Capitolo II

“I test sono molto più semplici di quanto possano sembrare in realtà” cominciò Mr. Harrison e Vanessa si irrigidì, non tanto per le sue parole ma per il cambiamento, repentino quando inaspettato, dell’aria nella stanza. Immaginò più che vedere Hannah che si faceva avanti sulla sedia, Chris che la osservava con i suoi occhi penetranti come se cercasse di leggere ogni suo movimento. Lui era la mente, Hannah era la mano, pronti a scattare in ogni istante per evitare che facesse danni. In quel momento, una briciola di lei era contenta di averli lì.

“Sappiamo dalla tua esperienza che sei affine all’acqua, ma può darsi che la tua magia non si limiti ad un solo elemento. Prima di cominciare le tue lezioni dobbiamo capire quali sono le tue capacità, così da evitare situazioni spiacevoli”. Quando Vanessa non aggiunse niente, lui continuò: “Questi tre oggetti ci servono per testare la tua affinità con aria, fuoco e terra.”

“Non voglio usare i miei poteri” ripeté Vanessa, temendo che la prima volta il professore non l’avesse sentita.

Ma lui le sorrise calmo. “È qui che entro in gioco io. Il mio compito, oltre ad accogliere gli studenti, è valutare le loro capacità e comprendere se hanno affinità di cui nessuno si era accorto prima. Per farlo uso la magia proiettiva.”

“Okay” rispose Vanessa, anche se non era sicura di aver capito.

Mr. Harrison sembrò leggerle nella mente, perché aggiunse: “Puoi farmi tutte le domande che vuoi, Vanessa. Soprattutto se una cosa non ti è chiara, come, ad esempio, cosa può fare la mia magia. Hannah, posso usarti come esempio?” chiese, distogliendo brevemente lo sguardo dalla ragazza.

Vanessa non sentì alcuna risposta, ma vide apparire Hannah al fianco di Mr. Harrison e porgergli la mano.

Mr. Harrison la prese con delicatezza e tornò a guardare Vanessa.

 “Puoi prendere una delle penne sul tavolo, per favore?” disse a Vanessa, che si voltò appena verso il portapenne che era rimasto sulla scrivania vicino al computer e afferrò una penna a caso, tornando a osservare Mr. Harrison e la sua mano che continuava a trattenere quella di Hannah.

“Bene. Ora, so che è una richiesta strana, ma puoi lanciarmela contro?”

Vanessa aggrottò le sopracciglia.
“Gliela devo lanciare addosso?”

“Esatto. Non mi farai niente, te lo garantisco. Ma evita di metterci troppa forza o rischi che ti rimbalzi contro.”

Non sapendo bene cosa rispondere, Vanessa strinse la penna nella mano e poi la lanciò addosso a Mr. Harrison, abbastanza forte da raggiungerlo senza però rischiare di ferirlo nel caso l’avesse colpito.
Cosa che non successe, perché la penna interruppe a mezz’aria il suo volo, come se avesse colpito un muro, e cadde a terra.

Vanessa lo guardò sorpresa e sussurrò: “Lo ha fatto con la magia?”

Mr. Harrison lasciò andare la mano di Hannah, che sparì di nuovo dal suo campo visivo.

“Non con la mia, ma con quella di Hannah. Di solito i suoi scudi sono visibili, ma solo perché devono essere più resistenti. Qui ne bastava uno piuttosto sottile, per questo non sei riuscita a vederlo. Comunque,” continuò, appoggiando i gomiti sulle ginocchia e inclinandosi così verso Vanessa, che si trattenne appena dal saltare indietro, “questo è quello che faccio, proietto i poteri altrui. E la stessa cosa vorrei fare con te, se me lo permettessi.”

“E se dicessi di no?”

“Non potrei costringerti, ovviamente. Ma in quel caso dovremmo scendere in una delle aule e testare i tuoi poteri su campo. Sicuramente non possiamo lasciarti allenare o girare per la città senza sapere che tipo di poteri hai.”

E che tipo di pericolo sei per gli altri, pensò Vanessa, ma non lo disse ad alta voce, per paura che qualcuno dei presenti lo confermasse.

“E cosa dovrei fare per fare questo test?” chiese quindi, intrecciando le mani per evitare di portarle alla bocca e cominciare a strapparsi le pellicine, una brutta abitudine che i suoi genitori avevano sempre cercato di farle perdere.

“È molto semplice in realtà” cominciò Mr. Harrison “dovrai prendere la mia mano e lasciare che la mia magia entri in contatto con la tua.”

“Non so come fare.”

“In realtà è più importante quello che non devi fare. All’inizio sentire la propria magia è strano, ma per quanto possibile cerca di non ritirarla, altrimenti sarà più difficile per me individuarla.”

