Capitolo IV

Quando Vanessa si svegliò, fuori dalla finestra era buio pesto. Il suo telefono segnava le tre di notte, il che voleva dire che aveva dormito per più di dieci ore, senza sentire Eric e Matthew che si muovevano per la casa.

Il suo primo desiderio fu di farsi una doccia, ma non voleva svegliare i suoi coinquilini. Accese l’abat jour e osservò la stanza, ancora spoglia e impersonale. Le mancavano le lucine che aveva attaccato alla bacheca sopra la scrivania, che illuminavano tutte le foto con le sue amiche. Le mancavano i suoi scaffali, i vestiti sempre impilati sulla sedia o piegati sulla scrivania quando passava sua madre. Le mancavano i piccoli prendi-polvere che tutti in casa odiavano tranne lei.

Le mancava la sua camera, la sua casa. Le mancavano la presenza ingombrante di Sara e le chiamate serali di Tamara. E anche se sentiva risuonare le ultime parole dei suoi genitori non poteva non sentire la loro mancanza.

Hannah non le aveva dato nessun tipo di regola a proposito dei contatti con la famiglia e il primo pensiero di Vanessa, nel buio soffocante della sua stanza, fu di provare a chiamare i suoi genitori.

Compose il numero di sua madre, che non aveva salvato nel telefono nuovo che le aveva procurato Hannah dopo l’incidente, ma non riuscì a far partire la chiamata. Da loro doveva essere mattina, per questo se sua madre avesse visto il numero sconosciuto probabilmente avrebbe risposto. Ma cosa avrebbe fatto sentendo la sua voce? Avrebbe buttato giù? Le avrebbe parlato? L’avrebbe ferita?

Vanessa cancellò il numero e appoggiò il cellulare sul comodino. Aspettò per un tempo interminabile prima di riprenderlo in mano, solo per scoprire che erano passati appena cinque minuti.

Pensò di scrivere un messaggio, ma l’idea di avere sempre la loro chat aperta lì la angosciava. Sentiva però il bisogno di dire qualcosa quindi aprì le note del telefono.

Ciao Mamma, sono Vanessa.

Sono arrivata a Omaville da qualche ora e ho già fatto parecchie scoperte. La prima è che i miei poteri sono strani. C’è qualcosa che ancora non hanno capito a riguardo. Sono già un passo avanti a me, però, perché io non ho capito niente. Vedremo come va, presto inizierò le lezioni di magia, insieme a quelle universitarie. Non so ancora che corsi dovrò seguire, ma se ci sarà un esame di letteratura francese lo metterò tra le opzioni, così magari potremo parlare di alcuni dei tuoi autori preferiti.

A proposito di autori, ho scoperto che non mi hai mandato i miei libri. Perché? Stai cercando di punirmi? Questa è la domanda che mi assilla. Mi sento come se cercassi di farmi arrivare un messaggio con questa scelta, ma il segnale fosse disturbato. Vedo solo la fine della frase, ma tutto quello che la precede è cancellato. Qual era la ragione? Che cosa stavi cercando di dirmi? Vorrei essere lì per leggere la risposta nel tuo sguardo.

L’ultima scoperta, che in realtà è una riscoperta, è che sono allergica alle noci. Tu lo hai sempre saputo, io l’ho sempre saputo, ma in qualche modo la mia testa aveva cancellato questa informazione.

O non l’aveva mai davvero archiviata, perché c’eri tu ad assicurarti che non avessi bisogno di pensarci. Eri tu ad assicurarti che facessi le cose bene e con cura. Eri tu ad assicurarti che io sopravvivessi, così che io potessi vivere. A volte ti odiavo per questo, a volte mi sentivo come se niente potesse davvero toccarmi.

E adesso tu mi odi e basta e io non so nemmeno come accendere la lavatrice senza di te. “Prima o poi dovrai imparare” mi dicevi, ma poi non me lo mostravi mai.

Adesso vorrei che me lo mostrassi, che mi spiegassi cosa devo fare passo per passo. Che mi aiutassi a sopravvivere così che io possa imparare a vivere di nuovo in questo mondo.

Se vuoi puoi chiamarmi al numero che trovi qui in fondo, oppure puoi rispondere a questo messaggio.

