Quando Vanessa entrò in aula la lezione era già cominciata. C’erano molti posti vuoti, ma nessuno esterno e così fu costretta a far alzare due persone prima di potersi sedere.
La professoressa non notò il suo ritardo, impegnata a leggere qualcosa su un foglio davanti a lei, e Vanessa fu grata almeno di essere passata inosservata.
Mentre la lezione proseguiva, i suoi pensieri cominciarono ancora una volta a vagare. Prima Kye, poi Alicia: quante cose potevano andare male in un solo giorno?
Vanessa pensò di mandare un messaggio a Eric per raccontargli cosa era successo, ma quando si piegò per afferrarlo dallo zaino la penna, il quaderno e la borraccia che aveva appoggiato sul banco caddero a terra. Questa volta tutti si voltarono verso di lei e Vanessa afferrò le sue cose in fretta prima di piegarsi sul quaderno e nascondere l’imbarazzo.
Per tutta l’ora e mezza successiva si concentrò sul prendere scarsi e confusi appunti della lezione e sospirò di sollievo quando la professoressa annunciò la fine della lezione.
Vanessa raccolse le sue cose e tirò fuori il telefono dallo zaino. Vide che Eric gli aveva già mandato un paio di messaggi, il primo in cui le chiedeva se avesse bisogno che passasse a prenderla e il secondo che diceva solo “niente, vieni con Gideon”.
Prima che potesse mandargli una risposta, Vanessa sentì una voce che la chiamava alle sue spalle e si voltò di scatto.
Gideon le fece un cenno con la testa, poi disse qualcosa ai ragazzi che erano seduti con lui nelle ultime file e si diresse verso Vanessa.
“Anche tu segui questo corso?” gli chiese appena il ragazzo gli fu accanto.
Gideon annuì e le fece segno di seguirlo. “L’ho scelto a caso in realtà, ma la professoressa non mi dispiace e l’ultimo modulo è dedicato ai gender studies, quindi sarà interessante da seguire.”
“Non ho ancora letto il programma, ma l’ultima volta che ho seguito un laboratorio sui gender studies sono finita ad ascoltare un professore che ha spiegato per due ore quanto fossero inutili. Spero che questo sia migliore.”
Gideon fece una smorfia. “Per fortuna non mi è mai capitato un professore del genere o non so cosa gli avrei detto.”
“Non ti preoccupare, non ti avrebbe lasciato molto spazio per la discussione. Quando ho provato a contestare mi ha mandato fuori dall’aula e mi ha consigliato di cambiare corso.”
Gideon la guidò verso l’uscita e appena uscì dall’edificio tirò fuori dalla tasca laterale un pacchetto di sigarette. Mentre ne accendeva una aggiunse: “Non ti facevo una che risponde ai professori.”
“Mi hai vista per cinque minuti in un parcheggio.”
“Vero, ma di solito sono bravo a inquadrare le persone.”
“Per questo testi tutti gli amici di Eric al posto suo?”
“Te la sei legata al dito, vero?” disse Gideon, poi si voltò per fare un cenno a un ragazzo che passava. Il ragazzo sembrò esitare, come per decidere se fermarsi per parlargli o meno, ma Gideon aveva già distolto lo sguardo e si era voltato di nuovo verso Vanessa. “Eric è una frana con le persone, vorrebbe trovare in tutti qualcosa di positivo.”
“Non penso che sia una cosa così sbagliata, no?”
“Può darsi,” concesse Gideon, anche se non sembrava particolarmente convinto, “ma così è più facile per le persone approfittarsi di lui. Per questo ci penso io per entrambi a non fidarmi, soprattutto dei nuovi arrivati.”
Il tono di Gideon racchiudeva allo stesso tempo una spiegazione e un avvertimento. Non c’era pentimento o dispiacere nella sua voce, come se diffidare delle persone fosse per lui una normale attitudine che tutti devono sviluppare il prima possibile.
Vanessa avrebbe voluto offendersi, specificare che non doveva preoccuparsi perché non aveva intenzione di approfittarsi di Eric, ma in fondo sapeva di essersi sempre comportata esattamente come Gideon. Fin da quando era piccola aveva diffidato degli sconosciuti, di qualunque persona provasse ad entrare nella sua cerchia di amiche. Non aveva mai pensato che un giorno sarebbe stata lei ad esserne esclusa.