Vanessa esitò, poi ammise: “Non credo di aver capito.”

Mr. Harrison non sembrava sorpreso, né infastidito.

“Hai mai fatto i buchi alle orecchie? O un piercing?” Vanessa annuì e lui continuò: “Ecco, hai presente quando inizialmente senti una sorta di prurito? La magia è molto simile. Di solito ci si abitua presto alla sensazione, al punto che non ci farai più caso a meno che non ci pensi intensamente, come per degli orecchini appunto. Ma le prime volte può essere fastidioso e la tua prima reazione può essere quella di… allontanarla, di spingerla via. Per quanto possibile, ti chiederei di non farlo, tutto qui.”

“Okay, posso provarci.”

“Perfetto, allora possiamo cominciare” disse e si risistemò dritto sulla sedia, prima di spostarsi verso di lei e allungare il braccio.

“Prendimi il polso e stringilo. Poi chiudi gli occhi e concentrati finché non senti la magia che si muove dentro di te. Io farò delle prove con i diversi oggetti che ho messo prima sul tavolo.”

La mano di Vanessa rimase sospesa a mezz’aria mentre lei chiedeva guardinga: “Devo tenere gli occhi chiusi per forza?”

“No, ma devi riuscire a concentrarti solo su quello che senti. Se pensi di poterlo fare a occhi aperti, allora non è necessario che tu li chiuda” fece una pausa prima di continuare, “Se vuoi posso dirti quello che sto facendo passo per passo, così che tu sappia cosa sta succedendo.”

Vanessa annuì e, prima di poter cambiare idea, allungò la mano e prese il polso di Mr. Harrison. Poi chiuse gli occhi e cercò di rilassarsi, anche se chiudere gli occhi da sveglia voleva dire dare alla sua mente campo libero per mostrarle tutti i ricordi che preferiva dimenticare, costringendola a vedere un film in cui tutte le parti belle erano state tagliate.

Questa volta però le immagini non ebbero tempo di apparire, perché un formicolio nuovo la attraversò. Nello stesso momento Mr. Harrison disse: “Questa è la mia magia, riesci a sentirla?”

Vanessa annuì, poi si rese conto che non era sicura che Mr. Harrison potesse vederla.

“Sì, la sento.”

“Molto bene, ora cerca solo di non ritrarti quando sentirai la tua magia.”

Vanessa stava per rispondergli che non sentiva nulla, quando una scossa improvvisa sembrò propagarsi nel suo corpo. Tentò di non opporre resistenza, ma l’istinto di lasciare la presa dove il primo formicolio si era propagato era così forte che per contrastarlo strinse più forte il polso di Mr. Harrison.
Più la scossa si faceva intensa, più Vanessa si ripeteva di stare ferma e pregava quell’entità che non riusciva nemmeno a nominare di non complicarle la vita più di quanto non stesse già facendo. E, con sua sorpresa, la scossa si attenuò.

Per qualche secondo nessuno parlò e la scossa e il formicolio si dissolsero in un’unica sensazione indistinta che Vanessa cercò di lasciar scorrere dentro di lei.
Provò a distrarsi pensando ad altro, lasciando che Mr. Harrison facesse il suo lavoro, ma si rese conto che l’unica cosa che riusciva a pensare era come, in quello stesso momento, Sara e Tamara stavano probabilmente seguendo le prima lezioni del loro semestre, messaggiando sotto il banco per organizzare una cena con il loro gruppo di amici.
Il pensiero riuscì a distrarla dalla sensazione spiacevole, ma solo perché le provocò una fitta nel costato più forte e dolorosa.

“Okay, sembra che tu sia affine anche a fuoco e aria” disse Mr. Harrison riportandola nell’ufficio. Senza pensarci Vanessa aprì gli occhi e il suo sguardo cadde sugli oggetti che il professore aveva posizionato poco prima sulla scrivania. Il bonsai sembrava essere rimasto invariato, ma adesso il bacchetto di incenso stava bruciando, emanando un odore neutrale e poco intenso che Vanessa non riuscì a riconoscere, mentre la piuma, prima accostata agli altri oggetti, non era più sul tavolo.

Vanessa si voltò verso Mr. Harrison, che la sorrise tranquillo. Solo la fronte leggermente corrucciata tradiva la concentrazione.

Fu Hannah a parlare, prima che il professore potesse aggiungere altro: “Solo tre?”

“Cosa vuol dire?” si intromise Vanessa quando Mr. Harrison annuì.

Mr. Harrison tornò a guardarla, ma non le lasciò il braccio.

