Queste case sembrano così normali.
Il primo pensiero di Vanessa, mentre attraversava l’ennesima via sconosciuta, fu quello. Per quanto ci provasse, non riusciva a non confrontare quelle case, tutte alte uguali, tutte bianche, tutte fornite di una piccola veranda e un prato tagliato alla perfezione, con la sua.
I mattoni rossi, che piacevano tanto a suo padre, e i cespugli di fiori, che occupavano le ore di sua madre, sembravano un ricordo lontano, di un mondo che non le apparteneva più. La loro assenza, il vuoto che lasciavano dentro di lei, le ricordavano che quella casa non era più sua. Come quella vita.
Quando Chris svoltò per l’ennesima volta in un vicolo individuabile solo grazie al segnale del navigatore, Vanessa si voltò per osservare quanto mancasse all’arrivo e si accorse che Hannah la stava guardando dallo specchietto retrovisore.
I suoi occhi, indagatori come la prima volta che l’aveva incontrata, erano incapaci di mostrare emozioni: solo guardandole la bocca era possibile capire se stesse sorridendo o fosse arrabbiata. Gli occhi assomigliavano a due videocamere, pronti a immagazzinare tutto senza lasciar trapelare niente.
“Come va lì dietro?” le chiese, continuando a osservarla senza voltarsi.
Vanessa si mise seduta composta, accorgendosi solo in quel momento quanto il suo corpo era lentamente scivolato sullo schienale mano a mano che passavano le ore.
“Tutto bene”
“Come ti sembra Omaville per ora?”
“Sono solo case, non credo che ci sia molto da dire” ribatté Chris prima che potesse rispondere, prendendo un sorso dal suo caffè ormai freddo. Fece una smorfia e lo rimise al posto, poi spense il navigatore e si mosse sul sedile per mettersi comodo, il tutto senza mai rivolgere un solo sguardo a Vanessa.
Vanessa avrebbe voluto concordare con lui, ma c’era una parte di lei che non riusciva a sopportarlo: avere a che fare con Hannah era stato accettabile, a volte perfino facile, ma Chris l’aveva sempre trattata come l’ennesimo fascicolo, l’ennesima ragazzina con una situazione difficile da risolvere. Se fosse stata un puzzle, Chris l’avrebbe guardata allo stesso modo.
Per questo tornò a guardare fuori e si limitò a dire: “Sembra carina.”
“Non è male come città. Il centro è veramente fornito ed è poco distante dalla tua università, nel caso ti servisse qualcosa. Quella è la biblioteca comunale” indicò un palazzo qualsiasi davanti a loro, che sparì prima che Vanessa potesse inquadrarlo.
Il panorama stava cambiando velocemente, le case sostituite da palazzi di due o tre piani, piccoli negozietti e marciapiedi puliti. Il sole era nascosto dietro quegli edifici e la luce tenue che colorava le strade tradiva quanto presto fosse.
“Siamo arrivati presto” disse Vanessa con un filo di voce. Hannah l’aveva avvisata che sarebbero partiti di notte per affrontare il viaggio con poco traffico, ma Chris doveva essere andato più veloce del previsto per essere già in città a quell’ora. E lei doveva aver dormito più di quanto non avesse calcolato.
“Mr. Harrison ci ha chiesto di passare prima dell’inizio delle lezioni, per farti fare un giro dell’università.”
Come se Hannah l’avesse evocata, l’università che aveva visto per settimane sugli opuscoli si presentò davanti ai suoi occhi. Per un attimo Vanessa ebbe la sensazione di essere saltata direttamente dentro la fotografia sulla copertina del suo volantino, perché la struttura davanti a lei era una copia perfetta di tutte le immagini che aveva visto.
L’edificio centrale, quello verso cui la macchina si stava avviando, aveva un’imponente facciata rosso scuro, che veniva interrotta da larghe vetrate dall’aspetto più moderno di quanto riuscisse a trasmettere il colore. L’apparenza antica che poteva dare da lontano, veniva tradita dalla struttura spoglia e anonima, che dava l’idea che l’edificio non fosse stato realizzato più di cinquant’anni prima.