Vanessa si guardò intorno cercando per distrarsi da quel pensiero. Intorno a loro alcuni studenti stavano occupando le panchine vuote e quelli più coraggiosi si erano stesi sul prato per mangiare e chiacchierare.
Quando vide un panino incartato volare fuori da uno zaino sobbalzò e distolse lo sguardo, solo per sbattere contro il fianco di Gideon.
“Scusami” disse, senza alzare gli occhi da terra.
“Ci farai l’abitudine” replicò lui e quando Vanessa lo guardò interrogativa aggiunse: “Alla magia. Come a tutto il resto. Immagino che i primi tempi non debba essere facile averci a che fare quando sei circondata da persone che la usano ormai da anni.”
“Più che altro…” cominciò Vanessa, ma si fermò. Anche se Gideon la stava accompagnando non voleva dire che fosse felice di ascoltarla mentre si lamentava.
“Più che altro?” chiese invece Gideon prima che Vanessa potesse liquidare la cosa e cambiare argomento.
Quando girarono l’angolo dell’edificio la luce abbagliò Vanessa, che tirò fuori dalla tasca gli occhiali e se li portò al viso prima di ricordare che non gli appartenevano.
Invece di metterli, Vanessa li chiuse e li mise dentro lo zaino. Poi guardò Gideon, che doveva essersi acceso una seconda sigaretta senza che lei se ne accorgesse, e sospirò. “Più che altro mi sento come se mi avessero buttato dentro un gioco da tavolo in cui tutti i partecipanti hanno già letto le istruzioni tranne me. E più cerco di capirle più ho paura di sbagliare, ma anche se le persone intorno a me mi spiegano qualcosa omettono sempre quella piccola, minuscola informazione necessaria che mi serviva e così finisco per dire la cosa sbagliata alla persona sbagliata al primo turno. E sono costretta a giocare anche tutti i turni successivi anche se non sono mai stata interessata a giocare. Scusami, non ha senso quello che sto dicendo, ma… non lo so, forse come dici tu prima o poi sarà più facile.”
Gideon fece un tirò più lungo degli altri prima e poi si voltò per evitare che il fumo finisse in faccia a Vanessa. Poi di punto in bianco domandò: “A chi hai detto la cosa sbagliata?”
“Cosa?”
“Quando hai detto che hai sbagliato a dire qualcosa a qualcuno, a chi ti riferivi?” chiese Gideon. Si era fermato davanti a un edificio che Vanessa non aveva visto il giorno prima, in cui numerosi studenti stavano entrando in fretta.
“Ah, la ragazza che doveva fare da guida oggi. Una certa Kye?”
“Kye Jensen?”
“Forse? Alta, capelli neri lunghi, sguardo truce?”
“Decisamente Kye” disse Gideon sorridendo, poi il suo sguardo si rabbuiò. “Cosa ti ha detto?”
“Lei niente, ma quando ho accennato al fatto che non sapevo ancora se addormentare i miei poteri o meno si è rabbuiata e se n’è andata. Ma nessuno mi aveva detto che non potevo parlarne, pensavo fosse un argomento come un altro quando si parla di magia.”
“Per alcuni lo è, per altri no,” replicò vago Gideon. Prima che Vanessa potesse chiedergli una spiegazione aggiunse: “Siamo tutti dentro lo stesso gioco, Vanny. E a nessuno sono state date tutte le istruzioni prima, solo qualche linea guida da seguire. Tu sei solo arrivata tardi al tavolo, ma non credere che chi è stato qui più a lungo sappia giocare meglio di te. Chissà, magari avrai la fortuna del principiante.”
“Magari…” Vanessa cercò di mettere un po’ più di convinzione nella sua voce di quanta ne sentiva, ma dal sorriso di Gideon capì di aver fallito. In quel momento si sentiva molto principiante e poco fortunata.
“Entriamo, la mia tasca ha già vibrato quattro volte. Se non ci muoviamo Eric verrà a cercarci di persona” disse, poi si voltò verso uno dei cestini e spense la sigaretta ormai consumata.
