Il priorato dell’albero delle arance. Epic Fantasy che avvicina la realtà alla fantasia

articolo scritto da @anothercrazybooklover

In un mondo diviso tra Occidente, Oriente e Meridione, sull’orlo del disastro per il risveglio di “The Nameless One”, il più grande drago sputafuoco di tutti i tempi pronto a sottomettere il mondo intero, nel più inaspettato e sterile dei terreni, germoglia una storia che appassiona ed emoziona, che traghetta in un mondo epico, leggendario ma realistico al tempo stesso.

La lettura de Il Priorato dell’albero delle arance è quanto di più epico, fantastico ma al tempo stesso attuale possiate trovare: fin dalle prime pagine Samantha Shannon è stata capace di costruire, pezzo dopo pezzo, un mondo originale e immaginario ma che si rivela incredibilmente realistico, in cui il lettore è in grado di immergersi poco alla volta senza che egli se ne accorga.

TRAMA e STRUTTURA

La Trama del Priorato è scandita da un ritmo narrativo variegato, che si fa sentire in tutte e sei le sue parti e comincia progressivamente a crescere sin dall’inizio, in cui vengono poste le premesse basilari di questo nuovo mondo in cui si ritrova il lettore, introducendolo poco per volta senza mai rallentare la velocità narrativa e senza mai annoiare nonostante i numerosi dettagli relativi all’ambientazione e alle premesse politiche e religiose che saranno fondamentali per la comprensione dei successi eventi.
Il ritmo diviene poi sempre più intenso, soprattutto a partire da poco prima della seconda metà del libro, in cui si fa sempre più incalzante e veloce, forse anche troppo rapido in prossimità della conclusione, dove è evidente la fretta di chiudere i quattro cicli narrativi principali, sebbene questi siano stati successivamente conclusi egregiamente.

La cometa che pose fine al Grande Cordoglio in precedenza aveva solcato il nostro cielo diverse volte. Una in particolare, moltissime lune fa, si era lasciata dietro due gemme celesti, entrambe infuse di poteri, frammenti solidi di stella.

WORLDBUILDING, SISTEMA RELIGIOSO E SISTEMA MAGICO

Il vero punto di forza di questo romanzo è rappresentato dal monumentale world building, che risulta indissolubilmente intrecciato al sistema religioso: è evidente l’accuratissimo studio e la ricerca che la Shannon ha svolto per costruire un mondo estremamente dettagliato in tutti i suoi aspetti, non soltanto nelle descrizioni dei luoghi (molto suggestive ed evocative, profondamente differenziate tra le tre parti del mondo, capaci così di evocare atmosfere variopinte e contrastanti), ma anche nelle contrapposizioni politiche e negli inconciliabili credi religiosi che sono parte integrante di questo contesto.
Ogni regno ha un suo credo e una sua dottrina, ideali talvolta profondamente antitetici da regno a regno, tanto che alcuni modelli religiosi vengono etichettati come blasfemi ed eretici da altri popoli.

“Alcune verità” proseguì “sono più al sicuro se restano sepolte. Alcuni castelli stanno meglio nel cielo. Vi sono promesse contenute in racconti che nessuno ha mai narrato. Nel regno delle ombre, e solo pochi ne sono a conoscenza”.

L’Occidente, in cui draghi vengono visti come il male assoluto e causa di pericoli e morte, si rivela fin da subito un continente profondamente diviso, in cui diversi regni (non tutti) sono costantemente in lotta fra loro, soprattutto con il Meridione: l’origine di tale conflitto risiede nel profondo scisma religioso che vede come perno principale la leggenda con protagonisti la Principessa Cleolind del dominio di Lasia e Sir Galian Berethenet delle Isole di Inysca, coloro che più di 1000 anni fa sono riusciti a sconfiggere Il Senza Nome e rinchiuderlo, apparentemente per sempre, nell’Abisso.
In realtà, sebbene sull’inizio della storia non ci siano pareri discordanti, sulla conclusione propongono due versioni diametralmente opposte il Reginato di Berethenet e il Priorato dell’albero delle arance:  l’esito della leggenda è il medesimo, ma differente è la concezione dei due protagonisti della storia, quelli che poi sarebbero divenuti i fondatori di due stirpi che avrebbero continuato ad essere divise per più di un millennio.

