Capitolo 5

Il parcheggio dell’università era molto più affollato di quanto Vanessa aveva sperato, ma non fu quello a metterla a disagio.

No, a metterla a disagio erano tutti gli occhi che si erano puntati sulla macchina di Eric nel momento in cui era entrata nella zona universitaria. Quasi si stupì di non vedere le persone muoversi per seguirla, dati gli sguardi che continuavano a lanciarle.

Eric parcheggio in uno dei pochi posti rimasti vuoti, nell’angolo più lontano dall’ingresso della biblioteca, poi si voltò verso Vanessa.

“Non sei costretta a incontrarlo. Non che sia una persona strana o che… Voglio dire, non sei costretta se non vuoi farlo. Prima o poi succederà perché siamo spesso insieme e nei weekend che non lavora è spesso a casa nostra, ma non deve succedere oggi se non…”

Il fiume di parole fu interrotto da un tonfo sulla macchina che fece sobbalzare entrambi. Quando Vanessa si voltò per cercare l’origine del suono, vide che uno zaino era stato appoggiato sul cofano della macchina di Eric da una massa di capelli argentei e occhi verdi.

Anche se i capelli erano decisamente tinti, Vanessa non sapeva decidersi sugli occhi, di un verde abbastanza caldo da passare per marrone sotto la luce sbagliata. Era la loro intensità, la luce vibrante che emanavano, a farle dubitare che fosse naturali.

Vanessa distolse lo sguardo solo quando sentì Eric aprire la portiera. Il ragazzo – Gideon, immaginava – la continuò a osservare per qualche secondo prima di voltarsi verso Eric. Il sorriso che aveva offerto a Vanessa divenne molto più genuino quando incontrò quello dell’amico.

Si abbracciarono brevemente, poi Eric fece una smorfia e Gideon scrollò le spalle. Quando Eric incrociò le braccia e cominciò a parlare, Vanessa scese dalla macchina per unirsi alla conversazione.

“… potevi essere un po’ più chiaro.”

“Il messaggio era per te, non per lei” rispose Gideon, poi si voltò verso Vanessa, che aveva fatto il giro della macchina ma aveva mantenuto una certa distanza dai due. “Quindi tu devi essere Vanny?”

Vanessa annuì, ma non aggiunse altro e i due si scrutarono per un attimo in silenzio.

Qualcuno dall’altra parte del parcheggio chiamò Eric e tutti e tre si girarono verso la voce. Vanessa sentì appena il sospiro di Eric, ma quando tornò a guardarli stava di nuovo sorridendo, nello stesso modo in cui aveva sorriso ad Hannah il giorno prima “Vi posso lasciare soli un secondo?”

La domanda, uguale per entrambi, non aveva lo stesso significato: per Vanessa, era una genuina preoccupazione di lasciarla con qualcuno che non conosceva. Per Gideon, sembrava più un sotteso avvertimento di comportarsi bene in sua assenza.

Vanessa annuì di nuovo, ma quando anche Gideon fece lo stesso Eric strinse gli occhi.

“Ce la fai a fare il bravo per cinque minuti?”

“La tua fiducia in me è commuovente.”

“Non sto scherzando”

“Vai” fu tutto quello che disse Gideon prima di spingerlo nella direzione della voce.

Eric si voltò per guardarli un’ultima volta, poi alzò una mano per salutare nella direzione in cui era arrivata la voce.

“Allora, ti piace la casa di Hoffman?” chiese Gideon. Questa volta la sua attenzione era tutta su di lei, come se il resto del parcheggio fosse diventato irrilevante.

Il suo sguardo era attento, penetrante, come se fosse alla ricerca di un tesoro e sapesse esattamente dove scavare per trovarlo. Vanessa si chiese se guardasse così tutti e, se fosse così, quale fosse il suo scopo. Qualunque fosse la ragione, avrebbe voluto chiedergli di smetterla. Non voleva sentirsi intimidita, non voleva sentirsi sotto esame, e quello sguardo non l’aiutava a scrollarsi di dosso quella sensazione.

Vanessa strinse più forte la borsa che portava in spalla, poi cercò di ricambiare il suo sguardo con quanta decisione si sentiva capace e chiese: “Fa parte del tuo test?”

Gideon sembrò per un momento genuinamente sorpreso.

“Quale test?”