Sopra il portone di ingresso era stata posizionata una placca di marmo che riportava il nome dell’università e quello che doveva essere lo stemma. Di marmo erano anche i pochi gradini che portavano all’ingresso, larghi abbastanza da permettere a dieci studenti di entrare fianco a fianco.
Su di essi era posizionata l’unica persona presente nell’intero parcheggio, che stava osservando la macchina come per capire chi fosse seduto all’interno.
Chris, con una manovra che sembrava poco legale, attraversò tutto il parcheggio vuoto e si fermò direttamente davanti all’uomo, lasciando che Hannah scendesse e lo salutasse.
“Mr. Harrison, l’abbiamo fatta aspettare molto?” chiese, mentre gli stringeva la mano.
Anche Vanessa, dopo una breve esitazione, accorciata dallo sguardo pressante di Chris, scese dalla macchina e chiuse la portiera, spostandosi di scatto quando Chris ripartì.
“…il traffico delle 18.00 è ingestibile, per questo vi ho consigliato di venire in mattinata” stava dicendo Mr. Harrison, ma appena incrociò lo sguardo di Vanessa si interruppe e le sorrise “Tu devi essere Vanessa Fields, che piacere incontrarti!”
Mr. Harrison non allungò la mano verso di lei e Vanessa si chiese se fosse stata Hannah a chiedergli di non farlo o se tutti i nuovi arrivati avevano dei problemi simili ai suoi. Quanto fosse speciale la sua situazione, o se anche solo lo fosse, erano dubbi che continuavano a tartassarla senza che avesse il coraggio di fare domande.
Quando il silenzio tra i tre si protrasse troppo a lungo, Vanessa si rese conto che aspettavano una sua risposta. Cercò di sorridere a Mr. Harrison e annuì.
“Piacere di conoscerla. Grazie per averci ricevuto così presto.”
“Grazie a voi per aver fatto tutta quella strada di notte. Volevo mostrarti l’università in tranquillità, ma non volevo rimaneste imbottigliati nel traffico.”
Vanessa si chiese quanto sarebbero andati avanti con quella storia, se a lei toccava rispondere a sua volta qualcosa riguardo al viaggio, ma fu salvata dall’arrivo di Chris, che mise in moto il gruppo.
“Ti mostro l’edificio principale” disse il professore, prima di voltarsi verso l’ingresso.
L’interno, si sorprese a pensare Vanessa, era molto simile alla sua vecchia università, con una bacheca all’ingresso piena di annunci e manifesti, una guardiola occupata da una signora di mezz’età che li salutò distrattamente e un grande salone centrale pulito e anonimo quanto lo era la facciata esterna.
La grande stanza, piena di scale che portavano ai vari piani, sembrava troppo grande e vuota: aveva frequentato solo un anno nella vecchia università, ma non era mai arrivata abbastanza presto – o era andata via abbastanza tardi – da vedere i corridoi senza persone che li attraversassero. Per questo quegli spazi di mezzo le erano sempre sembrati incredibilmente soffocanti, mentre quelli della sua nuova università sembravano infiniti, abbastanza labirintici da farle perdere l’orientamento, anche con i cartelli attaccati a tutti gli angoli che le ricordavano gli incroci trafficati.
Mentre cercava di stare al passo, Vanessa ascoltava solo in parte le aule che le venivano indicate da Mr. Harrison, occupando il resto della sua attenzione nel tentativo di non confrontare ogni angolo della nuova università con quella vecchia.
Non ricordava di aver mai elogiato la sua vecchia università, dove per un anno aveva superficialmente studiato giornalismo, ma in quel momento era l’ulteriore simbolo di una vita precedente, che aveva perso nel momento in cui aveva sentito Hannah pronunciare la parola risvegliata. Nel momento in cui suo padre l’aveva ripetuta con aria sconvolta e sua madre l’aveva sussurrata con una faccia schifata.
Nel tentativo di spingere via tutti quei ricordi, Vanessa provò a tornare sulle parole di Mr. Harrison, che continuava a parlare con la stessa fluidità di una guida turistica.