Vanessa lo seguì dentro l’edificio verso la mensa e individuò subito Eric ad uno dei tavoli che faceva un gesto nella loro direzione.
Vanessa si mosse verso il tavolo ma Gideon le tagliò la strada e si parò davanti a lei. “Non giudicare Jensen troppo velocemente. Potrebbe sorprenderti.”
Prima che Vanessa potesse chiedergli qualcosa Gideon si voltò e si avviò verso Eric, lasciandola da sola a processare quello che aveva appena detto.
Durante il pranzo Vanessa ebbe per la prima volta modo di capire il significato della frase di Matthew del giorno prima. Eric, con il suo sorriso affabile e le sue maniere cordiali attiravano al loro tavolo onde di studenti, che con la scusa di chiedergli qualcosa o anche solo salutarlo cercavano di attirare la sua attenzione il più possibile.
La quantità di attenzione che riceveva Eric era quasi destabilizzante per Vanessa: nella sua vecchia università c’erano persone che potevano essere considerate popolari, ma nessuna di quelle che aveva incontrato poteva competere con Eric.
In quella mensa sembrava che tutti lo conoscessero e che, allo stesso tempo, nessuno fosse soddisfatto solo nel conoscerlo.
Gli studenti continuavano a fermarsi con una scusa qualsiasi e cercavano in ogni modo di dimostrare agli altri un rapporto con lui che gli altri non potevano raggiungere: chi gli offriva degli appunti per ringraziarlo di averli aiutati a studiare, chi raccontava un dettaglio specifico di una lezione a cui entrambi avevano partecipato, chi gli ricordava che avevano un caffè in sospeso da prendere insieme.
Eric dal canto suo era ugualmente gentile con tutti, sorridendo al momento giusto, ringraziando per la disponibilità e promettendo di organizzare un incontro nei giorni successivi.
Per un attimo Vanessa si sentì dentro una corte reale, seduta di fronte al re che intratteneva tutti i nobili raccolti a palazzo. Aveva sempre una parola gentile, un sorriso smagliante per tutti, ma nessuno di loro si fermava più di qualche minuto.
I posti intorno al tavolo erano infatti già tutti occupati: Gideon sedeva alla destra di Eric e partecipava alla conversazione solo quando qualcuno lo interpellava, dedicandosi nel resto del tempo alla lettura di Norwegian Wood; alla sua sinistra era seduta una ragazza dai capelli rossi, Sabrina, che non sembrava particolarmente interessata alle conversazioni di Eric e chiacchierava invece con altri due ragazzi seduti al suo fianco, di cui Vanessa aveva dimenticato i nomi dopo averli sentiti.
L’ultimo posto, di fronte a Gideon, era occupato da Vanessa e una parte di lei si chiedeva a chi lo avesse rubato e se fosse giusto che lo occupasse lei.
Non era l’unica a pensarlo, da quello che poteva leggere nelle occhiate che gli studenti le lanciavano, ma a quel punto sarebbe stato più imbarazzante alzarsi e andarsene. E, inoltre, l’idea di mangiare da sola in un angolo della mensa la preoccupava molto di più.
Pensò di tirare anche lei il libro fuori dalla borsa, ma proprio in quel momento Gideon alzò gli occhi dal suo, guardò il pranzo di Eric e gli diede una gomitata.
Eric lasciò a metà la frase che stava pronunciando e si voltò verso Gideon con sguardo interrogativo.
“Non hai ancora toccato cibo, dopo devi andare a lezione.”
Eric annuì e poi si voltò verso i ragazzi che erano rimasti in piedi dietro di lui per salutarli. Alcuni sembrarono delusi, ma nessuno protestò e prima che Vanessa se ne rendesse conto la folla intorno a loro si disperse.
Invece di rivolgersi direttamente a Vanessa, cosa che lei temeva più di tutte, Eric si mise a parlare con Sabrina e i due ragazzi tra un boccone e l’altro. Contrariamente a quanto aveva immaginato, la magia non era l’argomento principale di ogni loro discussione, ma appariva solo qua e là nei loro racconti, come un elemento aggiuntivo ma poco rilevante.