Vedi tu,

Vanessa

In un punto imprecisato del messaggio aveva deciso di spostarsi sulla mail. Era un modo sicuro di sapere che il messaggio era stato inviato senza vedere se l’altra persona lo avesse letto e cosa ne avesse fatto. Era anche un modo per rendere quelle parole, che le avevano bagnato le guance, meno intime e urgenti. Come se invece di scrivere a sua madre stesse mandando un messaggio qualsiasi per lavoro.

Copiò tutto senza rileggere niente, sapendo che se ci avesse pensato troppo avrebbe cancellato l’intero testo. Inserì la mail della madre, quella che usava per iscriversi a tutte le newsletter e che controllava più spesso. Premette invio prima di cambiare idea, poi appoggiò il telefono con troppa forza sul comodino e strizzò gli occhi.

La stanchezza che pensava di aver esaurito si ripresentò ancora una volta e prima di rendersene conto il sonno la catturò di nuovo.

Questa volta fu la luce che filtrava dalla finestra a svegliarla, ricordandole che doveva comprare anche delle tende per la stanza.

Quando controllò il telefono si rese conto che erano già le dieci passate. Si alzò in fretta, decisa a fare qualcosa di diverso, a parte dormire, in quella sua nuova vita. Prima di raggiungere il suo armadio si accorse del foglio bianco che qualcuno doveva aver fatto passare sotto la sua porta mentre riposava.

La calligrafia elegante ma evidentemente frettolosa occupava la parte alta del foglio, lasciando più della metà del foglio ad un numero di telefono, che era stato sottolineato più volte.

Non volevo svegliarti stamattina, ma mandami un messaggio se sei viva (ti scrivo il numero qui sotto)! Se sei morta e vuoi perseguitare qualcuno, ricorda che Matthew ieri ha cercato di ucciderti!

Il tuo fantastico coinquilino,

Eric

Vanessa sorrise al messaggio di Eric, poi lo appoggiò sulla scrivania e aprii delicatamente la porta della stanza. Quando non le arrivò nessun suono dalla casa, tirò un sospiro di sollievo: aveva bisogno di fare una doccia prima di incontrare qualsiasi essere umano.

Il bagno, che il giorno prima aveva guardato di sfuggita, era comodo e spazioso, con una doccia abbastanza grande da permetterle di allargare completamente le braccia prima di toccare le pareti. O i ragazzi che avevano abitato in quella casa erano particolarmente ordinati, oppure tutta la stanza era stata rifatta di recente. Come per il salotto, anche qui i colori preponderanti erano il marrone chiaro e il grigio scuro, abbinati in modo da dare all’ambiente un aspetto maturo che stonava con la carta igienica con sopra disegnati dei rinoceronti di cui Vanessa non si era accorta il giorno prima.

Mentre appoggiava le sue cose sul lavandino, si rese conto di altri piccoli dettagli, come un portasapone a forma di cappello di Mario, vari profumi da uomo, tutti mai usati o appena comprati, e degli asciugamani ai cui angoli erano state ricamate le iniziali E.H.

Vanessa si svestì e si buttò sotto la doccia, lasciando che l’acqua calda le scorresse addosso mentre apriva tutti i prodotti che erano impilati alla rinfusa ma che, per sua sorpresa, erano pieni. Per lei, che buttava un flacone vuoto solo dopo mesi perché continuava a ricordarli solo quando entrava nella doccia, era una grande novità.

Alla fine ne scelse due a caso perché sapevano entrambi di lavanda e lasciò che il bagno si riempisse di vapore profumato.

Quando tornò in camera prese il telefono dal comodino, salvò il numero di Eric e gli mandò un messaggio per fargli sapere che era sveglia.

Non fece in tempo a mettere giù il telefono che le vibrò in mano con la risposta: le diceva di prendere quello che voleva dalla cucina e le chiedeva se avesse voglia di andare con lei in centro il pomeriggio.

Vanessa provò a rispondere, ma il numero di Eric apparve sullo schermo prima che potesse scrivere due parole.

“Ehi! Scusa, ho una lezione tra poco e non posso controllare il telefono, quindi ho pensato di chiamare… Ciao!” l’ultima parola, anche se era urlata nel suo orecchio non sembrava indirizzata a Vanessa “Sì, arrivo. Allora, che dici? Hai voglia di venire in centro più tardi?”