“Le aule di lingue sono al terzo piano, ma in realtà molti dei corsi si intercambiano rispetto al numero di studenti che si iscrive ogni anno. Dato che alcuni studenti arrivano da percorsi universitari molto diversi cerchiamo sempre di adattare il curriculum alle singole esigenze. Tu ti stavi specializzando in giornalismo, giusto?”
Vanessa annuì, ma non ricambiò lo sguardo, preferendo continuare a guardarsi intorno.
“Avevo già seguito due corsi di scrittura creativa di base e strategie giornalistiche e un paio di corso liberi. Quest’anno avevo in programma di dedicarmi alle diverse letterature, però non avevo ancora preparato un piano di studi” disse. C’è ancora tempo, aveva sbuffato Sara un mese prima, quando aveva provato a controllare il sito dell’università. Lei le aveva creduto, perché quale poteva essere il motivo per non farlo?
“Ci sono dei corsi di letteratura molto validi qui a Omaville. Ci sono anche corsi legati al giornalismo, anche se non esiste un vero e proprio corso di studi dedicato. Come deve averti spiegato Hannah, cercheremo comunque di adattare quello che hai fatto così che tu possa…”
“Non importa”
Mr. Harrison si fermò. “Non importa?”
Vanessa scrollò le spalle. “Non importa, posso cambiare indirizzo di studi. Giornalismo era solo… un corso” fu tutto quello che riuscì a dire. Perché la verità più grande, quella sincera e perciò preclusa a chiunque al di fuori della sua mente, era che aveva già perso così tante cose che perdere anche un corso di studi che non le era mai nemmeno interessato non sembrava un così grande problema. Aveva già visto affondare la barca che la sorreggeva, perdere una vela era ormai irrilevante.
Mr. Harrison sembrò sul punto di dire qualcosa e, quando Vanessa vide scambiarsi delle occhiate veloci con Hannah, prese di nuovo parola. Questa volta cercando di sembrare decisa, più che sconfitta.
“Sono sempre stata interessata al mondo della letteratura e ho visto che voi offrite un corso di Lettere” non lo aveva visto, in realtà, quanto più ricordava vagamente Hannah che le leggeva alcune delle proposte dell’università. “E poi mi piace leggere, sarà un ottimo modo per scoprire nuovi libri.”
Nessuno intorno a lei sembrava convinto, ma con suo sollievo non insistettero oltre e Mr. Harrison cominciò invece a mostrarle in quali delle aule visibili sul loro percorso si tenevano i corsi di letteratura, chiedendole tra un’aula e l’altra quali fossero i suoi autori preferiti.
Vanessa utilizzò la risposta che dava sempre in ambito accademico: Shakespeare, perché chiunque poteva dirle di aver letto almeno un’opera e discutere più o meno approfonditamente un argomento legato all’autore, Dickinson per far credere che fosse interessata anche alla poesia e sondare il terreno con gli sconosciuti.
Entrambe le risposte funzionarono e le permisero di iniziare una breve e generica riflessione che la distrasse dalla struttura dell’edificio, in cui aveva perso qualsiasi tipo di orientamento.
Alla fine Mr. Harrison si fermò di nuovo, proprio davanti a quello che sembrava essere un giardino interno, diviso dal resto dell’edificio da grandi porte di vetro.
Dall’aspetto appariva molto più moderno del resto dell’università, con una struttura che doveva assomigliare ad un chiostro ma che invece della pietra e il mattone era composto da metallo, talmente brillante da dover essere accecante quando il sole ci batteva sopra. Il chiostro circondava il prato, occupato al centro da qualche panchina dello stesso materiale e pochi alberi abbastanza folti da poter offrire riparo a numerosi studenti.
Due delle pareti interne sembravano ricoperte di vetri oscurati che impedivano di vedere cosa ci fosse dall’altra parte. Osservando meglio, Vanessa si rese conto che non c’erano neanche delle porte visibili e si chiese cosa ci potesse essere dietro di esse.