“Eric mi ha detto che non è capace di capire le persone e che tu sei uno dei pochi di cui si fida. Per questo sono qui, no? Così puoi decidere se può fidarsi di me o no” disse Vanessa, ma non aggiunse la parte che per lei era più importante. Se non avesse superato quel test, se Gideon non l’avesse considerata degna di fiducia, avrebbe dovuto lasciare la casa? Le avrebbero reso la vita un inferno?

Vanessa fu distratta da una risata di Gideon e si voltò a guardarlo prima di chiedere: “Cosa ho detto?”

Gideon si passò una mano sulla faccia, ma sembrava ancora divertito. “Tu? Niente. È Eric che non sa tenere la bocca chiusa.”

“Quindi è un test”

Gideon fece il giro intorno alla macchina per raggiungerla, poi le sorrise e disse: “Sì e no. Ma ormai non importa più. Sappi solo che ti terrò d’occhio”

“Così che io non mi possa approfittare di Eric”

“Così che tu non ti possa approfittare di Hoffman” ripeté, questa volta serio. Poi allungò una mano verso di lei e aggiunse: “Eric ti avrà già detto come mi chiamo, immagino”

Vanessa guardò la mano di Gideon un secondo di troppo prima di stringerla.

“Gideon. Io mi chiamo Vanessa”

“Ma tutti ti chiamano Vanny”

Vanessa lo guardò perplessa “Credo che solo Eric mi chiami così.”

Gideon scrollò le spalle, come se per lui fosse la stessa cosa. “Beh, Vanny, benvenuta a Omaville. Sono sicura che ti troverai benissimo, soprattutto se ami le feste che durano fino all’alba. Eric è un maestro a organ-” non finì la frase perché una mano apparve da dietro di lui per colpirlo alla testa.

“Ti ho chiesto solo una cosa!” tuonò la voce di Eric, l’espressione contrariata.

“Hai dubitato di me dall’inizio, è inutile che fai il sorpreso adesso” fu tutto ciò che offrì Gideon.

Invece di rispondergli Eric si voltò verso Vanessa e disse: “Non stare ad ascoltarlo, a metà delle feste che organizzo si nasconde in un angolo a bere quelle strane bevande zuccherate e disegnare.”

Quando una mano volò nella sua direzione, Eric si scansò fluidamente, poi fece un passo indietro quando Gideon provò ad afferrarlo di nuovo.

Non sembravano davvero litigare, quanto ripetere una danza conosciuta a entrambi e perfezionata negli anni.

“Eric è diventato più aggressivo da quando conosce Gideon”, disse una voce alle spalle di Vanessa.

Lei sobbalzò e si girò di scatto, solo per trovarsi davanti la copertina di una rivista. O meglio, la modella che ne occupava la prima pagina e tutta la prima intervista sulla sua vita, i suoi amori trovati e perduti, la sua ultima comparsa in qualche film o serie tv.

Vanessa impiegò un attimo per mettere a fuoco la ragazza che aveva davanti, troppo distratta dalla perfezione che sembrava scintillare su di lei come una patina.

Avrebbe voluto concentrarsi sui suoi capelli, biondi come i suoi ma all’apparenza naturali, se l’assenza della ricrescita e le punte sane non la ingannavano, sul suo sorriso smagliante che scintillava quasi più degli occhi, sui suoi vestiti che urlavano ricchezza senza bisogno che individuasse le firme. Persino sul suo trucco, impeccabile nella sua semplicità, che Vanessa aveva sempre provato a realizzare con mediocri risultati.

Ma il suo sguardo si fermò sugli occhi, troppo chiari per essere reali e troppo freddi per esser cordiali.

Se Vanessa l’avesse vista in un film, avrebbe detto che era bellissima. Ma avendola ad un metro di distanza, si sentiva molto meno incline a farle un complimento e più propensa a girarsi e non incrociare più la sua strada. Lo sguardo tagliente che le lanciava non era certo di grande aiuto.

Ma l’espressione dei suoi occhi non raggiungeva il sorriso sulle sue labbra “Tu devi essere la nuova coinquilina di Eric.”

Non era una domanda, ma Vanessa annuì e cercò di non balzare via quando la ragazza allungò la mano verso di lei “Io sono Alicia, un’amica d’infanzia di Eric. Ormai ci conosciamo da più di dieci anni, ma chi li conta più.”

Tu, avrebbe voluto rispondere Vanessa, ma si trattenne. Se Alicia era un’amica di Eric, doveva almeno entrare nelle sue grazie.

