“Oggi è il grande giorno!” le disse Eric dal bancone della cucina quando Vanessa lo raggiunse la mattina dopo.
Vanessa aprì lo sportello del frigo senza rispondere, cercando di nascondere dietro un’espressione tranquilla l’ansia che le attanagliava lo stomaco.
“So che non sembra così, ma l’università di Omaville non è poi così speciale.”
“Tranne per il fatto che gli studenti possono usare la magia.”
Eric scrollò le spalle, come se quell’elemento non fosse poi così rilevante. “Nei conservatori tutti gli studenti sanno suonare uno strumento, qui è più o meno la stessa cosa.”
Vanessa si voltò per lanciargli uno sguardo dubbioso, poi prese una bottiglia di latte aperta e la ciotola che aveva usato il giorno prima per pranzo. Si sedette davanti a Eric, che stava mangiando a piccoli morsi un toast al formaggio.
“Sai già che corsi dovrai seguire?”
Vanessa scosse la testa. “Non so quali dei miei esami valgano anche qui e non ho guardato nemmeno quali corsi siano disponibili per il mio corso di studi.”
“Adam non ti ha dato la scheda delle tue lezioni?”
“Adam?”
“Mr. Harrison” intervenne Matthew, entrando in cucina ancora in pigiama e con i capelli scompigliati. “Di solito è lui a preparare il piano di studi per i nuovi studenti, almeno per il primo anno. Te lo dovrebbe aver consegnato quando sei arrivata.”
“Magari te lo ha inviato per mail” aggiunse Eric.
“Non mi è arrivata nessuna mail. Ma mi ha chiesto di passare nel suo ufficio stamattina, quindi immagino me lo consegnerà oggi.”
Vanessa preferì sorvolare sulle ragioni che avevano impedito a Mr. Harrison di consegnarle il foglio durante il loro primo incontro, preoccupata di come avrebbero reagito Eric e Matthew sapendo quanto fosse instabile la magia dentro di lei.
“Allora ti accompagno fino all’ufficio, tanto la mia prima lezione è poco distante” concluse Eric prima di alzarsi e appoggiare il piatto vuoto nel lavandino. Vanessa si accorse solo in quel momento di quanto fosse elegante anche quel giorno, con la camicia perfettamente stirata sopra un pullover nocciola che risaltava i suoi occhi. Nonostante avesse indossato il suo maglioncino preferito e dei jeans appena comprati, Vanessa si sentì inadeguata alla situazione.
Consapevole che rifletterci sopra l’avrebbe solo spinta a cambiarsi una decina di volte senza risultato, Vanessa cercò di distrarsi e chiese a Eric: “Tengono tutti i corsi lì?”
“Quelli umanistici sì. Alcuni dei miei corsi sono lì per una questione di spazi, invece Matt deve andare in un’altra sede per seguire i suoi corsi.”
“Cosa studi?” gli chiese Vanessa.
“Studio informatica. Scusate” rispose Matthew distrattamente, prima di alzarsi e tornare di sopra senza più guardarli in faccia.
Vanessa lo guardò andare via, poi si voltò verso Eric con sguardo interrogativo.
“Di solito la mattina chiama la sua ragazza. Sei pronta ad andare?”
“Non aspettiamo Matthew?”
“No, lui di solito ha pochi corsi in presenza e va in università in skateboard” disse, prima di tirare a sua volta fuori il telefono dalla tasca. “Io devo fare una chiamata, ti aspetto in macchina.”
Vanessa annuì, mangiò in fretta le ultime cucchiaiate di cereali che non aveva toccato fino a quel momento, poi lasciò la sua ciotola nel lavandino e corse di sopra a prendere il suo zaino.
Mentre passava per il corridoio vide di sfuggita Matthew seduto sul bordo del letto a gambe incrociate, che parlava con qualcuno al telefono. Il giorno prima lo aveva visto sorridere cordiale, ma in quel momento il suo sorriso era molto più genuino e caldo, riservato probabilmente per la persona dall’altro capo del telefono.
Mentre afferrava il suo zaino dal letto, Vanessa si chiese cosa sarebbe successo se avesse provato a chiamare le sue amiche.
Sara avrebbe risposto distrattamente, perché aveva la brutta abitudine di non guardare mai chi la stava chiamando, ma avrebbe butto giù il telefono non appena avesse sentito voce di Vanessa. Tamara non avrebbe riattaccato, probabilmente sarebbe riuscita anche a fare conversazione per qualche minuto girando intorno a qualsiasi argomento serio, ma non avrebbe fatto nessuna domanda e Vanessa avrebbe sentito per la prima volta usato su di lei il suo tono da ti parlo perché devo ma non siamo amiche, che usava sempre quando incontrava persone che non le stavano simpatiche.