“Queste sono le aule adibite all’allenamento dei risvegliati. All’interno sono molto simili a quelle normali, ma le pareti sono costruite per evitare incidenti” spiegò Mr. Harrison, mentre con una mano spingeva la porta di vetro che li divideva da quella sezione dell’edificio.
Vanessa sapeva che il giardino era scoperto e che quindi dalla parte superiore entrava dell’aria del mondo esterno. Ma appena attraversò la porta le sembrò, contro ogni logica razione, che la gravità fosse modificata e ora stesse cercando di schiacciarla a terra. Guardò immobile il braccio di Mr. Harrison che spingeva una delle vetrate per aprire l’aula, pronta a fuggire se fosse stato necessario. Da cosa, non lo sapeva.
L’interno, proprio come aveva detto Mr. Harrison, era simile a qualsiasi aula, ma completamente spoglia: non si vedevano da nessuna parte cattedre, banchi e persino le sedie erano accatastate sul fondo come dimenticate. Nonostante l’aspetto innocuo Vanessa fece un passo indietro, mentre la sua mente le riproponeva sempre la stessa immagine di lei chiusa dentro senza nessuna maniglia da poter tirare.
Saltò di lato sorpresa quando si scontrò con il braccio di Hannah, poi si costrinse a rimanere ferma per evitare altri gesti insensati. Era solo un’aula.
Un’aula dove si praticava la magia.
Il pensiero la fece rabbrividire e Hannah, che dovette percepire il suo disagio, prese la parola.
“Mr. Harrison voleva mostrarti le aule prima che fossero affollate, così che tu potessi farci l’abitudine”
“Esatto. So che inizialmente possono sembrare… strane. Ma presto ti sembreranno come tutte le altre”
Vanessa annuii, ma non contribuì in nessun modo alla conversazione e fu grata quando Mr. Harrison propose al gruppo di spostarsi. Mentre si dirigevano all’uscita, una signora di mezz’età aprì la porta vetrata davanti a loro.
Aveva un paio di jeans slavati e una camicia a quadri che sembrava volontariamente due taglie troppo grandi per lei. Al suo fianco portava una borsa di tela talmente piena che Vanessa si chiese se non fosse sul punto di rompersi.
Inizialmente Vanessa pensò che si trattasse di una studentessa di magia, ma Mr. Harrison le si rivolse come ad una collega.
“Rebecca, oggi è arrivata presto!”
Mrs. Blois li mise a fuoco, come se il fatto che stava guardando avanti non significasse che li avesse visti. Sorrise gentile, ma non rallentò il passo.
“Buongiorno Adam. Stamattina ho lezione con quelli dell’ultimo ciclo. Buongiorno” ripeté poi tornò a guardare davanti a sé e raggiunse la porta che avevano appena chiuso e sparì all’interno.
Mr. Harrison rise poi fece segno di seguirlo.
“Dovete scusarla, quando sta lavorando con quelli dell’ultimo ciclo è sempre molto presa. La classe di quest’anno conta quasi venti studenti, tantissimi da gestire tutti insieme per la sezione di elementistica.”
Vanessa aveva centinaia di domande che le vorticavano per la testa, che andavano da quante classi ci fossero a cosa distinguesse i vari cicli. Ma la parte curiosa di lei era frenata da quella terrorizzata dalle nuove informazioni. Quando Hannah aveva provato a spiegarle qualcosa riguardo alla magia, lei si era sempre chiusa a ricco, lasciando che le parole le fluttuassero intorno senza che potessero mai posarsi dentro di lei.
Nell’ultima settimana, quando ormai era pronta per partire per Omaville, si era pentita di averlo fatto, ma non era mai riuscita a chiederle di ripetersi, ancora troppo spaventata dal peso che quelle informazioni portavano. Era come se avesse di fronte un’enciclopedia piena di risposte, ma non fosse in grado di trovare la pagina giusta da cui cominciare a leggerle.