“Di solito gli elementisti sono affini ad un solo potere, due in casi rari. In questo caso il controllo che ha sui due elementi è molto maggiore e anche l’elemento che controllano si manifesta in modo molto più potente. Quando un risvegliato è affine a più elementi invece le abilità che ha con ognuno di essi sono più limitate. Se, infine, un risvegliato si dimostra affine a tutti e quattro gli elementi, la situazione può cambiare completamente perché c’è la possibilità che non si tratti di un elementista, ma una manifestazione temporanea di una magia che non si è ancora formata. In questo caso, però, tu non sei affine alla terra, quindi è più difficile dirlo con certezza… potresti essere solo una elementista con più raggio d’azione ma meno forza, se vogliamo definirti così.”

“Oppure” aggiunse Hannah “hai un’affinità non ancora formata con un altro potere”

“Quindi potrei avere quattro poteri?” chiese Vanessa, combattendo il desiderio di portare le gambe al petto e accartocciarsi sulla sedia. Avere un potere era già più che sufficiente, quattro le sembravano uno scherzo di cattivo gusto, a cui non sapeva mai se ridere o risentirti.
La voce di Mr. Harrison ruppe il flusso incontrollato dei suoi pensieri.

 “Non proprio. O meglio, potrebbe darsi, ma ne dubito. La magia di solito si plasma con la persona che ha scelto, per questo se inizialmente si manifesta nella forma più primordiale, quella degli elementi, capita spesso che poi prenda un’altra forma, che risponde a quella della persona con cui è entrata in contatto. Quando ero piccolo anche io ero capace di controllare tutti gli elementi e solo a quattordici anni il mio potere è diventato come lo vedi oggi, ma ora non posso più usare la magia degli elementi. A volte accade molto presto, ma è tutto influenzato anche dall’età in cui i poteri si manifestano e, soprattutto, il rapporto che hanno con l’ospitante. In questo caso tu. Ti è mai sembrato di riuscire a leggere nella mente delle persone? Oppure a proteggerti da oggetti che venivano lanciati?”

“No… non credo. Non ci ho mai fatto caso, ma…” ma fino ad un mese fa non sapevo neanche di poter spostare litri di acqua con il solo pensiero, avrebbe voluto dire, invece deviò il discorso, “ma non c’è un modo per capirlo?”

Mr. Harrison annuì, senza lasciare la presa sul braccio di Vanessa.

“Posso provare a indagare più a fondo per vedere di trovare qualche… magia latente, per così dire. Può essere un buco nell’acqua, ma tentar non nuoce. Cercherò di essere il meno invasivo possibile, ma non sapendo cosa sto cercando dovrò provare a proiettare la magia in modi diversi. Se puoi, lascia che le nostre magie restino in contatto, ma fermami in qualsiasi momento dovessi sentirne il bisogno.”

Vanessa avrebbe voluto chiedergli cosa intendesse per sentirsi a disagio: già lo stare lì, sentire il braccio di uno sconosciuto stretto intorno a suo, sentire la sua magia che si intrecciava con quella del professore, che esisteva nel suo corpo, era una sensazione che la faceva rabbrividire. Ma allo stesso tempo immaginava che non fosse quello il tipo di disagio di cui stava parlando Mr. Harrison.

Quando il professore chiuse gli occhi Vanessa lo imitò, lasciando che il formicolio attirasse di nuovo la sua attenzione. Cercò di paragonarlo a qualcosa che aveva già provato, tanti piccoli aghi da cucito che le toccavano la pelle, foglie e foglie che la accarezzavano mentre camminava nei sentieri abbandonati con il padre, gessi che fischiavano sulle lavagne facendola rabbrividire. Era tutto questo e niente di simile, come se ogni paragone fosse una bozza del disegno che la sua mente voleva creare.
Vanessa non aveva idea di quanto tempo avessero passato in silenzio, né si era resa conto fino a quel momento di come tutti i respiri, tutti i rumori involontari ma costanti di una stanza fossero stati annullati per lasciare spazio a quel formicolio che galleggiava dentro di lei.

Poi, mentre provava a paragonarlo alla sensazione della neve fredda sulla pelle screpolata, il formicolio cambiò e si trasformò in dolore. Come se gli aghi, invece di toccarla, venissero infilzati nel suo corpo.
E anche il contatto, che Vanessa aveva fino a quel momento appena percepito, divenne rumoroso, travolgente. Prima la paura, poi la sorpresa, poi la rabbia, la sofferenza, la preoccupazione. Tutte emozioni che sentiva sue e lontane allo stesso tempo.
Non ebbe più modo di pensare se si trattasse della sua magia che si opponeva, se fosse il suo corpo a cercare di ritrarsi quando non doveva. Perché qualunque cosa stesse succedendo, le stava facendo male.