Mentre Sabrina raccontava di quanto odiasse la sua coinquilina citò tra i tanti episodi quello in cui aveva quasi dato fuoco all’interno appartamento perché aveva usato la magia per scaldare la piastra più velocemente. Allo stesso modo uno dei due ragazzi al tavolo raccontò come durante la festa di inizio anno un suo amico avesse fatto cadere decine di bottiglie di birra perché voleva portarle in cucina con la telecinesi ed era troppo ubriaco per farlo.
Vanessa cercò di mantenere uno sguardo neutro, di sorridere nei momenti giusti e annuire nella direzione di chi stava parlando, ma nella sua testa continuava a chiedersi se anche a lei un giorno sarebbe sembrato tutto così normale. Se anche lei un giorno avrebbe potuto sentire qualcuno parlare di magia senza che un brivido le corresse sulla schiena.
“Come sta andando il primo giorno di lezioni, Vanny?” chiese Eric scuotendola dai suoi pensieri.
Vanessa fece un gesto vago, ma non aggiunse niente. Avere tutti gli sguardi puntati su di lei la metteva a disagio.
“Chi ti hanno affidato come guida?”
“L’hanno affidata a Jensen” intervenne Gideon, che aveva sostituito il libro con un energy drink.
Eric si voltò verso Gideon. “Kye? Perché?”
Gideon scosse la testa e bevve un altro sorso dalla prima di voltarsi verso Vanessa. “Hai lezione adesso? Vuoi che ti accompagni?”
Vanessa tirò fuori il suo orario e lo passò a Gideon, sperando che lui ci capisse qualcosa di più. Quando le restituì il foglio e si alzò, Vanessa si rese conto che tutti erano pronti ad andare tranne lei.
Raccolse le sue cose in fretta e portò il vassoio verso i cestini, poi si voltò per cercare Eric e Gideon. Eric stava sorridendo mentre diceva qualcosa sottovoce a Gideon, che lo guardava a sua volta infastidito. Prima che potesse finire di parlare Gideon lo spinse via e si diresse verso Vanessa.
Eric lo seguì in fretta senza smettere di sorridere e quando raggiunsero Vanessa chiese: “A che ora finisci oggi?”
“Alle 19.30, dopo l’incontro con Ms. Blois.”
“Ok, chiamami quando finisci così torniamo a casa insieme.”
“Ma non voglio farti aspettare se non hai più lezioni. Posso prendere l’autobus o qualcosa del genere per tornare a casa.”
“Qualcosa del genere, tipo una carrozza magica?”
Eric lo spinse debolmente cercando di non ridere mentre Vanessa arrossiva. “Non ti preoccupare, mi fa piacere aspettarti. Così sono obbligato a restare in biblioteca a studiare, visto che ho un esame tra poco.”
Vanessa annuì e quando Gideon la chiamò e le fece cenno di raggiungerla salutò Eric.
Gideon la lasciò davanti alla classe qualche minuto prima che la lezione cominciasse, poi le spiegò brevemente come raggiungere l’aula successiva.
L’ora e mezza di lezione passò in un attimo e anche trovare l’altra aula non fu difficile come temeva.
Tirò fuori il suo programma e si rese conto che aveva uno stacco di più di un’ora prima che la lezione successiva iniziasse, ma non aveva il coraggio di andare in giro per l’università.
Per questo si sedette nel corridoio e tirò fuori un libro, solo per trovarsi a osservare le pagine senza leggere nemmeno una riga.
Non riusciva a smettere di pensare all’incontro imminente con Ms. Blois e cosa potesse implicare. Avrebbe dovuto usare la sua magia? Cosa sarebbe successo in quel caso?
Prima che potesse fermarli davanti ai suoi occhi apparvero frammenti sconnessi dell’ultima festa a cui aveva partecipato. Le risate che si trasformavano in urla, il terrore, la rabbia, il dolore. La sensazione di essere ad un passo dalla morte senza poter fare nulla per impedirlo.
All’improvviso una mano le toccò la spalla e Vanessa sussultò. Inginocchiata davanti a lei Kye la osservava con aria preoccupata e stava dicendo qualcosa che non riusciva a capire.
Cercò di prendere fiato e non ci riuscì. Provò una seconda volta, poi appoggiò la testa sulle mani per evitare che qualcuno che passava la vedesse mentre si sentiva cadere in mille pezzi.