“Andiamo nel mio ufficio” Mr. Harrison la distolse dai suoi pensieri, riportandola nei corridoi in cui, adesso, cominciavano a girare i primi studenti. Vanessa avrebbe voluto rimpicciolirsi da qualche parte, nascondersi dietro qualcuno per passare inosservata. Incrociò le braccia, sperando che quella protezione le sarebbe bastata fino a quando non fossero andati via.
L’ufficio di Mr. Harrison si trovava in un edificio adiacente, che era appena visibile dall’ingresso dell’università. Le poche finestre e le due porte d’ingresso sembravano troppo pesanti per rimanere aperte, facendo calare una oscurità sui corridoi che le lampade a soffitto riuscivano a malapena a sconfiggere.
Ma almeno l’interno era molto meno labirintico della sede centrale e bastarono due curve per arrivare davanti alla porta del suo ufficio, identica a tutte le altre tranne che per la piccola targhetta che portava il suo nome. L’interno era appena più luminoso, grazie alla piccola finestra che illuminava i pochi mobili della stanza: oltre alla scrivania di mogano chiaro collocata perfettamente al centro, due delle pareti erano occupate da scaffali ricoperti di libri e piccoli oggetti che Vanessa non ebbe il tempo di osservare, distratta dal gesto di Mr Harrison che le fece segno di accomodarsi su una delle due sedie di fronte alla scrivania.
Vanessa era vagamente consapevole che Hannah e Chris si erano seduti vicino alla porta, ma la sua attenzione era tutta a Mr. Harrison e a quello che le stava dicendo.
“Solitamente non faccio questo tipo di incontri nel mio ufficio, ma Hannah mi ha spiegato che stai avendo particolari difficoltà a processare la situazione” quando vide l’espressione di Vanessa, che cercava senza successo di non sentirsi giudicata, aggiunse: “il che non è inusuale, sia chiaro. Ma di solito la magia, dopo essersi manifestata la prima volta, è più facile che si mostri in altre occasioni. Invece a te non è successo, giusto?”
Anche se doveva sapere già la risposta, Vanessa scosse comunque la testa, almeno per fargli capire che lo stava ascoltando. Era arrivato il momento e lei non era pronta: Hannah ci aveva provato più volte con la logica, Chris molte meno con l’autorità, ma nessuno dei due era riuscito a convincerla a lavorare con la sua magia, che Vanessa aveva rifiutato anche solo di immaginare. Perché fino ad un mese prima una situazione simile, un mondo in cui una persona può scoprire di essere una risvegliata e che una risvegliata è una persona che ha poteri magici, non era nemmeno concepibile nella sua mente.
Aveva letto di mondi magici per tutta la sua vita, ma quando immaginava questi mondi non era lei la protagonista che ci viveva. Quando da piccola le chiedevano che poteri avrebbe voluto avere, lei rispondeva cose stupide, come accendere il microonde senza doversi alzare, cambiare canale in televisione senza dover cercare il telecomando. Non aveva mai voluto grandi poteri. Non aveva mai voluto poteri che potessero fare male a qualcuno.
E così, quando Hannah le aveva detto che prima o poi la magia sarebbe riapparsa, che lei lo volesse o no, Vanessa aveva chiuso le mura che la circondavano e ci si era rintanata dentro, sperando di poterci trattenere anche quella nuova magia che non aveva mai richiesto.
E ora era davanti a Mr. Harrison e l’unica cosa che continuava a ripetersi era che quel mondo, quello che stava vivendo in quel momento, non fosse la realtà. Ogni tanto si pentiva di non essere mai stata capace di fare sogni lucidi, perché in quel momento avrebbe tanto voluto poter modificare qualche dettaglio di quel sogno in cui la sua mente l’aveva portata senza farla più uscire.
“Siamo qui per questa ragione” riprese Mr. Harrison, che le aveva dato ulteriore tempo per parlare trovando invece solo il muro che Vanessa riusciva ancora a tenere in piedi “Hannah mi ha detto che prima dell’incidente tu non hai mai sentito parlare dei risvegliati, giusto? Scoprire tutto questo mondo in così poco tempo deve essere stato un colpo.”
Vanessa annuì, per fargli capire che lo stava ascoltando.