Come colpita da una scossa, Vanessa sentì il suo corpo alzarsi dalla sedia e la sua mano lasciare il braccio del professore. Il dolore che l’aveva invasa sparì con quel tocco, portandosi via anche le sue energie.
Le gambe le cedettero e come prima sentiva troppo, ora non sentiva più niente, nemmeno il suo corpo. Provò ad aprire gli occhi, che erano ancora troppo pesanti per collaborare e cercò di muovere le mani senza successo.
Alla fine si arrese e smise di combattere quella sensazione, sperando così che la scossa che aveva sentito poco prima non tornasse. Una mano che non le apparteneva le toccò il polso e per un attimo il dolore e la paura tornarono, per sparire immediatamente quando un gemito, che doveva essere suo anche se non sapeva come lo aveva prodotto, le uscì dalla bocca.
Vanessa rimase ferma e lasciò che il suo respiro fosse scandito da quelli che la circondavano, dalle lancette di un orologio che diventava sempre più nitido nelle sue orecchie, dai passi che sentiva vibrare sul pavimento sul quale doveva essersi stesa.

Quando il formicolio nel suo corpo sparì Vanessa provò a sbattere gli occhi e ci riuscì. Lasciò che gli occhi si adattassero alla luce, anche se le ombre dei corpi vicino a lei ne coprivano la maggior parte.

Nella sua visuale spiccavano le ginocchia di Hannah, fasciate da un paio di pantaloni troppo ben stirati per aver sopportato un intero viaggio in macchina.
Vanessa continuò a sbattere le palpebre fino a quando le voci che ripetevano il suo nome non divennero più distinte.

“Vanessa? Riesci a sentirmi?” le stava chiedendo Mr. Harrison, ma solo al terzo tentativo Vanessa riuscì ad annuire, sollevata che il suo corpo ricominciasse piano piano ad appartenerle.

“Era già successo qualcosa di simile?”
Vanessa non aveva la forza di rispondergli, ma si rese conto che la domanda non era rivolta a lei, perché fu Hannah a rispondere.

“No, mai. Ma non ha mai usato i suoi poteri dopo la prima volta e i suoi ricordi di quella giornata sono ancora confusi.”

No, non è vero, rivedo ogni singolo secondo come se lo stessi vivendo ancora adesso, avrebbe voluto dire, ma tutta la forza che aveva in corpo era accumulata con il solo obiettivo di riuscire ad alzarsi dal pavimento.

“Cos’è successo?”

“Mi dispiace Vanessa, devo aver cercato troppo in fretta un’affinità diversa e la tua magia ha reagito per proteggerti.”

“La mia magia… ha reagito?” chiese, cercando di schiarirsi la gola secca. Una mano apparve dal nulla e le porse un bicchiere di plastica pieno di acqua, che Vanessa afferrò e bevve tutto in un sorso. Il movimento le fece girare la testa, ma l’acqua fresca fu un sollievo per la sua gola.

“Esatto, probabilmente il contatto con la mia magia ti ha spaventata e la tua magia ha cercato di proteggerti dall’attacco buttandomi fuori.”

“Io ho cercato di non oppormi, ma era diventato troppo, tutte quelle emozioni erano…”

“Emozioni?” chiese Hannah, porgendo una mano a Vanessa per aiutarla a rialzarsi.

Vanessa non la prese, ma cercò comunque di rimettersi in piedi appoggiandosi alla scrivania, rincuorata quando le gambe la sorressero.

“Sì, era come se tutte le mie emozioni fossero amplificate, come se…”, scrollò le spalle, incapace di trovare delle parole che potessero spiegare quello che aveva provato, “… non lo so, come se fossero diventate troppo. E facevano male, per questo mi sono ritratta”.

Vanessa notò lo sguardo che si scambiarono Hannah e Mr. Harrison ma non aveva la forza di provare a decifrarlo, perciò aspettò.

“D’accordo,” disse infine l’uomo, “direi di concludere qui questa sessione. Cercherò di andare a fondo della situazione, ma non credo sarebbe saggio ritentare. Nei prossimi giorni ti chiederò di tornare qui per… ti sanguina il naso” si interruppe, allungandosi verso la scrivania.
Vanessa si sporse in avanti e portò una mano al naso, in tempo per sentire la prima goccia di sangue scenderle sulle labbra. Da piccola le sanguinava sempre il naso nei momenti meno opportuni, come la festa di compleanno di Tamara alla quale sua madre aveva deciso di mandarla con un vestito bianco che non erano mai riuscite a smacchiare. Ma nel tempo si erano fatte sempre più rade le occasioni fino a far sparire quel ricordo dalla sua memoria.
Quando Mr. Harrison le porse un fazzoletto, Vanessa si tamponò il naso e cercò di sopprimere una risata isterica.
Come primo giorno a Omaville non poteva chiedere di meglio.