“Giochiamo?” – La regina degli scacchi

Articolo di @tsundoku_bookstyle

!PERICOLO DI SPOILER! 
Coloro che ancora non conoscono La regina degli scacchi potrebbero incontrare qua e là qualche traccia di spoiler. La parte iniziale è solo un’“APERTURA” senza pericoli. Se amate le sorprese, sorvolate la seconda parte dell’articolo (“MEDIOGIOCO”) ed andate nel “FINALE” di partita, dove vi aspetto per un bel confronto. Chi, invece, ama scendere in campo può giocare nel “MEDIOGIOCO”!

APERTURA

Tic tac tic tac

Il ticchettio persistente di un orologio che batte inesorabile lo scandire delle ore, dei minuti e dei secondi. Quante e quali mosse determineranno il destino?
Una scansione del tempo che ci introduce e presenta una giovane donna di nome Elizabeth Harmon, un essere umano allo stesso tempo straordinario e comune, a cui ci si affeziona fino ad arrivare a tifare per lei.

Fin da subito il suo creatore, Walter Tevis, autore de La regina degli scacchi (pubblicato nel 1983 ed edito in Italia nella nuova edizione Mondadori OscarAbsolute), ci informa che Beth non è una donna storicamente esistita, ma racchiude in sé le esperienze o almeno uno spaccato della vita di qualunque essere umano, donna o uomo che sia.

“Fu la scacchiera a colpirmi. Esiste tutto un mondo in quelle sessantaquattro case. Mi sento sicura lì. Posso controllarlo, posso dominarlo. Ed è prevedibile. So che, se mi faccio male, è solo colpa mia.”

(Beth, episodio 3)

La regina degli scacchi non è solo la storia della danza delle pedine su una scacchiera tra due concorrenti, ma anche dell’equilibrio tra genio e pazzia.

Lo scrittore, con uno stile fluido, ci svela pagina dopo pagina la storia di Beth, attraverso i suoi occhi da bambina che già all’età di 8 anni ha vissuto il trauma dell’abbandono e del lutto.

Io ho conosciuto Beth grazie all’interpretazione di Anya Taylor-Joy, attrice che mi ha ammaliato, catturato e mi ha fatto empatizzare con il personaggio da piccola e da adulta.
La regina degli scacchi è infatti un’opera a tutto tondo, che è fruibile anche nel formato televisivo, grazie alla trasposizione seriale statunitense del 2020, uscita sulla piattaforma Netflix, The Queen’s Gambit (in 7 episodi per la regia di Scott Frank), che ha recentemente vinto i Golden Globe per “Miglior miniserie” e “Miglior attrice in una mini-serie o film per la televisione”.

Quando ho scoperto che la serie è la trasposizione di un libro, sono andata a caccia del titolo, e appena ho potuto, l’ho divorato! Mi piace sempre studiare come una stessa storia possa essere declinata con mezzi comunicativi diversi per confrontarli e devo dire che la serie, nonostante le opportune differenze, è rimasta fedele nelle parole e nelle tematiche e, forse, per alcuni aspetti ha completato il testo di Walter Tavis.

Ho provato a delineare le differenze tra la serie tv e il libro, che potete anche ascoltare grazie all’audiolibro letto da Giada Bonanomi sulla piattaforma Storytel.

MEDIOGIOCO

Più nella serie che nel libro, il tempo cronologico è ben delineato, con date e luoghi: la storia è ambientata negli anni ’60 principalmente negli Stati Uniti, in piena Guerra Fredda.

Innanzitutto nel libro la narrazione è lineare e segue le tappe della vita e della carriera di una bambina rimasta orfana e dal destino apparentemente segnato, suscitando in chi legge sentimenti di compassione.
La serie televisiva, invece, inizia in una stanza buia con un sottofondo di parole in lingua francese e con una donna che emerge da una vasca piena d’acqua, provocando contemporaneamente curiosità e distacco. Poi la narrazione corre a ritroso, alternando presente e flashback con la storia passata di Beth e della madre naturale (completamente assente nel libro). In entrambe le costruzioni si crea suspense, che invoglia a conoscere la protagonista sempre di più.