“Vanessa. Vanessa, mi senti?” la voce di Kye le arrivò più nitida ma distante, come se invece di essere accovacciata davanti a lei fosse all’inizio del corridoio. Quando Vanessa annuì, lei aggiunse: “Prova a concentrarti sulla mia voce, okay? Hai letto Lo straniero di Camus?”
Vanessa alzò appena lo sguardo su di lei. Kye non la stava più toccando, ma teneva le mani appoggiate sulle sue ginocchia e stava respirando lentamente, enfatizzando ogni movimento. Vanessa provò a imitarla e scosse la testa, sperando che Kye capisse.
“Vuoi che te ne parli? La trama è molto interessante” continuò Kye e quando Vanessa annuì cominciò a parlare di un certo Meursault, del funerale della madre e di una passeggiata che faceva in spiaggia. Vanessa non riuscì a seguire tutto il discorso, ma si concentrò sulla voce di Kye e quando lei faceva una pausa per respirare provava a imitarla, riuscendoci ogni volta più facilmente.
Quando sentii che il respiro era tornato regolare alzò lo sguardo su Kye, che smise di parlare e si limitò ad osservarla.
“Scusami” fu tutto quello che riuscì a dire, prima di asciugarsi le guance con le maniche del felpino.
“Sono io a dovermi scusare” rispose Kye, alzandosi. Mosse un po’ le gambe, probabilmente indolenzite dalla posizione in cui erano rimaste per così tanto tempo.
“No, io non avrei dovuto-”
Kye la interruppe prima che potesse finire la frase. “Credimi, non hai detto niente di sbagliato. Sono io che non avrei dovuto reagire in questo modo, ma Adam aveva… dimenticato di accennarmi la tua indecisione.”
“Mi dispiace.”
Kye sorrise debolmente. “Smettila di scusarti mentre cerco di scusarmi” disse, poi aggrottò la fronte e mise le mani in tasca e senza guardare Vanessa aggiunse: “Mi dispiace per come mi sono comportata. L’argomento è… molto delicato per me, ma non avrei dovuto prendermela con te.”
Vanessa non aggiunse niente e cercò di schiarirsi la gola secca. Kye si allungò verso il suo zaino e le porse una borraccia. Vanessa l’accettò grata e bevve qualche sorso, evitando di finire tutto il contenuto anche se aveva ancora sete.
Guardandosi intorno vide che alcuni studenti si erano radunati nel corridoio e stavano facendo spazio a quelli che uscivano dall’aula.
“Dovrei entrare” disse Vanessa, restituendo la borraccia a Kye con un sorriso.
Kye annuì. “Ti aspetto qui fuori, quando finisci ti accompagno all’incontro con Ms. Blois.”
“Non sei obbligata a farlo, posso-”
“Avrei dovuto accompagnarti a tutte le lezioni di oggi e proporti di mangiare insieme a pranzo. Lasciami almeno fare quest’ultima parte del mio lavoro.”
Il tono di Kye era così amareggiato che Vanessa sentì il bisogno di rincuorarla, anche se non sapeva bene come farlo.
Si limitò ad annuire ed entrare in classe e si fermò a parlare anche con l’ultima professoressa della giornata. La lezione passò molto più velocemente delle precedenti e allo stesso tempo sembrava non finire mai.
Ad un certo punto controllò il telefono per vedere l’ora e vide una serie di messaggi di Eric, tra cui una foto di lui e Gideon che ordinavano da bere a Starbucks seguita da una di Gideon steso in un prato che leggeva. Sotto l’ultima foto Eric aveva scritto “come può Murakami essere più interessante di me?” seguito da alcune emoji arrabbiate. Vanessa cercò di nascondere il sorriso mentre rispondeva brevemente e mise di nuovo il telefono nello zaino per evitare che la distraesse.
Quando finalmente la professoressa li congedò Vanessa raccolse in fretta le sue cose e uscì, individuando subito Kye, che stava leggendo seduta su una delle sedie nella stessa posizione in cui l’aveva vista quella mattina.
