Il sentiero delle babbucce gialle di Kader Abdolah

Articolo di @laricedicarta

In un momento storico così particolare anche le nostre letture assumono una sfumatura nuova. Ciò che cerchiamo all’interno di un libro muta a seconda di infinite varianti anche in situazioni ordinarie ma mai come ora l’avvicinarsi a pagine profumate di bosco è coinciso con il desiderio di sgranchirsi un po’ le gambe e correre lontano.

In un frangente così delicato incontrare il giusto romanzo risulta a volte ostico e difficoltoso, tutto ciò ha reso questa lettura ancora più godibile.

Il sentiero delle babbucce gialle resta in possesso della nostra attenzione capitolo dopo capitolo e non soltanto grazie ai luoghi di cui si legge che ci trasportano distanti ma anche tramite la sinfonia delle parole che vengono utilizzate come uno splendido tappeto volante.

L’autore

Kader Abdolah proprio come il protagonista del suo romanzo nasce in Iran ed è rifugiato politico in Olanda fin dal 1998 poiché perseguitato prima dal regime dello Scià e poi da quello di Khomeini. È diventato uno degli scrittori in lingua olandese più importanti del Paese, apprezzato e premiato a livello internazionale. Grazie al suo stile “misto” connette due mondi e crea dialogo aprendo porte verso prospettive per il futuro.

Contesto e sentieri

L’intera vicenda ascolta la voce di Sultan, iraniano rifugiato politico in Olanda, che scruta e affronta il mondo attraverso la fotografia, il cinema e la poesia indossando ognuna di queste passioni come armatura essenziale nei confronti della vita.

A sottolineare la molteplicità di esistenze che un solo essere umano si trova a sperimentare, Abdolah compie la felice scelta di alternare nella narrazione passato e presente seguendo il protagonista tanto sul sentiero della gioventù quanto su quello della vecchiaia.

Il luogo in cui tutto ha inizio è Arak, in Iran. Tra torri e castelli che custodiscono un’infanzia agli sgoccioli e un mondo esterno composto da polvere e sconosciuti, violenza e ingiustizia, lotta e passione, la città assume il ruolo e l’importanza di un personaggio. Lo stesso può dirsi della campagna Olandese dove il cammino di Sultan termina o ricomincia – a seconda dei punti di vista – e in cui i suoni e i colori europei in un primo momento creano uno strappo e una lacerazione.
Tramite l’accettazione, la contemplazione e l’apprendimento della nuova lingua – simbolo madre d’identità culturale – Sultan riesce a riappropriarsi del filo della propria memoria e distendere quelle pieghe che da anni lo accartocciano con tormento: il risultato è un confuso manoscritto che rielaborato da un caro amico diverrà libro.

I personaggi e il simbolismo

La descrizione dei personaggi è dettagliata, attenta e mai banale. Le immagini che Kader ci restituisce sono quasi fotografiche o cinematografiche, non esagero nell’affermare che alcuni soggetti sarebbero tranquillamente a loro agio in un film di Fellini. Ogni incontro, anche il più spiacevole, lascia un alone di mistero e magia in cui i dettagli anche minimi risultano essenziali.

Un simbolismo importante è presente in ogni figura incontrata dall’uccello Hodhod, messaggero, protettore e profeta, al nonno, custode del proprio jinn, sussurratore di storie antiche e sapiente osservatore fino a Rahmatollah, l’altro per eccellenza, ragazzo – semplicemente epilettico – incarnazione dell’incomunicabilità, del mistero e dello sconosciuto.

Siamo liberi di attribuire ad ognuno la rappresentazione che più ci appare consona, ogni figura è molto ben ponderata e sviluppata ma lascia uno spiraglio aperto pronto ad essere completato dal lettore.

La favola

Costellato dall’elemento fiabesco e da continui riferimenti ad antichissimi racconti persiani scopriamo con stupore radici di favole che con secoli di ritardo e un pizzico di presunzione abbiamo reso nostro patrimonio culturale:

C’era una volta una vecchina che viveva al limitare di un bosco, oltre il quale abitavano la figlia e i suoi bambini. Ogni volta che voleva andare dalla figlia per vedere i nipoti, la donna temeva di essere azzannata da un lupo cattivo. Un giorno la vecchia nonna vide una grande zucca nascosta sotto le grandi foglie della pianta. La zucca splendeva come il sole. A un tratto le venne un’idea. Visto che quella zucca era così grande, poteva nascondercisi dentro e andare rotolando fino alla casa della figlia.” 
(pg. 35)

Non siamo forse di fronte a Cappuccetto Rosso e Cenerentola?

L’autore è un maestro capace di costruire ponti e reti che vengono intessute a collegamento di due mondi solo apparentemente distanti. Senza perdere una moderata aderenza con la concretezza, Kader ci alleggerisce continuamente concedendoci di procedere con grande disinvoltura fra i cocci dell’antica Persia.

La grazia

La parola che più risulta rappresentativa di questo libro è sicuramente “grazia”. Anche il più truce degli avvenimenti viene presentato con garbo rendendoci sopportabili orrore e disarmonia. Sono le minuzie a catturare l’occhio vigile di Sultan attraverso un cannocchiale – fisico e simbolico – puntato sul mondo. Un approccio al quotidiano che non abbandona mai un lato fresco, quasi fanciullesco.

Un grido di battaglia

Non è mia intenzione riportare l’intera vicenda di un libro che spero venga letto e che quindi non vale la pena riassumere, basti sapere che dalla solitudine e dai passatempo infantili si passa alla descrizione di un’adolescenza sperimentale e travagliata fino ad arrivare ad un’età adulta impregnata da un contesto socio-politico spinoso e limitante. Il lettore accompagna Sultan in scelte dure, illusioni, grandi responsabilità fino a toccare la privazione della libertà personale e l’incarcerazione.

“essere è meglio che non essere
soprattutto in primavera”

Questo è il grido di “battaglia” e di sopravvivenza che viene trasmesso attraverso pochi versi tra le pagine e che sembrano  rubare l’anima a questo bel libro che è in sé un inno alla vita.

Babbucce gialle e conclusione

La costanza dell’amore è quello che spinge il papà di Sultan a costruire babbucce gialle per sua moglie, quasi fosse l’unico gesto assoluto in grado di compiere, come fosse nato per farla camminare agevolmente e senza zoppicare sulla sua strada, come fosse l’unico vero insegnamento trasmesso al figlio.

Quando il protagonista si perde o rischia di farlo è rassicurante trovarlo alle prese con il cuoio e i chiodi pronto a rendere comodo e chiaro il cammino altrui. Quasi ad indicare che esser parte della libertà di chi ci accompagna non può che aiutarci nel nostro vagare senza meta. Questo libro svuota il protagonista rendendolo leggero  e riempie il lettore di forti emozioni che profumano di miele.

Voi lettori, conoscevate questo titolo? Cosa ne avete pensato?
Fateci sapere in un commento!

Articolo scritto da Marta