L’Oriente, invece, è un continente costituito principalmente dal regno di Seiiki e dall’Impero dei Dodici Laghi, separato geograficamente dall’Occidente dall’Abisso.
In questo luogo i draghi sono venerati come delle vere e proprie e divinità, oltre che come creature che i guerrieri più valorosi, come la giovane Tanè, aspirano a cavalcare, instaurando con essi un vero e proprio rapporto di solida amicizia e sincera lealtà.
Non tutti i draghi però sono venerati: solo i draghi lacustrini dell’Acqua, capeggiati dal grande Drago Imperiale, incarnano quelli che sono i valori del credo religioso orientale, mentre i draghi del Fuoco, originati dal Senza Nome, vengono ritenuti delle creature malvagie e infernali, responsabili di aver diffuso nel mondo la Peste Draconica, un morbo trasmesso dalle creature draconiche che non è mai stato completamente debellato.

“Per essere legata a un drago” esordì Nayimathun “non basta possedere un’anima d’acqua. Bisogna avere sangue di mare, e il mare non è sempre limpido. Non è mai omogeneo. Contiene oscurità, minacce, crudeltà. La sua furia può spazzare via intere metropoli. I suoi abissi sono insondabili, e non conoscono il tocco del sole. Essere una Miduchi non significa essere pura, Tané. Significa essere mare vivente. Per questo ti ho scelta: in te batte un cuore di drago”.

Nel complesso da un lato si ha un mondo profondamente diviso, le cui origini sono confuse e ambigue, e chiuso di fronte al nuovo, in cui ogni regno è estremamente fedele alla propria visione della religione; dall’altro lato si ha una realtà più “aperta” da un punto di vista politico, religioso e idealistico. Questa profonda divisione culturale è, per diversi aspetti, paragonabile a quella del mondo reale, soprattutto in un periodo storico come quello attuale in cui la cultura Orientale dimostra di possedere una cultura più solida e definita rispetto all’Occidente, che progressivamente sta dimenticando le proprie origini, la propria cultura, la propria religione.

È proprio il sistema religioso il perno attorno cui ruota la lunghissima storia narrata dalle quattro principali voci narranti: un conflitto che emerge senza indugi, direttamente dai loro modi di pensare, ma che fa percepire, nonostante le differenti religioni, una notevole somiglianza fra i vari personaggi, seppur molto distanti fra loro inizialmente. Le storie di Ead, Sabran, Loth, Niclays e Tanè, oltre che rappresentare dei tasselli fondamentali nella risoluzione finale della trama, rappresentano un vero e proprio mosaico di culture differenti, che progressivamente si completano l’un l’altra portando ad una visione culturale e religiosa che solo apparentemente può risultare di puro background, ma che in realtà si integra perfettamente con i fatti narrati e risulterà necessaria ai fini di svelare la verità finale.

PERSONAGGI E TEMATICHE

I personaggi principali sono ben sviluppati e caratterizzati: le loro decisioni non sono mai scontate e prevedibili, caratteristica che li rende protagonisti molto dinamici, costretti più volte nel corso della narrazione a mettere in discussione i loro ideali politici e religiosi, prendendo in considerazione scelte che nel loro passato mai avrebbero pensato di compiere.
I cinque personaggi principali, Ead, Sabran, Loth, Tanè e Niclays mostrano una profonda maturazione che va oltre una mera presa di coscienza del loro destino e del proprio essere e sarà per loro fondamentale ai fini della loro missione. Si tratta di personaggi di cui si esplorano fin nei minimi dettagli i pensieri, i pregi e i difetti, tutti elementi valorizzati dalla narrazione a punti di vista di cui loro si fanno voci narranti; personaggi mai freddi e mai sterili, che sanno emozionare e stupire il lettore fin nel profondo.

Sabran, uno dei personaggi più affascinanti della storia, nonché uno dei miei preferiti del romanzo insieme a Ead, si dimostra una regina forte e indomita, una sovrana che porta su di sé il peso di un’eredità millenaria e tantissime fragilità. Saranno proprio quest’ultime a renderla una donna forte, leale e audace.  

Nessuno dovrebbe indurre una donna a temere di non essere abbastanza.

Un romanzo in cui la tematica lgbt è trattata in maniera poetica, dolce e raffinata e in cui il femminismo, altro tema portante del libro, è più che mai presente.
È proprio la sovrana del reginato di Inys la massima incarnazione di tale tematica: raramente in un epic fantasy una donna porta sulle sue spalle un’eredità così pesante, caricata di tutte le sue conseguenze su un regno profondamento diviso e sull’orlo dell’estinzione e delle difficili responsabilità che un ruolo come questo comporta.
Ma la cosa più interessante è che, anche se di fatto Sabran non è una delle quattro voci narranti principali, il lettore, tramite il punto di vista di Ead, riesce a cogliere di tale personaggio tutte le sue sfumature, la sua maturazione di pensiero, la sua resilienza nell’affrontare, in un arco di tempo relativamente breve, nuove rivelazioni che mettono sempre più in discussione il suo credo, la sua religione, i suoi principi. Una donna pronta a mettere in discussione se stessa e tutto ciò che la sua dinastia ha perpetrato per amore del suo popolo e, perché no, anche per amore proprio.