“Io mi chiamo Vanessa”

“Lo so, ho sentito parlare di te.”

Vanessa avrebbe voluto chiederle dove, ma Alicia sembrava non aspettare altro che mettere in mostra quello che sapeva. Quindi annuì e basta e continuò a guardare la mano di Alicia, che non aveva ancora stretto.

Alicia non le diede però il tempo di pensarci ulteriormente e si passò una mano tra i capelli, come se il gesto mancato di Vanessa fosse stato calcolato fin dall’inizio.

Poi si appoggiò alla macchina di Eric e, senza smettere di sorridere, le chiese “Qual è la tua storia?”

Vanessa la guardò confusa prima di ripetere: “La mia storia?”

“Sì, come mai sei finita qui? Hai appena scoperto i tuoi poteri magici?” quando Vanessa non disse niente lei continuò: “Devi avere dei buoni contatti per essere riuscita a farti sistemare da Eric. Oppure sei troppo pericolosa per stare in un dormitorio?”

Questa volta Vanessa cercò di nascondere il sussulto, ma non dovette riuscirci molto bene perché Alicia disse in tono quasi entusiasta: “Allora sei davvero pericolosa, cosa hai combinato là fuori? Hai fatto male a qualcuno?”

Alicia si muoveva in un ballo tutto suo, come se ogni sua mossa fosse calcolata per chi la stava guardando, dalla mano appoggiata sopra la borsa all’altra che giocava con una ciocca di capelli. Vanessa distolse lo sguardo, mentre cercava ancora una volta di nascondere la sua reazione.

Vide che un gruppetto di persone si era avvicinato alla macchina, ma aveva mantenuto una distanza sufficiente da loro da non ascoltare la conversazione. A meno che non avessero poteri magici per farlo.

Vanessa sentì prima che vedere una presenza al suo fianco. Il braccio che Eric appoggiò sulla macchina era abbastanza vicino da far sentire la sua presenza senza toccarla.

“Non mi sembra il tipo di domanda da fare a una persona che hai appena conosciuto, Alicia.”

“Se non ha nemmeno il coraggio di parlarne forse non dovrebbe stare a casa tua” rispose Alicia, dimenticando tutti i gesti che aveva ripetuto fino a quel momento e mettendosi dritta “ci sono altri posti più adatti in cui potrebbe stare.”

“A meno che non se ne voglia andare, per me non è un problema ospitarla” ribatté Eric, ma il suo tono conciliatorio non dava molta enfasi alla sua frase.

“Non devi essere sempre tu a immolarti per i cuccioli abbandonati, Eric” disse Alicia, incrociando le braccia e continuando a tenere lo sguardo puntato sul ragazzo biondo.

Vanessa avrebbe voluto spostarsi per lasciarli discutere della cosa da soli, ma aveva paura che muovendosi avrebbe attirato di nuovo l’attenzione di Alicia. E adesso era consapevole di non starle simpatica.

“Non c’è bisogno che ti preoccupi per me Al, davvero.”

Alicia scrollò la testa, poi cambiò argomento. “Stasera gli altri vengono da me, ti unisci a noi?”

“Ho promesso a Vanessa di portarla in centro e di aiutarla con il suo nuovo orario delle lezioni. Magari la prossima volta.”

Vanessa si voltò per dire a Eric che potevano rimandare senza problemi, ma Gideon intercettò il suo sguardo e scosse appena la testa.

“Ci hai già dato buche tre volte e non ti sei fatto vedere per-” Alicia si interruppe e guardò Vanessa, il sorriso che aveva mostrato poco prima definitivamente sparito. Sembrò indecisa su cosa aggiungere, ma alla fine tornò a guardare Eric e disse: “Ti scrivo cosa abbiamo organizzato per il compleanno di Pat, vedi di non mancare.”

Prima che Eric potesse rispondere, Alicia si era già girata per dirigersi verso il gruppo di ragazzi che Vanessa aveva adocchiato poco prima. Quando li raggiunse e superò, il gruppo iniziò a muoversi, come se Alicia fosse l’ingranaggio mancante per permettergli di partire.

Vanessa li guardò allontanarsi, poi si voltò verso Eric, che stava guardando ancora nel punto dove poco prima si trovava Alicia. Quando sentì lo sguardo di Vanessa su di sé si voltò e le sorrise dispiaciuto.