Kye alzò lo sguardo su di lei e appena la vide chiuse il libro e la raggiunse. Mentre camminavano per i corridoi in silenzio Vanessa continuava a pensare a cosa avrebbe dovuto fare con Ms. Blois, cosa si sarebbe aspettata da lei. Non aiutava certo il fatto che quell’intera giornata di lezioni l’aveva distrutta.
“Ms. Blois non è così male. Più puntigliosa di Adam, ma sa il fatto suo quando si parla di magia” disse Kye, leggendo la preoccupazione negli occhi di Vanessa.
“Come mai chiamate tutti Mr. Harrison per nome?” chiese Vanessa. All’inizio pensava fosse solo una scelta di Eric, che sembrava essere amico di tutti, ma anche Gideon lo aveva chiamato per nome quando aveva parlato di lui.
Kye scrollò le spalle. “Di solito è lui che chiede di farlo. Credo che sia anche per sentirsi più vicino agli studenti con cui lavora. E poi ha solo qualche anno in più di noi, probabilmente non gli piace sentirsi chiamato per cognome.”
“È così giovane?” domandò Vanessa, incapace di nascondere la sorpresa nella sua voce. Non gli avrebbe dato quarant’anni, ma non pensava che fosse un loro coetaneo.
“Non so quanti anni abbia esattamente, ma sicuramente non più di ventisette.”
“E insegna già?”
“I suoi poteri sono molto utili all’università, quindi lo hanno assunto appena ha completato l’ultimo ciclo di perfezionamento” replicò Kye, aprendo la porta davanti a loro.
Vanessa si rese conto solo in quel momento che erano arrivate all’interno dell’ala che aveva visto il primo giorno con Mr. Harrison. L’unica differenza da allora era la presenza sporadica di studenti, che stavano lasciando le ultime lezioni e chiacchierando sotto i porticati.
Quando Kye la chiamò per nome, Vanessa si rese conto di essersi fermata sull’ingresso. Costrinse i suoi piedi a muoversi per raggiungere Kye, ma quando incrociò il suo sguardo non riuscì a nascondere il panico che cresceva dentro di lei.
Kye le rimase al fianco fino a quando arrivarono nel corridoio degli insegnati, ma non bussò alla porta e si voltò verso Vanessa.
“Cosa… cosa si fa di solito durante questi incontri?” sussurrò Vanessa, cercando di guadagnare tempo su un evento inevitabile.
“Dipende. Ms. Blois deve capire con che chi ha a che fare prima di decidere a quale gruppo assegnarti.”
“L’ultima volta che ho usato la mia…” Vanessa esitò, cercando le parole giuste. Poi, incapace di trovarla, concluse. “l’ultima volta che ho usato la mia magia, non è finita molto bene.”
Si voltò verso Kye e vide che la ragazza la osservava con espressione seria, comprensiva, come se avesse quella frase potesse essere sufficiente. Come se conoscesse la sua storia senza che nessuno gliel’avesse raccontata.
Vanessa tornò a guardare la porta e sospirò. “Beh, non ho molta scelta, no? Tu puoi andare se vuoi, non volevo farti perdere tutto il giorno così. Avrai sicuramente delle cose da fare.”
“In realtà no. E non mi dispiace aspettarti” replicò e prima che Vanessa potesse protestare bussò alla porta, aprendola appena qualcuno dall’altra parte gli disse di entrare.
L’ufficio di Ms. Blois era poco più spazioso di quello di Mr. Harrison, ma la grandezza era accentuata dall’assenza di mobili: lo sguardo di Vanessa fu subito catturato da due gigantografie, che rappresentavano un lago di montagna e un bosco fitto, accanto alle quali era collocata l’unica piccola libreria che conteneva al massimo una trentina di titoli.
La scrivania era sul lato opposto, appoggiata al muro e molto più moderna di quella che Vanessa aveva visto nell’ufficio di Mr. Harrison.
Dietro di essa sedeva Ms. Blois, che sembrava fuori posto nel suo stesso ufficio. Invece della camicia a quadri, portava una giacca mattone alla quale erano agganciati piccoli ciondoli di vetro che riflettevano la luce dello schermo davanti a lei, creando un gioco di luci in tutto l’ufficio. I capelli erano raccolti in una crocchia scomposta, ma numerosi ciuffi le ricadevano sulla faccia, nascondendo parte del suo viso, che era concentrato su alcuni fogli sparsi sulla scrivania. Su di essa penne, matite, pastelli e altri oggetti di cancelleria occupavano caoticamente lo spazio, come se fossero stati utilizzati una volta e dimenticati per sempre.