Probabilmente per motivi cinematografici e per i temi forti trattati, Beth è più grande di qualche anno. Nel libro l’infanzia occupa più spazio insieme al tempo trascorso in orfanotrofio: tempo in cui la bambina si confronta con gli adulti, trasgredisce le regole non con scopi di ribellione (come Jolene) ma perché si prefigge degli obiettivi da raggiungere, facendo emergere la sua genialità. Si dimostra fin da piccola contemporaneamente una curiosa e attenta osservatrice e una bambina taciturna, introversa ed arrabbiata con il mondo. 

Nell’orfanotrofio, inoltre, si costruiscono due relazioni importanti e positive con le prime due persone che credono in lei: Jolene DeWitt, un’altra bambina orfana, e il Signor Shaibel, il custode. Quest’ultimo sarà colui che le farà conoscere “i piccoli affari di plastica” e la introdurrà casualmente al gioco degli scacchi. Ne intuirà l’intelligenza (“Tu sei fenomenale”), permettendole di sviluppare un potenziale sopito.
Beth si scopre competitiva, con un’ottima capacità di immaginazione, previsione e una buona memoria fotografica e tattile.
Ogni pezzo della scacchiera ha una “propria forza silenziosa”: le mosse sono per lei delle formule magiche e gli scacchi saranno il primo mondo che riuscirà a controllare, che le permetterà di conoscere la realtà fuori dall’orfanotrofio; le farà assaporare il piacere di vincere anche contro un adulto e il desiderio di rivalsa che non la porterà mai ad accettare del tutto la sconfitta (“Questa non è una regola, è sportività”) e fungerà da valvola di sfogo.

Le ospiti dell’orfanotrofio subiranno diverse costrizioni e soprusi fisici (più nel libro), farmacologici, mentali e culturali. Le bambine verranno continuamente incolpate per le loro condizioni di orfane o indesiderate. A differenza del libro, nella serie viene riscostruita ed approfondita la figura della madre, con la sua depressione utilizzata, per spiegare dal punto di vista psicologico il disagio e le ripercussioni sulla figlia. Ritorna, infatti, la domanda di Jolene e il mistero sulle ultime parole della madre “Chiudi gli occhi”.

“Quelle come te non hanno vita facile. Due facce della stessa medaglia: da una parte il talento, dall’altra il prezzo da pagare. Non si può dire quale sarà il tuo di prezzo.”                                             

(Signor Shaibel, episodio 4)

Alle bambine vengono somministrate “pillole oblunghe di un verde intenso” che provocano dipendenza ed assuefazione, che diverranno, in un circolo vizioso, la scappatoia rassicurante nei momenti di paura e di tensione, a cui verrà aggiunta per Beth la dipendenza dall’alcool.

Si convince che siano le pillole a regalarle la sua bravura negli scacchi: con esse sconfigge i rumori, le paure, i bisbigli che la tengono sveglia. Crea un mondo onirico, che la rassicura, fatto di luci e ombre sul soffitto, che l’accompagneranno nei momenti di malessere.

L’adozione e l’ingresso nella famiglia Wheatley, all’età di 13 anni, segnano una svolta importante nella vita di Beth. La facciata di perbenismo dei coniugi maschera nuove problematiche, che andranno ad aggiungersi a quelle già complesse ed esistenti di Beth, che vive le sue prime esperienze di autonomia e scoperta: ha una stanza tutta per sé con una chiave da poter girare; va a scuola; sale su un autobus; passeggia tra i corridoi di un centro commerciale.
L’idillio termina qui perché a scuola è immersa in un ambiente di provincia, dove le sue doti sono discriminate, e a casa trova una relazione conflittuale fatta di assenze, frecciatine e silenzi. L’unica ad accoglierla è la Signora Wheatley (di cui scopriamo il nome, Alma, molto in là nelle pagine, proprio ad indicare le distanze che mette Beth nelle relazioni), che alla fine l’asseconda e l’accompagna nella sua passione per gli scacchi per tutti gli Stati Uniti, dove raccoglie vittorie su vittorie.