“Mi dispiace per Alicia, non pensavo fosse qui”

“Non era qui, qualcuno deve averla avvisata che eri tornato” aggiunse Eric, mentre tirava fuori una sigaretta dal giubbotto.

Vanessa cercò le parole giuste da dire, ma alla fine si limitò a chiedere: “Tu e Alicia state… insieme?”

La smorfia di Eric era più esplicativa di mille parole.

“No, non siamo mai stati insieme ma… Possiamo tenerla come storia per un altro giorno?”

Vanessa annuì, ma fu Gideon ad aggiungere: “Se puoi, evita di girarle attorno Vanny.”

“Perché?”

Fu Eric a risponderle: “Alicia è un’illusionista. E anche piuttosto brava”

“La più brava in tutta Omaville” aggiunse Gideon, “e ne è perfettamente consapevole.”

“E quindi cosa fa, va in giro a creare illusioni?” chiese Vanessa, non riuscendo a dissimulare la nota di preoccupazione nella sua voce.

Eric si mise dritto e guardò Gideon, che per tutta risposta buttò la sigaretta ancora a metà per terra.

“Non potrebbe, ma è difficile capire quando succede”

“Per questo è brava” disse Gideon, ma dal tono della sua voce non sembrava volesse farle un complimento.

Eric, che dovette notare l’espressione di Vanessa, si affrettò ad aggiungere: “Non è pericolosa, ma se puoi cerca di starle lontano. L’università è grande, non dovresti avere problemi.”

“Starle lontano, posso farlo.”

“E se ti dà qualche problema chiamaci, in qualsiasi momento” concluse Gideon. Poi raccolse da terra la sua borsa a tracolla, talmente consunta da preoccupare Vanessa sulla sua effettiva resistenza, “dovete andare se non volete tornare a casa tardissimo. Norwegian Wood e controlla che la copertina non sia rovinata questa volta.”

Eric annuì e lo salutò con un abbraccio veloce lo guardò andare via prima di voltarsi verso Vanessa.

“Andiamo?”

Il centro di Omaville era molto più ordinario di quanto Vanessa si fosse aspettata. Non lo avrebbe mai ammesso ad alta voce, ma non vedere persone o oggetti volare in giro le era sembrato quasi strano, come se mancasse un dettaglio dall’immagine che si era fatta di quella città.

Ma il negozio in cui la portò Eric era esattamente come gli altri in cui era andata più volte con Sara e Tamara e al suo interno vendeva le stesse candele e persino gli stessi cuscini che lei aveva a casa.

Non ricomprò niente di simile a quello che già aveva, optando invece per dei cuscini monocromatici e qualche candela che sapeva troppo di zucchero e poco di qualsiasi cosa fosse scritta sull’etichetta. Comprò anche una coperta calda con dei gatti con gli occhiali disegnati sopra, che aveva fatto ridere Eric quando l’aveva vista, e altri piccoli oggetti di cui non riusciva a identificare ancora l’utilità.

Se smetteva di concentrarsi sul contesto, poteva fingere di essere una qualsiasi studentessa universitaria appena trasferita in un nuovo appartamento. Poteva fingere che tutta quella situazione fosse eccitante, invece che spaventosa.

E così di era persa tra gli scaffali ad annusare incensi – che Eric aveva fatto finta di odiare – e colori sgargianti – che lei aveva fatto finta di non volere -.

Erano tornati alla macchina per depositare tutti gli acquisti e poi avevano fatto una visita veloce ad un negozio di mobili, dove Eric aveva individuato una panca per la sua stanza che potevano comprare e montare a casa.

Quando finalmente uscirono anche da quel negozio, Vanessa si rese conto che il sole stava cominciando a calare.

Anche Eric se ne accorse e dopo essere salito in macchina tirò fuori il telefono imprecando debolmente.

“Se ci muoviamo dovremmo riuscire a passare in libreria prima che chiuda.”

“Non dobbiamo andare per forza” replicò Vanessa, anche se sentiva quasi un bisogno fisico di comprare qualche libro: la sua stanza non poteva essere sua se non c’erano dei libri dentro.

“In realtà a questo punto devo andare, ho promesso a Gideon di prendergli un libro. Però se vuoi puoi aspettarmi qui.”

Vanessa fece un gesto vago che Eric non notò, impegnato a uscire dal parcheggio dell’università. In centro c’erano più macchine di qualche ora prima, ma il ragazzo riuscì comunque a trovare un posto dove parcheggiare la macchina di fronte alla libreria.