Mentre scendeva le scale, arrivò alla conclusione che non contattare nessuna delle sue amiche era il modo migliore per non rimanere feriti.
La prima volta che era arrivata nell’ufficio di Mr. Harrison non aveva trovato quasi nessuno nei corridoi. Quel giorno invece, dopo aver salutato Eric all’ingresso, era entrata nell’edificio e si era ritrovata circondata da voci, telefoni che suonavano e chiacchiere mattutine tra quelli che dovevano essere i professori dell’università.
Vanessa sbagliò solo una delle svolte e fu costretta a tornare indietro, ma alla fine arrivò davanti alla porta dell’ufficio di Mr. Harrison con dieci minuti di anticipo.
Dato che la porta era ancora chiusa, si guardò intorno, prestando particolare attenzione a una bacheca sul muro di fronte a lei che raccoglieva manifesti di convegni più o meno vecchi.
Nel corridoio c’era solo un’altra ragazza che aspettava vicino alla porta di Mr. Harrison. Aveva occupato una delle sedie posizionate davanti all’ufficio, lasciando lo zaino appoggiato in quella alla sua destra e il giubbotto di pelle in quella alla sua sinistra.
Invece di sedersi nell’ultima sedia rimasta vuota, Vanessa si appoggiò al muro a debita distanza, muovendosi cauta per non disturbare la ragazza, che però era assorta nella lettura di un libro e non si accorse nemmeno della sua presenza.
Vanessa si guardò intorno per qualche minuto, ma alla fine il suo sguardo tornò sulla ragazza seduta poco lontano da lei.
I suoi capelli corvini, lunghi fin sotto il seno e talmente lisci da sembrare innaturali, erano stati spostati dietro il suo orecchio, lasciando a chiunque passasse una visuale perfetta sul suo volto.
Doveva avere la sua stessa età, eppure portava i suoi anni con una maturità e disinteresse che la mettevano a disagio. Il suo guardo, assorto nel libro e allo stesso tempo lontano da quell’ufficio, era disteso dalla calma di chi riesce e non farsi toccare dal mondo, di chi non mette il naso negli affari degli altri e non lascia che gli altri lo mettano nei suoi.
Seduta lì, con una gamba al petto e il piede appoggiato sul bordo della sedia, sembrava incapace di concepire la presenza di qualcuno nel mondo che non fosse lei e il suo libro. Se la terra avesse cominciato a tremare sotto i suoi piedi, probabilmente non si sarebbe alzata prima di finire la pagina che stava leggendo.
Vanessa le invidiò quella confidenza apparente, che non era mai stata in grado di imparare né utilizzare nella sua vita.
Stava osservando il gioiello che portava sulla mano, una catenina che partiva dal polso e andava ad agganciarsi ad un anello nel dito medio, quando la porta dell’ufficio si aprì davanti a lei.
“Vanessa! Non pensavo fossi già arrivata, avresti potuto bussare!”
“Mi aveva detto di venire per le 9, non volevo disturbarla prima” rispose lei, entrando nell’ufficio quando Mr. Harrison le fece spazio sulla porta.
“Lo dico solo per far credere che io abbia una vita al di fuori di questa stanza, ma in realtà passo qui la maggior parte del tempo. Siediti pure” concluse, chiudendo la porta alle sue spalle e indicando a Vanessa una delle due sedie davanti alla scrivania. “L’altra volta non sono riuscito a consegnarti il tuo piano di studi.
Abbiamo ricevuto il tuo dossier accademico della tua vecchia università, molti degli esami che hai già dato possono essere validati anche qui, per altri credo saranno necessarie alcune integrazioni con i professori referenti del corso, inoltre ho inserito…”
Vanessa ascoltò distrattamente Mr. Harrison che le illustrava i corsi che avrebbe potuto seguire in quel semestre per mettersi in pari con gli altri studenti, oltre che una lista di opzioni per l’anno accademico successivo. La sua attenzione era concentrata sulle caselle della mattina, vuote tranne che per la scritta Primo ciclo di allenamento e il nome Rebecca Blois.