Come già l’aveva ammonita il custode, il mondo degli scacchi “non è per bambine” e infatti si ritrova circondata da uomini agguerriti o con atteggiamenti paternalistici. Beth, però, non permette a nessuno di relegarla all’angolo, dimostrando a tutti che è una regina forte e coraggiosa. Traspare, così, quanto gli scacchi la rendano viva, al punto che è l’unico modo per piacersi e guardarsi allo specchio. Beth è irritata dal fatto che nei complimenti, nelle interviste e nei confronti con gli altri giocatori venga sottolineato come lei sia una donna che gioca a scacchi e non sia riconosciuta la sua bravura nel gioco e nella competizione, indipendentemente dal sesso. Inoltre le viene spesso ricordato che il suo genio potrebbe essere pazzia o esibizionismo perché veste elegante, come se non avesse alternative.

“Sei diventata una celebrità.” – “Solo perché sono una femmina.”

Beth lotta per conquistarsi il suo posto nel mondo degli scacchi senza però nascondere né negare la sua femminilità: si concede vestiti eleganti e si cura, non come premio ma per puro piacere, senza vergogna. Diviene, infatti, un’icona ed esempio per le donne e le giovani, andando oltre il mondo degli scacchi.

Mentre nel libro le relazioni che instaura Beth sembrano più fredde, opportunistiche e distanti, nella serie tv sono più curate ed approfondite: la solitudine accentuata nel libro è più interiore, mentre nella serie si aggiungono delle relazioni durature, anche se non del tutto sane, di amicizia con altri giocatori, come Matt e Mike (non presenti nel libro), ed infatuazioni, come quella per il giocatore-giornalista Townes, che incontrerà in diversi momenti.

Profonda la relazione tra Beth e la madre adottiva, che nella serie è più affettuosa: si sostengono e si prendono in giro, forse perché riconoscono l’una nell’altra contemporaneamente le intelligenze e le abilità, ma anche la sofferenza profonda dell’abbandono e della ricerca della felicità. Infatti alla morte improvvisa della Signora Wheatley, Beth crolla, aumentando l’abuso delle pillole e dell’alcool.

Le danno sostegno due giocatori che tengono a lei, Harry Beltik (interpretato da Harry Melling, shock quando mi sono resa conto di avere una cotta per il cugino paffuto di Harry Potter) e Benny Watts (interpretato da Thomas Brodie-Sangster, che ancora ricordo mentre suona malissimo la batteria in Love Actually), che comprendono il suo genio e le insegnano i segreti, le logiche e le strategie per poter affrontare i Grandi Maestri.
La punzecchiano con domande e senza mollare perché conoscono la sua testardaggine e sanno chi hanno davanti. Le insegnano anche ad incanalare la sua bravura e forza, ad usare il suo geniale cervello e a commisurare lo sforzo mentale, provando ad allontanarla dalla sua vena autodistruttiva. 

Nonostante le vittorie e i suoi successi, la sua autostima soffre e al primo problema o paura cade in una spirale autodistruttiva, che viene enfatizzata nella serie con la sua sconfitta contro il suo rivale russo Vasilij Borgov a Parigi.

“… come tutte le donne.” – “È un’orfana, una sopravvissuta. È come noi, per lei perdere non è contemplato. Altrimenti cosa avrebbe nella vita?”

(Borgov, episodio 4)

Le soluzioni di Beth ai suoi malesseri e a suoi problemi non possono essere le relazioni né il ricorso alle pillole: solo quando prenderà consapevolezza dei suoi traumi e delle sue dipendenze cercherà l’aiuto di cui ha bisogno e dove sa che sarà accolto e spronato, per riprendere la sua vita in mano e crearsi un futuro. Nel libro è presente il desiderio e la forza della protagonista di cambiare e Beth cerca Jolene, la quale la guida in un programma di recupero mentale e fisico; mentre nella serie tv questo evento è quasi casuale, perché determinato non dalla protagonista ma dalla morte del Signor Shaibel.

Forse sarò banale ma la parte che mi ha commossa di più, sia nel libro sia nella serie, è l’ultima, dove emergono la forza, il carisma e la capacità di resilienza della protagonista, che si rialza e comprende che le sue capacità derivano da lei e non dall’assunzione delle pillole.