Mentre Vanessa apriva lo sportello della macchina il telefono di Eric cominciò a vibrare. Quando si voltò per guardarlo, vide che il suo sguardo si era rabbuiato e che osservava lo schermo illuminato senza rispondere.

“Se vuoi posso entrare da sola.”

Eric alzò lo sguardo su di lei sorpreso, poi guardò di nuovo lo schermo e infine Vanessa. “Puoi prendere Norwegian Wood di Murakami? Aspetta ti do i soldi.”

“Non ti preoccupare, puoi darmeli anche dopo” rispose lei, prima di chiudere la portiera e avviarsi a passo veloce verso l’ingresso della libreria.

La libreria che si trovò davanti era più grande di quanto si era aspettata dalle due vetrate esterne, ma da una prima occhiata non era chiaro l’ordine con cui erano stati disposti i libri: invece della solita divisione per generi a cui era abituata Vanessa, lì i libri erano stati raccolti sotto etichette soggettive come “libri che ti faranno piangere” “compralo e tienilo in casa per fare bella figura” “se non ti piacciono le storie d’amore cerca qui”. E poi le due categorie più grandi, sistemate su due scaffali piramidali di fianco a una piccola scalinata che doveva portare al piano superiore, “i preferiti di Jenny” e “i preferiti di Christopher”.

“Cercavi qualcosa in particolare?”

Vanessa si voltò verso la voce, che proveniva dal bancone all’ingresso dove un ragazzo stava sistemando dei libri in una pila disordinata. A un primo sguardo l’uomo sembrava avere poco più di trent’anni, anche se Vanessa non ne era poi così sicura: la scura barba incolta lo faceva sembrare molto più grande, ma i grandi occhi marroni sembravano quelli di un ragazzino.

Quando l’uomo ripeté la domanda, Vanessa si riscosse e rispose: “Cercavo Norwegian Wood di Murakami”

Lui annuì e tornò a guardare la pila di libri che aveva davanti. “Lo trovi in fondo a destra, tra i titoli da leggere con una penna in mano.”

“Ha fatto lei le pile?”

L’uomo non alzò lo sguardo verso di lei e cominciò a dividere i libri. “Io e mia moglie Jenny. Alla fine di ogni mese chi ha venduto più libri dalla sua pila paga la cena all’altro” fece una pausa prima di alzare lo sguardo su di lei. “Se ti va di comprare un altro libro dai un’occhiata alla mia pila. Questo mese Jenny mi sta battendo di otto libri, comincio a credere di avere dei pessimi gusti.”

Vanessa trattenne una risata, ma promise di dare una occhiata alla sua selezione. Prima che potesse allontanarsi dall’ingresso il proprietario, Christopher aggiunse: “I libri di magia sono tutti al secondo piano insieme a quelli usati, se per caso fossi interessata a dare un’occhiata.”

Vanessa si congelò sul posto e osservò la scala che portava al piano di sopra senza aggiungere altro.

“Sei nuovi di qui, giusto?” chiese Christopher di punto in bianco.

“Come fa a saperlo?”

Christopher scrollò le spalle, poi appoggiò l’ultimo libro su una delle pile che aveva creato e la guardò dritta negli occhi. “Non ti ho mai visto da queste parti. E riconosco quello sguardo quando lo vedo. Non sei la prima che entra qui cercando un po’ di normalità. Il negozio chiude fra dieci minuti, Jenny mi uccide se arrivo tardi per cena” concluse e, senza dare a Vanessa il tempo di rispondere, raccolse una colonna di libri che aveva creato e si diresse nell’angolo opposto del negozio.

Vanessa rimase ferma ancora per qualche secondo sull’ingresso prima di dirigersi verso l’angolo che le aveva indicato Christopher. Era contenta che nel negozio non ci fosse nessuno a vedere le sue mani tremanti che afferravano una copia a caso del libro di Murakami.

Afferrò un libro a caso dalla stessa pila, di cui non lesse nemmeno il titolo, proprio mentre dentro di sé sentiva lo stesso formicolio del giorno prima muoversi, come attirato da qualcosa che lei non riusciva a sentire.

Vanessa strinse al petto i due libri che aveva preso e tornò velocemente verso il bancone. Dopo aver appoggiato i libri tirò fuori il portafoglio dalla borsa e lo strinse con tutte le sue forze, pregando dentro di sé perché quel formicolio sparisse.