“Fino a qui tutto chiaro?” chiese Mr. Harrison, scuotendola dai suoi pensieri, poi abbassò lo sguardo sul piano di studi e sembrò accorgersi di cosa aveva attirato l’attenzione di Vanessa. “Ah le lezioni con la professoressa Blois. Sono segnate per quattro volte a settimana, ma in realtà sarai inserita in uno dei due gruppi del primo ciclo, quindi non ti occuperanno troppo tempo. E credo che per le prime settimane non seguirai nessuna lezione con il resto del gruppo, ma questa è una cosa che discuterai meglio con Ms. Blois. Lei vorrebbe incontrarti stasera dopo le lezioni, tu riusciresti ad andare?”
Vanessa trasalì. In quei pochi giorni a Omaville aveva cercato di lasciare in un angolo qualsiasi pensiero riguardasse la magia e non si era più fatta domande sull’addormentare o meno quei poteri. Una parte di lei era già convinta che quella fosse la scelta migliore, ma sia Mr. Harrison che Hannah le avevano consigliato di rifletterci bene e, in tutta onestà, lei non poteva affermare di averci pensato.
Dopo un momento di esitazione sussurrò: “Io non ho ancora deciso cosa fare però e non so se sono pronta a-”
“Non è necessario che tu decida ora cosa vuoi fare. Ci sono studenti che arrivano al terzo ciclo senza aver ancora deciso. Quello che ora è più importante per noi è che tu ti abitui alla tua magia, che riesca a controllarla quando necessario.”
“Ma se succedesse di nuovo quello che è successo l’altro giorno?”
“Ms. Blois è stata informata ed entrambi stiamo indagando per capire cosa può essere andato storto durante il nostro primo incontro. Ma non possiamo mettere in pausa qualsiasi allenamento fino a quando non avremo tutte le risposte. Purtroppo la magia non si può analizzare solo teoricamente, bisogna usarla per capirne la forma.”
Vanessa avrebbe voluto specificare che tutte e due le volte che aveva usato la sua magia le cose non erano finite bene, ma si trattenne e si limitò ad annuire.
Mr. Harrison si appoggiò allo schienale della sua poltrona e sembrò riflettere qualche momento sull’aggiungere qualcosa, ma alla fine si limitò a scuotere la testa.
“Immagino che avrai molti dubbi, per questo Ms. Blois ha organizzato una serie di lezioni individuali con te. Ms. Blois è una delle nostre insegnanti migliori ed è abituata a lavorare con ragazzi come te che diventano risvegliati molto tardi, quindi posso garantirti che sei in buone mani. Poi, se avessi domande o problemi, puoi sempre contattarmi per mail o venire qui in ufficio, ma per prima cosa mi piacerebbe che tu ti ambientassi qui al campus e prendessi un buon ritmo con le lezioni. Per questa ragione” disse, alzandosi della sedia, “ti abbiamo assegnato un’accompagnatrice che possa farti da guida per i primi giorni qui in università.”
Vanessa si voltò proprio mentre Mr. Harrison apriva la porta e faceva un gesto alla ragazza con i capelli corvini entrare nell’ufficio. Quando si alzò si rese conto che la ragazza davanti a lei era molto più alta di lei, differenza che era accentuata dalle suole alte delle sue scarpe.
La cosa che la colpì di più però furono gli occhi, che prima non aveva avuto modo di vedere. In quel momento erano puntati su di lei senza nessun tipo di vergogna. Nonostante la sua espressione distaccata, infatti, i suoi occhi penetranti, la osservavano come si osserva un quadro di cui si è letta la descrizione ma non si è colta l’essenza, come si osserva un problema di cui si hanno tutti i dati ma non si è ancora calcolata la soluzione. Come si osserva una persona che non si è ancora deciso se essere amica o nemica.
“Vanessa, ti presento Kye. Ti farà da guida in questa prima settimana e sarà disponibile nel caso avessi bisogno di qualsiasi supporto nel campus.”
La ragazza dai capelli corvini, Kye, allungò brevemente la mano verso di lei e Vanessa si affrettò a stringerla. Quando nessuna delle due aggiunse niente, Mr. Harrison riprese a parlare: “Bene, immagino avrete modo di conoscervi meglio in questi giorni, ma ora vi lascio andare in classe o perderete l’inizio delle lezioni.”
Kye si voltò prima che il professore potesse finire e gli fece un breve cenno quando augurò a entrambe una buona giornata. Poi, senza controllare che Vanessa la seguisse, prese il suo zaino e la sua giacca e si avviò verso l’uscita. Vanessa si mosse in fretta per seguirla, ma la raggiunse solo quando la ragazza era già fuori.