“Va bene, ma come faccio ad arrivare? C’è un autobus che passa qui sotto o…”

“Non ti preoccupare, ti passo a prendere io appena finisco le lezioni.”

“Ma no, sei già in zona, che senso ha?”

“Dovrò comunque cambiarmi, non posso stare con gli stessi vestiti tutto il giorno, cosa penserà la gent… ho capito, arrivo! Senti, ti scrivo quando sto per tornare, okay?”

“Okay” disse Vanessa, nello stesso momento in cui la connessione si staccò.

Anche se non le piaceva l’idea che Eric facesse tutta quella strada per lei, la rassicurava non dover girare per la città da sola.

Lasciò cadere il telefono sul letto e cominciò a prepararsi, insicura sull’orario in cui Eric sarebbe tornato. Si mise un paio di jeans identici a quelli che aveva il giorno prima e dopo aver controllato fuori dalla finestra optò per una maglia a maniche lunghe leggera.

Tornata in bagno si asciugò i capelli e mentre la piastra si scaldava cercò di sistemare tutti i trucchi, gli asciugamani e gli assorbenti nel cassetto che Eric e Matt le avevano liberato. Li ringraziò mentalmente quando si rese conto che era molto più grande di quelli che si erano tenuti loro.

Mentre si faceva la piastra, osservò le radici che tradivano il vero colore dei suoi capelli: se fosse stata a casa, Sara le avrebbe rifatto la tinta in quei giorni, sbuffando perché aspettava sempre troppo a lungo.

Per il suo quattordicesimo compleanno sua madre le aveva concesso di accettare una delle sue richieste “folli”: tingersi i capelli o farsi un secondo buco nelle orecchie. Vanessa aveva scelto i capelli quando Tamara le aveva ricordato che poteva continuare a portare degli orecchini finti quanto voleva.

La madre aveva acconsentito e l’aveva portata dal suo parrucchiere di fiducia, che le aveva colorato i capelli di biondo per la prima volta. Il colore non si scostava molto dal suo tono naturale, un marrone chiaro tendente al nocciola. Vanessa si era innamorata di quella tinta e quando i suoi compagni le avevano fatto i complimenti, aveva deciso di non toglierlo mai più.

L’idea di dover trovare un parrucchiere nuovo, o di doversi rifare il colore da sola, la intristiva e frustrava allo stesso tempo.

Passò in camera per prendere la borsa, il telefono e il libro, poi si spostò in cucina, dove dopo una ricerca inconcludente ripescò i cereali dalla credenza e si mise a mangiarli a piccoli pugni.

Distratta dal suo libro, La canzone di Achille, non sentì il telefono vibrare e si accorse che Eric era tornato quando lo sentì chiamare dalla porta.

Vanessa lo raggiunse in corridoio, dove Eric si stava togliendo le scarpe.

“Hai mangiato qualcosa?” le chiese e la guardò annuire prima di togliersi il felpino troppo caldo per il sole che era uscito. Nonostante le guance arrossate, però, Eric era impeccabile, con la sua camicia bianca e i pantaloni beige che sembravano essere stati cuciti direttamente su di lui. L’idea che Eric volesse cambiarsi quando quei vestiti gli stavano così bene addosso le parve assurda: quando Vanessa riusciva a trovare un outfit che le calzasse a pennello lo usava fino a consumarlo.

“Dammi venti minuti e ci sono, tu sei già pronta per uscire?”

Vanessa annuì.

Puntuale come un orologio Eric si presentò in fondo alle scale, chiavi in mano e capelli umidi perfettamente pettinati. Le maniche della nuova camicia erano corte e i pantaloni erano stati sostituiti da un paio di jeans, ma l’effetto di eleganza non era sparito, come se fosse lui a rendere impeccabili i suoi vestiti e non viceversa.

“Sei pronta per la tua prima avventura a Omaville?” chiese Eric mentre apriva la macchina, saltando le scale della veranda come se avesse fretta di partire.

“Sì?” rispose Vanessa con meno convinzione di quanto sperasse. Per un giro in una città sconosciuta piena di persone capaci di fare magie si era preparata mentalmente, ma per un’avventura? Non era sicura di essere pronta.