Lo sguardo di Vanessa fu attirato da un gesto di Ms. Blois, che indicò una delle sedie davanti a lei senza alzare lo sguardo dai fogli su cui stava scrivendo qualcosa. La ragazza guardò Kye, che le fece un cenno prima di uscire dall’ufficio e chiudere la porta.
Vanessa si sedette nella sedia indicata da Ms. Blois e continuò a guardarsi intorno mentre la professoressa continuava a lavorare.
Si accorse solo il quel momento che la parete di fronte era del tutto coperta da una grande tenda color panna, che lasciava intravedere da un piccolo spiraglio un tetto e il cielo ormai scuro.
“Scusami, non tutti i lavori si possono lasciare a metà” disse Ms. Blois, attirando l’attenzione di Vanessa.
Quando si voltò per osservarla, si accorse che gli oggetti prima collocati sulla scrivania erano spariti, sostituiti da una sottile cartelletta che riportava sopra il suo nome.
Vanessa cercò di non impallidire, ma dall’espressione di Ms. Blois capì di non esserci riuscita.
“Perdonami, sono una persona disordinata che non ama il disordine. Sicuramente ti avrà parlato di me Adam, ma lascia che mi presenti lo stesso. Rebecca Blois, coordinatrice del settore elementistico e direttrice del Consiglio del Controllo Magico. Sono la persona che vedrai più spesso qui quando si parla di magia. Volevo offrire una tazza di tè, ma per farla arrivare qui in breve tempo dovrei usare la magia.”
La sua era una affermazione che suonava come una domanda, quindi Vanessa declinò l’offerta. Poi, prima di potersi trattenere chiese: “Ma lei non controlla gli elementi?”
Ms. Blois fece una smorfia prima di spiegare: “La mia capacità principale è il teletrasporto, ma sono affine ai quattro elementi, per questo mi hanno selezionata per questo incarico. È raro che una risvegliata mantenga l’affinità dopo aver sviluppato un potere come il mio.”
“Quindi è capace di spostare le cose… nello spazio?” azzardò Vanessa, cercando di ripescare le sue scarse conoscenze sul teletrasporto.
“Posso spostare gli oggetti e anche le persone. Posso teletrasportare persino me stessa, ma” aggiunse, vedendo l’espressione sorpresa di Vanessa, “è un processo molto più complesso di quello che può sembrare. Non posso spostare tutto dovunque. Devo conoscere bene un oggetto per spostarlo e sapere esattamente il luogo in cui voglio che appaia. E comunque le distanze sono piuttosto limitate, nonostante io abbia anni di allentamenti alle spalle. Le penne che hai visto prima su questo tavolo solo finite in un magazzino alla fine del corridoio, dove tengo tutto il mio disordine chiuso a chiave. Ma basta parlare di me” concluse, aprendo la cartelletta appoggiata alla scrivania. Osservò alcuni dei fogli per qualche minuto prima di aggiungere: “Sei risultata affine a tre elementi.”
“Sì” disse Vanessa, non sapendo cos’altro aggiungere.
“Ma l’incontro con Adam non è andato benissimo.”
Vanessa deglutì, ma non aggiunse niente. Ms. Blois lesse ancora per qualche secondo, poi chiuse il fascicolo, si appoggiò allo schienale e, guardandola dritta negli occhi chiese: “Ti andrebbe di raccontarmi cosa è successo?”
Vanessa deglutì di nuovo, pentendosi di non aver accettato il thè che le era stato offerto. Poi si limitò a sussurrare: “Non ne ho idea.”
Con sua sorpresa vide Ms. Blois annuire. “Mi interesserebbe comunque sapere cosa hai sentito in quel momento. Adam ha scritto il suo punto di vista, ma è difficile capire davvero cosa è successo a una persona in una situazione simile.”
Vanessa annuì, poi si mosse sulla sedia per trovare una posizione più comoda e riportò quanto ricordava di quel primo incontro: il formicolio, le parole di Mr. Harrison, poi il dolore.