Mentre erano dentro l’ufficio il tempo era migliorato e Vanessa fu costretta a strizzare gli occhi quando la luce del sole la colpì dritta in faccia.
Vanessa cercò il suo paio di occhiali da sole nello zaino, ma quella mattina il tempo era sembrato così brutto da farglieli dimenticare. Sbatté gli occhi un paio di volte per cercare di adattarsi alla luce, ma prima di potersi abituare del tutto vide che Kye le stava allungando un paio di occhiali.
“Hai gli occhi chiari, dovresti sempre dietro un paio di occhiali” disse, poi allungò anche l’altra mano verso di lei. “Fammi vedere il tuo calendario.”
Vanessa le allungò il calendario e tentò di protestare che non voleva rubargli gli occhiali, prima di accorgersi che Kye ne aveva già un altro paio addosso.
“Critica della letteratura è nella sede centrale, andiamo o farai tardi.”
Non aspettò una risposta e cominciò a camminare con passo veloce verso la sede dell’università che Vanessa aveva visitato con Mr. Harrison. Vanessa si infilò in fretta gli occhiali e si mosse per seguirla. Anche se la differenza di altezza tra le due non era così accentuata, Kye camminava spedita, falcata dopo falcata che Vanessa non riusciva a eguagliare e la facevano rimanere sempre qualche passo indietro.
“Cammini come se qualcuno ci stesse rincorrendo” riuscì alla fine a dire tra un respiro corto e l’altro.
Kye si voltò verso di lei corrucciata. “Non stavo ascoltando, hai detto qualcosa?”
“Dicevo che non riesco a starti dietro se cammini così velocemente.”
La ragazza aspettò che Vanessa la raggiungesse, poi riprese a camminare ad un passo più lento. “Scusami, non me n’ero accorta.”
“Figurati. E grazie per gli occhiali” disse Vanessa. Poi, per provare a fare conversazione, chiese: “Frequenti questa università da molto tempo?”
Kye la guardò, poi tornò a voltarsi verso la strada davanti a loro, dove alcuni gruppi di ragazzi si muovevano più o meno in fretta verso le lezioni. “Ho sempre frequentato qui. Sono nata a Omaville.”
Vanessa la guardò sorpresa. “Davvero? Io… non pensavo che qualcuno potesse nascere qui.”
“Non so cosa ti hanno detto di Omaville, ma anche qui abbiamo degli ospedali”
“No! Non intendevo… volvevo dire…”
“So cosa intendevi, stavo cercando di fare una battuta” replicò Kye, senza però voltarsi verso di lei. Poi restituì il foglio a Vanessa e mise entrambe le mani in tasca. “Di solito i bambini che nascono qui restano solo se dimostrano precocemente di essere risvegliati, altrimenti i genitori li portano in altre città dove hanno la possibilità di trovare lavori pagati meglio.”
“Perché? Qui a Omaville non pagano bene?”
Kye scosse la testa. “Qui a Omaville per ogni posto di lavoro devi competere con altri risvegliati che hanno poteri come i tuoi. In altre città invece pagano molto bene chi sa fare magie oltre che un qualsiasi lavoro di ufficio. Per questo chi riesce se ne va.”
“Ah” fu tutto quello che riuscì a dire Vanessa. Si era convinta nelle ultime settimane di non aver mai incontrato nella sua vita qualcuno che avesse poteri magici, ma a quel punto come poteva saperlo? Kye sembrava una studentessa qualsiasi, uguale a tutte quelle che aveva visto aggirarsi per i corridoi della sua vecchia università, con cui aveva condiviso banchi e progetti il primo anno di lezioni.
“Ci farai l’abitudine” le disse Kye, scrollandola dai suoi pensieri.
“A cosa?”
“A non sapere chi è un risvegliato e chi no. Più tempo passerai a Omaville, meno ci farai caso.”
“Mi sembra difficile da credere.”
Kye si fermò per far passare un gruppo di studenti dall’ingresso, poi entrò nell’edificio e fece cenno a Vanessa di seguirla verso una delle rampe di scale. “Da quanto sai della magia?”
“Come concetto? Da quando mia madre mi ha fatto vedere il mio primo cartone sulle fate. Come proprietà reale che gli uomini possono usare a loro piacimento? Da quattro settimane.”
Anche se non lo vide muovere le sue labbra, Vanessa riconobbe negli occhi di Kye un sorriso. La ragazza si era tolta gli occhiali e li aveva infilati in tasca, ma non aveva chiesto indietro a Vanessa quelli che gli aveva prestato e lei se li era tenuti.