Vide le labbra di Christopher muoversi, ma non riuscì a distinguere le parole che stava pronunciando. Quando lui le porse il resto, lo afferrò in fretta e uscì di corsa dal negozio. Una folata di vento serale le scompigliò i capelli e, mentre il formicolio scompariva lentamente dal suo corpo, Vanessa riuscì finalmente a respirare di nuovo.

Aprì gli occhi che non si era accorta di aver chiuso quando sentì una persona sbattere contro la sua spalla e si voltò verso la macchina di Eric, parcheggiata nello stesso posto di prima.

Vanessa attraversò ma esitò a salire quando vide lo sguardo rabbuiato di Eric. I suoi occhi erano puntati sul volante ma non sembravano metterlo a fuoco, come se in quel momento non si trovasse nella sua macchina.

Il ragazzo dovette accorgersi della sua presenza, perché alzò lo sguardò verso di lei. Vanessa aprì lo sportello nello stesso momento in cui Eric concluse la chiamata.

Vanessa salì in macchina e si mise la cintura mentre Eric metteva in moto. Quando si voltò a guardarlo lui le sorrise allegramente. L’espressione, così diversa da quella che aveva visto poco prima, la destabilizzò.

“Hai trovato quello che stavi cercando?”

“Sì. E ho preso anche il libro per Gideon.”

“Grazie, dopo ti do i soldi.”

“Figurati, per un libro!”

“Se Gid scopre che gli hai pagato tu il libro non ne sentirò più la fine. Ti serviva qualcos’altro? O possiamo tornare a casa?”

“No, sono a posto.”

Eric annuì ma non si voltò verso di lei, continuando a tenere gli occhi fissi sulla strada. Per un po’ restarono in silenzio, mentre Vanessa continuava a lanciare occhiate furtive a Eric. Il ragazzo aveva portato una mano alla bocca e sembrava impegnato a mordere la falange del suo dito indice distrattamente.  

Quando si passò una mano tra i capelli per la quarta volta, Vanessa chiese: “Va tutto bene?”

Eric sembrò metterla a fuoco per la prima volta da quando era entrata in macchina. “Scusa, non stavo ascoltando. Cosa hai detto?”

“Ti ho chiesto se va tutto bene. Mi sembri… teso?”

Eric fece una smorfia, ma non disse nulla e Vanessa lasciò cadere l’argomento. Si mise a guardare fuori dal finestrino, osservando le strade di Omaville che diventavano sempre più grandi e vuote mano a mano che si allontanavano dal centro.

“Era mia madre”, sussurrò all’improvviso Eric.

Vanessa si voltò verso di lui. “Al telefono?”

Eric annuì. “Lei… non chiama spesso e quando lo fa-” sembrò cercare le parole giuste, ma alla fine scosse le spalle sconfitto “diciamo che non abbiamo molto da dirci.”

“Tua madre non vive a Omaville?”

“No. Quando ho mostrato i miei poteri per la prima volta mio padre è venuto qui con me. Mia madre aveva promesso di raggiungerci appena fosse riuscita a sistemare alcune cose, ma non lo ha mai fatto. Adesso mi chiama qualche volta, ma…”

“Ma non avete molto da dirvi” ripeté Vanessa, ottenendo un piccolo sorriso da parte di Eric. “Da quanto tempo non la vedi?”

Eric si passò una mano in mezzo ai capelli prima di dire: “Quasi dieci anni.”

Vanessa ammutolì. Non riusciva nemmeno a pensare a cosa poter dire che non fosse banale o scontato. Mi dispiace, non sembrava neanche lontanamente sufficiente.

Quando arrivarono ad un semaforo rosso Eric si fermò e si voltò verso Vanessa. “Non è una cosa così strana per i risvegliati, soprattutto se nascono in famiglie in cui nessuno lo è stato prima di loro. Ma immagino che anche tu ne sappia qualcosa.”

Questa volta fu il turno di Vanessa di fare una smorfia. “Già, neanche i miei si sono rivelati di grande supporto” disse e, prima di riuscire a fermarsi, cominciò a ridere.

Eric lanciò uno sguardo al semaforo e ripartì, ma continuava a voltarsi verso Vanessa confuso.