“Sai perché i sovietici sono i migliori giocatori del mondo? Perché giocano come una squadra, insieme, specialmente durante le sospensioni si danno una mano.”   

 (Benny, episodio 6)

A Mosca, per il torneo mondiale, Beth si sente sola di fronte al cameratismo dei giocatori russi ed inferiore nonostante i traguardi.
Si sente, però, come se le mancasse qualcosa: e qui si ha la svolta più emozionante introdotta dalla serie tv, dove dopo la sospensione del gioco con Borgov, durante una conferenza stampa, Beth riabbraccia la prima persona che ha incontrato durante il suo primo torneo di scacchi, Townes, che le fa capire che non è sola e può farcela. La mattina dopo Beth riceve una telefonata sorprendente di stima, supporto e di incoraggiamento: i suoi rivali ed amici, Benny, Harry e altri, hanno studiato la sua partita e cooperano per aiutarla in un momento difficile. Sarà comunque lei a riuscire a decidere la mossa vincente per chiudere la partita. Emozionante anche il riconoscimento di Borgov, che l’abbraccia e la riconosce come sua pari, dimostrando che la competizione può essere sana e di rispetto.  

In un cerchio che si chiude, Beth incontra casualmente in un parco di Mosca, come aveva incontrato il Signore Shaibel in uno scantinato, “un signore anziano seduto da solo con i pezzi pronti davanti”, a cui chiede di giocare un gioco che può praticare chiunque, uomo, donna, bambino, bambina, di qualunque estrazione sociale, colore della pelle e ideologia.

Ci sono altre differenze tra il libro e la serie tv, piccole e grandi, ma ho provato a selezionare quelle che secondo me sono più significative e che mi hanno fatta riflettere. Sono disponibile a confrontarmi sulle altre differenze! Quando volete!

FINALE

La regina degli scacchi non è una storia solo per le e gli appassionati al gioco: la serie trova escamotage fotografici e di montaggio e inserisce anche una radiocronaca delle mosse, che sono in realtà i pensieri della protagonista, fornendo man mano le informazioni base sulle regole, il lessico e le strategie. Le partite non sono noiose o troppo tecniche, si assapora l’ansia e la voglia di scoprire come Beth vincerà. Non è un “se” perché la sicurezza di Beth è contagiosa, la sua mente macina mosse e contromosse, dubbi e riflessioni, è una mente attiva e sveglia.
Beth ha una corazza, che potrebbe passare per freddezza, ma in fondo ha molte insicurezze, anche nel mondo che ama di più. Incontrerà persone che proveranno ad insinuarsi in questa corazza, a mostrarle le sue potenzialità ed andare oltre l’orgoglio e l’intuito.

La storia de La regina degli scacchi fornisce spunti di riflessione e tratta molti temi odierni, importanti e trasversali: la donna, la parità dei sessi, l’inclusività, le relazioni sane e distruttive (nella genitorialità e nell’amicizia), le dipendenze, la competizione, il gioco. Ognuno potrà leggerci qualcosa di sé, arricchendo la storia con il proprio bagaglio. Questa storia mi ha regalato tanto e spero che sia stato o sarà così anche per voi.

Ho apprezzato La regina degli scacchi sia del libro sia della serie tv, in cui l’attrice è stata magnifica nel rappresentare le emozioni della protagonista descritte nel libro, senza parole ma attraverso gli occhi, le espressioni e i gesti (menzione speciale per i costumi, la fotografia e il montaggio).

Il libro e la serie sono complementari, fedeli ed accoglienti, inclusivi per sesso, etnia e identità. Ma contemporaneamente potranno essere usufruiti separatamente senza intaccare la bellezza della storia.  
Non mi resta che chiedervi: “Giochiamo?”

Ps. Per favore qualcun* potrebbe spiegarmi le regole del tempo in un torneo? Da profana del gioco degli scacchi (so solo che il cavallo muove a L) vi chiedo aiuto e perdono per tutto ciò che concerne il gioco e gli eventuali errori!

E voi lettori, avete letto la La regina degli scacchi? Avete visto la serie?
Fateci sapere in un commento!

Articolo scritto da Elena