“Non puoi dirmi che non conosci Ariana Grande!” sbottò Eric.

“Non ho detto che non la conosco, solo che non la ascolto.”

“Che è anche peggio!” continuò, prima di fermarsi a un semaforo e voltarsi brevemente verso Vanessa. “Allora chi ascolti?”

Vanessa scrollò le spalle.

“Non lo so, di solito metto quei remix di musica classica o indipendente quando studio, ma non è che conosca i musicisti che le fanno.”

“Quindi tu vuoi dirmi”, disse Eric tornando a guardare la strada quando scattò il verde, “che non sai chi sono Taylor Swift, Harry Styles, Lizzo?”

“So chi sono, ma se sentissi una canzone alla radio scritta da loro probabilmente non la riconoscerei.”

Eric rimase in silenzio e quando Vanessa si voltò per guardarlo vide che aveva la fronte corrugata come se stesse cercando di risolvere un’equazione particolarmente complessa.

“Non capisco se mi sta prendendo in giro oppure no. Ti ha detto Matt di dirmelo? Voleva rifarsi per la storia del magedico?”

Vanessa non riuscì a trattenere il sorriso davanti alla sua espressione.

“Ma perché dovrei mentire? È così assurdo che non conosca queste canzoni?”

“Stai scherzando? Ovvio che è assurdo. Persino Gid conosce quasi tutte le canzoni di Ariana Grande e lui ascolta sempre quella roba con le chitarre e la gente che urla.”

L’espressione di Eric, un misto tra frustrazione e sconsolazione, la fece ridere.

“Non so cosa dirti.”

“Oh, non ti preoccupare, ne ho abbastanza da dirti per entrambi. Prendi il mio telefono e metti la playlist con Ariana Grande, abbiamo il tempo per un paio di canzoni ma ne varrà la pena, credimi.”

Continuando a sorridere Vanessa afferrò il telefono di Eric, che era appoggiato sotto la radio della macchina. Stava per chiedere quale fosse la password quando apparve un messaggio da parte di un certo Gideon. La porti qui?

La testa di Vanessa scattò immediatamente verso Eric, che stava guidando ignaro di tutto.

“Dove mi stai portando?”

Eric si voltò verso di lei sorpreso.

“In centro, perché?”

“Perché Gideon ti ha appena scritto.”

“Ah”, Eric esitò e Vanessa sentì il cuore stringersi. Era un’imboscata di qualche tipo? Un rito di iniziazione di cui aveva letto in alcuni dei libri che aveva comprato anni prima? Eric era un membro di una setta?

Le sembrava un tipo normale, la persona che ti presentavano come “un tipo a posto”, ma lo conosceva solo da un giorno, quindi cosa ne sapeva davvero di lui. E cosa sapeva davvero di quella città?

Il suo primo desiderio fu fuggire, il secondo, che si formò intorno a una nube di respiri mozzati, fu che se fosse saltata fuori dalla macchina in quel momento forse non si sarebbe fatta così male.

“Voglio tornare indietro” fu tutto quello che la sua mente riuscì ad articolare.

“No! Vanessa non… aspetta un secondo” disse e Vanessa sentì distante il suono di una freccia inserita.

Quando Eric fermò la macchina in un parcheggio semivuoto Vanessa si slacciò la cintura e saltò fuori. Eric la seguì e fece il giro intorno alla macchina, ma non si avvicinò.

Vanessa fece quello che faceva ogni volta che sentiva l’ansia attanagliarla: cominciò a camminare avanti e indietro, contando i passi in una direzione poi nell’altra. Non le piaceva farlo all’aperto, perché doveva stare attenta a troppe cose, ma in quel momento non sentiva di avere molta scelta. Portò anche una mano alla bocca, cominciando a strappare le pellicine che per mesi era riuscita a non toccare.  

“Non è come pensi” le disse Eric, che la osservava preoccupato da distanza.

Vanessa non si fermò, ma interruppe i suoi pensieri su come tornare indietro, sul poter chiamare Hannah e farsi venire a riprendere, per rispondergli “Mi hai mentito!”

“Non ti ho mentito!” replicò lui, alzando le mani al cielo come aveva fatto il giorno prima con Hannah.

“Allora cosa voleva dire quel messaggio?”