Anche il personaggio di Ead, in maniera parallela alla storia di Sabran Nona, intraprende un rilevante percorso di evoluzione e maturazione: Ead è una delle sorelle inviate dal Priorato per sorvegliare il reginato dei Berethenet e, più nel dettaglio, l’operato della regina Sabran, ancora priva di un erede che possa perpetrare la gloriosa stirpe che per un migliaio di anni ha tenuto lontano il Senza Nome. Ead inizia progressivamente ad abituarsi alla vita di corte e cambia lentamente la propria visione politica e del mondo: inizia ad instaurare un forte legame con la regina Sabran e, scoprendo il mondo al di fuori del Dominio di Lasia, comprende che la vera soluzione alle tensioni politiche che attanagliano l’Occidente non si troverà restando nell’ombra e cercando di mantenere l’equilibrio solo nel Meridione, ma uscendo alla scoperto e ricercando la verità celata dietro le profonde spaccature religiose che tanto ostacolano la pace nel Virtudom.

STILE

Lo stile dell’autrice è ciò che riesce a dimostrare la sua incredibile maestria nel maneggiare tutti questi elementi: nonostante, come facilmente intuibile, vengano trattati elementi che appaiono molto complessi se presi singolarmente, in realtà la Shannon è abile nel miscelarli facendoli emergere nella maniera più nitida e semplice possibile.
Ciò non lascia neanche lontanamente stordito o confuso il lettore, che sin dalle prime pagine è in grado di apprendere le intricate meccaniche che stanno alla base del sistema in cui si ritrova, poco per volta, piacevolmente immerso.

Un romanzo in cui tutte le componenti dell’epic fantasy e del fantasy in generale, ed è qui che secondo me sta la genialità della Shannon, vengono sì riprese, ma rinnovate e rinfrescate alla luce di nuovi ideali mediante un’interpretazione a mio parere davvero originale, oltre che più vicina alla realtà dei nostri giorni: narrazione a punti di vista non solo sfruttata come elemento di approfondimento della psicologia dei personaggi, ma anche come elemento chiave nell’evidenziare i contrasti che emergono tra i cinque protagonisti principali e i loro credi religiosi e politici; l’eroe, che qui non solo diviene eroina e cambia dunque genere, ma che si riveste di una nuova consapevolezza che la porta ad ammettere le proprie fragilità e a ricercare il sostegno collettivo delle persone a lui più vicine, perché sa di avere dei limiti e non li nasconde, anzi se ne fa baluardo della sua persona e della sua vera forza; il sistema magico rappresentato principalmente dai draghi, concepiti con una loro personalità e linea di pensiero, anziché visti come semplici bestie e creature prive di carattere, più come delle persone umane.

Confesso: sono anch’io una maga, come diresti tu. Ma nessuna magia di per sé è cattiva. Tutto dipende da come la si usa.

Grazie a tali espedienti la Shannon ha dimostrato di saper portare avanti una piccola rivoluzione nel fantasy epico, senza di fatto cambiare quelli che sono i topoi, i pilastri di questo genere, ma rivisitandoli e proponendoli sotto una nuova luce, più moderna, più umana, più realistica.

CONCLUSIONE

Il Priorato dell’Albero delle Arance ritengo possa essere un ottimo punto di partenza per chiunque voglia approcciarsi per la prima volta all’epic fantasy, un genere che molto spesso si presta a saghe bibliche (basti pensare a Il Trono di Spade o Le Cronache della Folgoluce), ma che la Shannon è stata abile a condensare in un unico romanzo autoconclusivo, capace di suscitare profonde emozioni grazie alla presenza di storie trainanti e coinvolgenti, ricco di intrighi politici e ambientato in un mondo immaginario, totalmente costruito da zero, ma denso di religioni, culture e usanze delle più svariate e dunque per questo estremamente credibile e realistico.
Samantha Shannon non ha realizzato un romanzo perfetto, ma è stata in grado di adattare un genere di lunga data a tematiche profondamente attuali, riuscendo a trasportare il lettore in un universo tutto nuovo ed epico ma al tempo stesso lasciando numerosi spunti di riflessione per un mondo che solo apparentemente può sembrare tanto lontano e distante da quello attuale.

E voi lettori, avete letto Il priorato dell’albero delle arance? Vi è piaciuto?
Fateci sapere in un commento!

Articolo scritto da Simone