerabile affermare che l’assenza di dati di genere sia del tutto casuale. La mia tesi è che non lo è.
Il gender data gap (l’assenza di dati di genere) è l’argomento cardine di queste 450 pagine, e dimostrare quanto rifiutarsi di raccogliere dati sull’esperienza femminile sia dannoso per tutta l’umanità è l’obiettivo finale.

Criado Perez affronta praticamente ogni ambito della vita di un essere umano, suddividendo i capitoli per macroaree: vita quotidiana, luoghi di lavoro, soggetti di design, nello studio del medico, vita pubblica.
Gli episodi raccontati in questo libro sono così tanti da rendere impossibile (e anche un po’ superfluo) elencarli tutti: si passa da quelli più, per così dire, emotivi (io sto ancora piangendo al pensiero dei bambini pakistani che non vedono le loro compagnette, amiche, mamme, sorelle come una parte effettivamente importante del proprio “noi”) a quelli di più sconcertante concretezza (dopo un incidente automobilistico, le donne hanno un rischio di mortalità più elevata rispetto agli uomini, per il semplice fatto che nei crash test vengono utilizzati esclusivamente fantocci con sembianze maschili. PER DIRE).
Un altro aspetto incredibile di Invisibili, è l’ironia con cui è stato scritto. Criado Perez è riuscita a dosare magistralmente la serietà (inevitabilmente richiesta dal tema) e la capacità di tenere alta l’attenzione (requisito indispensabile per scrivere quella che rimane comunque una lettura mainstream).
Il libro è disseminato di una quantità infinita di perle di sarcasmo, che ho segnato a matita con delle annotazioni particolarmente professionali (la mia copia è disseminata di piccole corone disegnate e vari “amo”, “adoro”, “sto volando”). In alcuni punti, lo giuro, ho dovuto persino cercare una foto dell’autrice per affinare al massimo la mia rappresentazione mentale dei suoi mic drop.
Giusto per darvi un’idea:
[Parlando della rappresentazione iconografica in ambito informatico, spesso connotata in maniera fortemente sessista] “Lo studio ha inoltre dimostrato che tanto più marcato era il pregiudizio iniziale, tanto più forte era l’effetto di amplificazione: il che forse ci aiuta a capire come l’algoritmo abbia potuto etichettare come «femminile» la foto di un uomo calvo e corpulento ai fornelli. Una cucina, insomma, vale più dell’alopecia androgenetica.”
Vale la pena, soprattutto a pochi giorni dall’elezione della prima vicepresidente donna degli Stati Uniti, di parlare più nel dettaglio di uno dei capitoli conclusivi del saggio, dedicato alla vita pubblica e all’ambizione femminile.
L’esempio utilizzato è la campagna elettorale di Hillary Clinton nelle elezioni presidenziali del 2016.
La rivista «The Atlantic» riportò i commenti di un gruppo di elettori indecisi, convocati per discutere pregi e difetti dei due candidati: secondo l’opinione prevalente, Hillary Clinton non piaceva perché troppo ambiziosa. Il che non era certo una novità. Dalla giornalista e saggista Anne Applebaum («La straordinaria, assurda, soverchiante ambizione di Hillary Clinton») al magnate di Hollywood ed ex alleato di Clinton David Geffen («Santo cielo, esiste un essere umano più ambizioso di Hillary Clinton?») (…), l’unica cosa su cui tutti sembrano essere assolutamente d’accordo – il che è davvero raro, in quest’epoca polarizzata – è che Hillary Clinton è scandalosamente ambiziosa. A lungo andare il rimprovero divenne un vero e proprio tormentone, tanto da meritarsi un editoriale del sito satirico «The Onion», intitolato Hillary Clinton is too Ambitious to Be the First Female President
(Sì, lo ammetto, accanto alle ultime due righe ho scritto “AMO” a lettere cubitali).
La totale (o quasi) assenza della rappresentazione di donne di potere, tra i tanti effetti collaterali, ne ha uno a cui non avevo mai effettivamente pensato: l’incompatibilità tra potere professionale e potere sociale.
Laddove l’ambizione maschile diventa la marcia in più che porta gli uomini a sognare in grande e diventare persone di successo (cosa che li rende, quando non chiaramente simpatici, sicuramente più rispettabili), per una donna vale esattamente l’opposto.
L’ambizione femminile diventa una condanna, un atto spregiudicato e coraggioso di chi decide di andare contro le regole (come se le regole stabiliscano che ci sia qualcosa di eccezionale e scandaloso in una donna “potente”).
Se una donna vuol essere apprezzata per la sua competenza deve rinunciare a essere giudicata cordiale.
Impossibile, quindi, non chiudere questa recensione con un commento su quanto sia importante l’insediamento di Kamala Harris alla Casa Bianca e su perché il suo essere donna non possa non avere un peso (giusto per citarmi da sola).
Se tutti noi ci fermiamo a pensare a esempi di esseri umani ambiziosi, coraggiosi, potenti, geniali, che possano essere d’ispirazione per la nostra vita, difficilmente ci verrà in mente una donna (o almeno, per ogni donna ci verranno in mente almeno 7-8 uomini. Sul serio, provate).
La colpa è di un sistema che considera le donne sistematicamente un’eccezione, una deviazione dalla regola. Ecco perché la rappresentazione è importante. È importante smettere di essere invisibili.
While I may be the first woman in this office, I will not be the last.
(Kamala Harris)
LENNESIMO GDL
E adesso, una piccola parentesi. Invisibili è stata la prima lettura di #LennesimoGDL, il gruppo di lettura a tema femminismo che ho deciso di creare a partire da ottobre.
L’idea è quella di leggere un libro al mese, alternando saggistica e fiction, per cercare di fare insieme un percorso di consapevolezza.
Ecco, il gruppo Telegram su cui discutiamo le nostre letture, al momento in cui scrivo è formato da più di 90 persone splendide, che ogni settimana forniscono spunti di discussione su cui non sarei mai stata in grado di riflettere da sola.
Se sei interessat* a partecipare puoi iscriverti QUI
Ti aspetto.
Inoltre, ho anche pubblicato un video su YouTube dedicato, che trovi qui sotto!
La parola a voi lettori: Avete mai letto un libro che parla di femminismo? Conoscevate Invisibili? Avete mai percepito questa assenza di dati nella vostra esperienza quotidiana?
Fateci sapere in un commento!
Articolo scritto da Alice

Ho letto questo libro questa estate. L’ho apprezzato, ma devo dire che mi ha dato un po’ fastidio il modo in cui l’autrice tratteggia la maternità. Molte delle politiche che propone afferma debbano essere fatte in un certo modo perché le donne devono occuparsi dei figli. Come se anche gli uomini non siano genitori. Ho trovato questo concetto ripetuto un po’ in tutto il libro, e mi ha dato un po’ fastidio, onestamente. Per il resto, però, argomentazioni interessanti.
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in realtà io ho percepito un atteggiamento un po’ diverso: l’autrice parte dall’analizzare il dato di fatto (quasi tutto il lavoro di cura non retribuito è appannaggio femminile) e prova a proporre soluzioni. Non mi sembra che lei abbia mai sostenuto che sia GIUSTO che sia così (però dovrei rileggere il saggio in questa chiave probabilmente per notarlo…)
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Io ho percepito questa sensazione, ma magari è stata solo una mia impressione
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