“Lo sai da quattro settimane, ma non Mr. Harrison non si è fatto problemi ad assegnarti come accompagnatrice una ragazza con dei poteri in giro per il campus. Ti stai adattando più in fretta di altre persone, se può consolarti.”
Vanessa la guardò sorpresa. “Non aveva molta scelta, no?”
Kye scrollò le spalle. “Poteva chiedere che ti assegnassero una non risvegliata come guida. Ce ne sono molte al campus che potrebbero fare questa cosa molto meglio di me.”
Vanessa la fissò per un tempo sufficientemente lungo da far girare Kye. I loro sguardi si incontrarono, ma lei non riuscì a trovare niente da dire tranne: “Che poteri hai?”
Kye non sembrò colpita dal cambio di argomento e rispose: “Sono una elementista. Il mio elemento principale è il fuoco, ma riesco a controllare anche l’acqua, nonostante non sia altrettanto forte con essa. Tu invece?”
“Anche io riesco a controllare… l’acqua. E anche fuoco e aria. Ma-”
“Ma potresti non essere una elementista” concluse Kye, quando sentì Vanessa tentennare. Quando annuì, Kye continuò: “Ti troverai bene con Ms. Blois, è la migliore quando si tratta di poteri ancora instabili. Vedrai che imparerai a controllarli prima che tu te ne renda conto.”
“Non so neanche cosa voglio farci, figurarsi imparare a controllarli.”
Vanessa si accorse un secondo troppo tardi che Kye non era più al suo fianco. Quando si girò per cercarla vide che era rimasta ferma qualche passo dietro di lei. La sua espressione era stata neutra fino a quel momento, mai diffidente o amichevole, ma ora sembrava quasi adirata.
“Cosa vuol dire, non sai cosa vuoi farci?” le chiese.
Vanessa si spostò per far passare due studenti, ma il suo sguardo era puntato su Kye, che continuava a osservarla come se non ci fosse più nessuno nel corridoio con loro. “Mr. Harrison mi ha detto che devo decidere se voglio addormentare o meno e… beh, ci sto pensando, ma non ho ancora deciso cosa fare.”
“Quindi vorresti diventare una addormentata?”
“Io- Non lo so, forse. Perché? È un problema?”
Kye mormorò qualcosa che Vanessa non riuscì a comprendere, poi riprese a camminare senza aspettare Vanessa né rallentare il passo come aveva fatto prima.
La classe dove si teneva la lezione non doveva essere troppo distante e in pochi minuti Kye si fermò e si voltò verso Vanessa davanti a una delle porte.
“Il professor Singer insegna critica della letteratura. Dovrebbe aver già tenuto le prime tre lezioni. Quando entri devi dirgli il tuo nome e chiedergli il programma delle lezioni, dovrebbe darti qualche opzione per recuperare gli incontri che hai perso. Devo entrare con te?”
Quando Vanessa scosse la testa Kye annuì e senza aggiungere altro si voltò e tornò da dove erano venute poco prima.
Vanessa rimase in piedi ferma ad osservare Kye che spariva dietro un angolo, troppo sconvolta da quello che era appena successo per riuscire a fare qualcosa, mentre nella sua testa continuava a vorticare la stessa domanda: cosa ho detto di sbagliato?
Dopo aver parlato con il professore, Vanessa si sedette in uno dei pochi posti rimasti liberi nelle prime file e cercò di concentrarsi sulla lezione.
Mentre il professore discuteva il ruolo della traduzione nella percezione di un testo – argomento che lei aveva già trattato in un precedente corso – Vanessa provò a prendere qualche appunto sul quaderno davanti a lei, ma la sua mente continuava a tornare sulla conversazione che aveva appena avuto con Kye.
Fino a quel momento nessuno aveva mai accennato al fatto che addormentare i propri poteri potesse essere un problema ed Eric aveva addirittura scherzato sulla situazione di Matthew il giorno prima. Quindi il problema doveva essere di Kye, anche se non riusciva a spiegarsi quale fosse la ragione. Che decidesse di addormentarli o meno, qual era la differenza per lei?
Troppo persa a ripetere la conversazione nella sua mente, Vanessa non si accorse che la lezione era arrivata alla fine. Alzò lo sguardo solo quando una ragazza al suo fianco non le toccò una spalla per chiederle spazientita di farla passare.