“Purtroppo il tuo non è un caso isolato, molte persone che arrivano qui hanno affrontato esperienze simili alle tue e quello che vorrei fosse chiaro è che nessuno si aspetta che tu reagisca in un certo modo in un certo arco di tempo. Non c’è una tabella prestabilita, non ci sono punti da seguire e spuntare su un foglio per adattarsi a Omaville e alla magia” disse, enfatizzando le virgolette come se facessero parte di un discorso già provato “Ma non possiamo neanche fingere che la magia che hai risvegliato non possa diventare un problema e per evitare che succedano altri incidenti abbiamo bisogno di testarla.”
“Testarla” sussurrò Vanessa, guardando prima Mr. Harrison e poi Hannah, che la osservava come sempre pronta a scattare. L’aveva sempre agitata vederla in quella posizione, mai veramente rilassata intorno a lei, come se dovesse essere pronta a bloccarla se necessario. I suoi poteri da scudo servivano proprio a quello.
“Cosa vuol dire?”
“Hannah ti ha spiegato quali sono le tue opzioni?”
Vanessa annuì, poi scosse la testa. Glielo aveva spiegato, ma lei non le ricordava.
“In breve, ma ricorda che dovrai riparlarne con la tua responsabile, le tue opzioni sono due: puoi allenare la tua magia per controllarla, utilizzandola poi nella quotidianità, diventando quindi una vigile. Al contrario, puoi decidere di allenarla per poi rinunciare ai tuoi poteri e diventare un’addormentata. Tutti e due i percorsi sono divisi in tre cicli: il primo ciclo è quello di scoperta e individuazione del tuo potere, il secondo è quello di padroneggiamento, in cui impari a capire e usare la tua magia. Il terzo è quello che si divide a seconda della tua scelta. C’è poi un quarto ciclo di perfezionamento, ma direi che per ora non è fondamentale per te. Fin qui tutto chiaro?”
“Sì”, rispose Vanessa, muovendosi sulla sedia “Ma non ho capito cosa deve testare”
“Devi testare a quali poteri sei affine. Hannah mi ha parlato della tua affinità con l’acqua, ma devo capire se sei affine anche ad uno o più degli altri.”
“Io… non voglio usare i miei poteri” disse Vanessa. Avrebbe voluto urlarlo, alzarsi da quella sedia scomoda e uscire sbattendo la porta, lasciandosi alle spalle tutta quella giornata, quella settimana, quel mese. Invece la sua voce la tradì alla prima parola e uscì appena udibile.
“Per questo siamo qui. E per questo entro in gioco io” disse Mr. Harrison, poi si alzò e raggiunse uno degli scaffali della sua libreria.
Vanessa osservò Hannah, che continuava a guardarla tranquilla ma attenta, e si chiese cosa avrebbe fatto se le avesse chiesto di andarsene. Chris le avrebbe riso in faccia, un’unica e frustrante certezza in quella giornata.
Mr. Harrison tornò con in mano una piuma, un porta incenso e un piccolo bonsai. Appoggiò tutto sulla scrivania, che doveva essere stata svuotata per l’occasione perché anche sul legno spoglio si vedevano ancora le macchie di caffè e gli aloni degli oggetti rimasti appoggiati per anni sempre nello stesso punto.
Quando Mr. Harrison si sedette di nuovo e si sbottonò i polsini della camicia, Vanessa tornò a concentrarsi su di lui. “Cominciamo?”
Vanessa avrebbe voluto dire di no, che non era pronta e non voleva farlo. Che non era giusto, niente di quello che le era successo era giusto.
Invece si mise dritta e disse: “D’accordo,”
Note dell’autrice: Ciao, hai finito di leggere il primo capitolo della mia storia! Ti è piaciuto? fammelo sapere in un commento o sulla mia pagina Instagram @littlereadersophia!
Questa storia verrà aggiornata ogni sabato e preparati, perché siamo solo all’inizio!
Un abbraccio libresco,
Sophia

Non vedo l’ora di scoprire come continua questa storia. Assolutamente.
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