Vanessa cercò di riprendere fiato mentre tra una risata e l’altra cercò di spiegarsi: “Scusami… è solo che non si sono rivelati di grande supporto mi sembra l’eufemismo peggiore che abbia mai sentito. Me li immagino seduti sul divano del nostro salotto che mi prendono la mano e serissimi mi dicono scusaci Vanessa, non possiamo proprio esserti di supporto.”

La fine della frase le procurò un’altra risata isterica che fece piegare in due sul sedile. Nello stesso momento in cui la sua risata fu rotta da un singhiozzo sentì la mano di Eric appoggiata sulla sua spalla.

Vanessa si coprì gli occhi con le mani, cercando di trattenere le lacrime che volevano cadere dai suoi occhi, e si concentrò solo sul suo respiro. Per quanto provasse a scacciarle, le immagini dell’ultimo incontro con i suoi genitori le continuavano a riapparire davanti agli occhi e le loro parole la ferivano come la prima volta.

Ci mise un po’ ad accorgersi che la macchina non si stava più muovendo e quando alzò lo sguardo si rese conto che erano fermi sul ciglio di una strada che non riconosceva.

Vanessa cercò di asciugarsi gli occhi e mentre il suo respiro tornava regolare sussurrò: “Scusami… Non so cosa mi sia preso. Scusa”

“Non ti scusare, sono contento che tu abbia pianto” disse, ma quando Vanessa si voltò verso di lui accigliata si affrettò a spiegare: “Voglio dire, sono contento che tu ti sia… lasciata andare, ecco. Hannah mi ha detto che l’ultima vera reazione che ti ha visto provare è stata quando ti ha spiegato cosa fosse un risvegliato. Dopo ti sei chiusa in te stessa e non hai più lasciato trapelare nulla. Era preoccupata che stessi soffrendo più di quanto dessi a vedere, ma non riusciva a capire come poterti aiutare.”

Vanessa si appoggiò allo schienale della macchina e sospirò. “Non volevo farla preoccupare, se mi avesse detto qualcosa l’avrei… rassicurata”

“Non credo volesse essere rassicurata, Vanny. Voleva solo aiutarti, ma senza starti addosso. Prima che arrivassi mi ha chiamato per spiegarmi la situazione. Non mi ha detto niente di specifico,” aggiunse quando vide lo sguardo di Vanessa “solo che avevi bisogno di un posto dove stare. Non voleva farti entrare in un dormitorio, anche se non mi ha spiegato perché. Le ho chiesto se potessi fare qualcosa per te e lei mi ha risposto, testualmente, non ne ho idea, non riesco a capire di cosa possa avere bisogno.”

Vanessa cercò di ricordare quelle settimane, ma per quanto si sforzasse nella sua mente tutto rimaneva confuso. Sapeva di essersi spostata, di aver parlato con delle persone, di aver mangiato e bevuto a tavola con qualcuno. Ma ogni volta che cercava di mettere a fuoco qualcosa di più, le veniva restituita una immagine offuscata che non riusciva a mettere a fuoco.

Aveva fatto quello che le avevano chiesto senza pensare, consapevole che se si fosse fermata tutto quello che le stava succedendo le sarebbe scoppiato addosso impedendole di muoversi ulteriormente.

“Io non… Non penso di sapere di cosa ho bisogno adesso.”

Si voltò verso Eric, sperando di trovare in lui le risposte che non si sapeva dare. Invece trovò un sorriso rassicurante a ricambiare il suo sguardo sconfitto.

“Non c’è fretta, Vanny. Prenditi tutto il tempo necessario, ma sappi che se avrai mai bisogno di qualcuno con cui parlare, con cui sfogarti o anche solo con cui passare una serata a guardare video stupidi, puoi contare su di me. D’accordo?”

Vanessa annuì e prima che potesse fermarli i suoi occhi si riempirono di lacrime. Quando Eric allargò le braccia, lei si sporse per abbracciarlo. Era un abbraccio solo parziale, scomodo a causa delle cinture che li tiravano in direzioni apposte e dei sedili che impedivano di avvicinarsi. Ma con la testa appoggiata sulla spalla di Eric e il battito del suo cuore che accompagnava il suo respiro, Vanessa dimenticò Omaville, i poteri, i suoi genitori, le sue amiche. Si concentrò su quel momento, sulle lacrime che minacciavano ancora una volta di cadere, sul dolore sordo che aveva cercato di cancellare per settimane senza mai sentirlo. Lo lasciò uscire, si permise di sentirlo per la prima volta dopo tanto tempo, sperando così di poterlo lasciare andare per sempre.