Vanessa raccolse tutte le sue cose in fretta e uscì dall’aula. Non si stupì di non vedere Kye ad aspettarla, ma il pensiero di aver già rovinato una possibile amicizia prima che anche solo nascesse l’amareggiava.
Nonostante questo, prese il foglio che le aveva consegnato Mr. Harrison e lesse il numero dell’aula in cui aveva la lezione successiva e si incamminò in una direzione a caso, sperando di trovare qualche indicazione utile per orientarsi.
I corridoi erano molto più affollati rispetto a qualche ora prima e questo rese più difficile orientarsi, ma alla fine Vanessa trovò un’indicazione per l’aula che stava cercando e si incamminò a passo spedito, preoccupata di arrivare tardi ed essere costretta ad entrare quando la lezione era già cominciata.
Quando girò l’angolo e si trovò nell’androne centrale che aveva attraversato il primo giorno con Mr. Harrison, fu colpita dalla assenza totale di persone.
Tutti gli studenti che fino a poco prima avevano camminato intorno a lei erano spariti senza lasciare traccia e, quando si voltò verso il corridoio da cui era arrivata, si accorse che anche quello era vuoto. Intorno a lei il silenzio sembrava aver assorbito i rumori per chilometri, soffocando persino i battiti del suo cuore impazzito.
Un brivido le attraversò la schiena nello stesso momento in cui il formicolio che aveva ormai imparato a conoscere si riaccese dentro di lei.
Il suo primo pensiero fu di non farsi prendere dal panico, subito scacciato dal panico che non era ovviamente in grado di controllare.
Si guardò intorno senza sapere bene cosa stesse cercando, mentre il formicolio che era dentro di lei si faceva sempre più insistente e incontrollabile.
Con esso si amplificarono ancora una volta tutte le sue emozioni, la preoccupazione, la rabbia, la tristezza. Più cercava un appiglio, un qualcosa che l’ancorasse sul posto, più sentiva la realtà scivolarle addosso in qualche angolo lontano e irraggiungibile.
Per un attimo Vanessa ebbe la certezza che i poteri dentro di lei sarebbero scoppiati, distruggendo l’ala dell’università in cui si trovava senza che lei potesse fare niente per fermarli. Poi, come era successo nello studio di Mr. Harrison, Vanessa sentì la magia connettersi a quella di qualcun altro e l’impatto fu tale da farle venire un capogiro.
Nello stesso momento qualcuno le colpì la spalla e lei perse l’equilibrio, andando a sbattere contro un muro al suo fianco.
Vanessa si portò una mano alla testa e chiuse gli occhi, cercando di ritrovare l’equilibrio mentre il formicolio spariva lentamente dal suo corpo. Quando si sentì abbastanza stabile riaprì gli occhi e il sollievo nel vedere altri studenti che camminavano nel corridoio le fece tremare le gambe.
Si rimise dritta, evitando di incrociare gli sguardi di chi la osservava con curiosità, e cercò di capire cosa potesse essere successo. Era colpa della magia? Stava cercando di dirle qualcosa?
Prima che potesse cercare una possibile risposta, sentì uno sguardo penetrante su di sé e alzò lo sguardò verso le scale davanti a lei.
Sulla rampa dall’altra parte del corridoio Alicia la osservava. Appoggiata al corrimano, sembrava più in posa per una foto, pronta ad essere dipinta proprio su quello sfondo piatto su cui risaltavano i suoi splendidi capelli biondi. C’erano poeti che avevano scritto poesie con meno materiale di quello che stava offrendo Alicia appoggiata su quella scala.
Se qualcuno l’avesse guardata da un’altra angolazione, avrebbe immaginato che fosse persa nei suoi pensieri, ma Vanessa sapeva che stava guardando lei.
Non riusciva a decifrare la sua espressione, ma quando la ragazza le sorrise si irrigidì. Più che un sorriso amichevole, sembrava una aperta minaccia.
Entrambe rimasero ferme ad osservarsi fino a quando Alicia non distolse lo sguardo. Qualcuno doveva averla chiamata dal piano di sopra e Alicia rispose con un gesto vago prima di prendere la sua borsa e dirigersi in quella direzione. Non degnò più di uno sguardo Vanessa, dimenticandola come un bambino dimentica un giocattolo.
Ma Vanessa non riusciva a muoversi, sconvolta da quello che era appena successo. Quella che aveva appena vissuto era un’illusione? Era stata Alicia a crearla? Come poteva averla creata senza che lei riuscisse ad accorgersene?