“Niente. Io… Senti, non ci conosciamo bene, lo so. E non so neanche che impressione ti ho fatto ma…”, Eric incrociò le braccia, poi sembrò cambiare idea e le lasciò cadere sui fianchi e guardò Vanessa con un’espressione di resa prima di aggiungere: “ma io non sono molto bravo con le persone.”

Vanessa sbuffò involontariamente.

“No davvero. Sono bravo a parlare con le persone, però… però, come direbbe Gid, non sono bravo a capire se sono persone che possono approffittarsi o meno di me.”

Vanessa si fermò, rivolgendo tutta la sua attenzione a Eric.

“Approfittarsi di cosa?”

“Di me… della mia… posizione.”

Eric si passò una mano sulla faccia e Vanessa si rese conto solo in quel momento di quanto era a disagio. “Non gli avevo nemmeno detto di sì, per essere chiari. Gli avevo detto solo che saremmo andati in centro e lui mi ha chiesto se poteva incontrarti.”

“Incontrarmi” ripeté Vanessa, poi riprese a camminare, questa volta più lentamente. Si rese conto, mentre il suo respiro tornava regolare, che non sapeva neanche di chi stessero parlando.

“Chi è Gideon?”

Eric sembrò preso in contropiede. “È un mio amico. Migliore amico, in realtà. Lui è… una delle poche persone di cui mi fido, tutto qui. Per questo voleva incontrarti, per farsi un’idea di te.”

“E perché non me lo hai detto?”

“Perché non era nemmeno deciso. Non te lo avrei nemmeno chiesto se non avesse inviato quel messaggio. Davvero Vanny, mi dispiace.”

Vanessa guardò due signore che portavano la spesa nel loro carrello, una mamma che teneva una busta troppo piena in una mano e nell’altra il figlio, che giocava con un palloncino a forma di spada.

Una qualsiasi città, in una qualsiasi parte del mondo.

Alla fine sospirò e rispose: “Non importa. Anche io ho dato di matto per niente.”

Perché in quel momento si sentiva proprio così. Se Tamara fosse stata lì avrebbe abbassato il finestrino senza nemmeno spegnere la macchina e le avrebbe detto di darsi una regolata. Sara sarebbe scesa, ma solo per spiegarle quanto stava esagerando le cose. Ora che non c’era nessuna delle due, era compito suo riempire i due compiti.

“Dove mi dovevi portare?” chiese, tornando a guardare Eric che si era appoggiato alla macchina davanti a lei. Quando la guardò interrogativa aggiunse: “Il messaggio chiedeva se mi avresti portato qui. Dov’è questo qui?”

“Ah, nel parcheggio della biblioteca dell’università. Di solito lascio lì la macchina quando devo andare in centro e Gid oggi è rimasto lì a studiare.”

“Andiamo allora.”

“Vuoi incontrare Gideon?” chiese Eric, non riuscendo a nascondere la sorpresa nella voce.

Vanessa scrollò le spalle.

“Mi stai ospitando in casa tua, mi hai dato un passaggio fino qui. Posso incontrare una persona in cambio.”

Eric fece una smorfia, ma invece di aggiungere qualcosa si staccò dalla macchina e tornò dal lato del guidatore. Mise in moto la macchina e attese che Vanessa aprisse lo sportello per entrare, cosa che lei stava esitando a fare.

Alla fine prese un respiro profondo, aprì la portiera di scatto e cercò di sorridere a Eric.

“Abbiamo tempo di ascoltare una canzone di Ariana Grande?”

Eric si illuminò e annuì prima di prendere il telefono in mano. Mentre mandava un messaggio – probabilmente una risposta a Gideon – e faceva partire la canzone, Vanessa osservò il supermercato fuori dal suo finestrino e il cielo vuoto sopra di esso.

Quel nuovo mondo la spaventava, tutte le persone che non conosceva le ricordavano quanto fosse sola in quella nuova città. Ma, per quanto avesse voluto, non poteva andarsene.

Per questo doveva capire come sopravvivere senza l’aiuto di sua madre, di suo padre, delle sue amiche. Doveva essere contemporaneamente tutte le persone che l’avevano guidata nella sua vita fino a quel momento.

Doveva trovare un modo di esistere che non la distruggesse. E per riuscirci aveva bisogno di farsi degli amici.