Ms. Blois la ascoltò in silenzio e, quando smise di parlare, chiese: “E tu in quel momento come ti sei sentita?”
“In che senso?”
“Come ti sei sentita? Agitata? Preoccupata? Ti sentivi sopraffatta dalla situazione?”
Vanessa cercò di ricordare quel momento. “Non mi sono sentita sopraffatta, ma… non so come spiegarlo, era come se improvvisamente fossi stata attaccata dall’esterno. Come se tutte quelle emozioni stessero cercando di farsi sentire contemporaneamente. Era come se…” si interruppe, per cercare di mettere in ordine i miei pensieri, poi continuò: “come se improvvisamente le mie emozioni fossero state amplificate e si fossero gettate su di me. Come se non fossero più le mie. Io… non so come spiegarlo, è stato tutto così veloce.”
“E poi la tua magia ha reagito.”
“Non lo so, così ha detto Mr. Harrison.”
“E in quel momento cosa hai provato?”
Vanessa cercò di reprimere una smorfia. Tutta quella conversazione le sembrava insensata, come se continuassero a girare intorno allo stesso problema senza trovare nessuna soluzione.
Ms. Blois attese qualche secondo, poi si sporse verso di lei e disse: “Non so cosa tu abbia fino ad ora imparato sulla magia, Vanessa, ma quello che ti posso dire è che non è una scienza esatta. Ad A non consegue obbligatoriamente B. Anzi, nella maggior parte dei casi non consegue mai B. La magia è qualcosa con cui entriamo in contatto e che si intreccia a chi siamo, per questo sapere cosa hai provato, come ti sentivi in quel momento è importante per noi per capire cosa può essere successo. Se ti senti in pericolo, il primo istinto della magia può essere di proteggerti. Se riusciamo a capire cosa provassi, potremmo riuscire a capire perché ha reagito in modo così… violento.”
L’ultima parola fece sobbalzare Vanessa. Incapace di sostenere lo sguardo della professoressa, si voltò verso la libreria sul lato opposto della stanza, dove erano raccolti titoli che non aveva mai visto prima. Ripensò alla libreria a casa sua, molto più grande e fornita di quella, e sentì una fitta al cuore. Poi, senza guardare la professoressa, sussurrò: “Anche la prima volta che ho usato la magia è stata…” violenta, terrificante, incontrollabile avrebbe voluto dire, ma non ce ne fu bisogno perché voltandosi verso Ms. Blois vide nei suoi occhi la comprensione.
“Purtroppo non è uno scenario inusuale, soprattutto con risvegliati che, come te, hanno visto apparire la magia così tardi e non vi sono mai stati esposti. Cerchiamo sempre di evitare che cose del genere accadono, ma non siamo infallibili. Non so quanto possa esserti di conforto, ma quello che è successo non è colpa tua.”
Nelle prime settimana dopo l’incidente Hannah le aveva ripetuto varie volte la stessa cosa, ma in quel momento come allora quelle parole le sembravano vuote, insensate. Non era colpa sua, ma era stata lei a fare del male a delle persone.
Annuì comunque e quando Ms. Blois le chiese per la terza volta cosa aveva provato cercò di riflettere davvero sulla risposta.
“Sentivo male, come se stessi provando un dolore fisico e… credo di essermi spaventata, oppure è stato proprio il dolore a farmi scattare. Volevo solo che finisse, che smettesse di fare male. E credo che una parte di me avesse paura di fare del male a Mr. Harrison. A quel punto ho sentito la stessa energia che doveva essere entrata in contatto con Mr. Harrison spingersi verso l’esterno. Mi sono sentita… protetta, immagino. Come se quell’energia che sentivo dentro mi avesse ascoltato.”
Ms. Blois riaprì la cartelletta e appuntò qualcosa in un angolo. Prima che Vanessa trovasse il coraggio di chiederle cosa stesse scrivendo, la donna disse: “Il fatto che la magia abbia risposto in modo così rapido è sicuramente positivo.”
“Davvero?” chiese Vanessa, non riuscendo a nascondere lo scetticismo nella sua voce.
“Sì. Non tutti hanno un canale di comunicazione così immediato con la magia. Ad alcuni risvegliati servono anni di allenamento per riuscire a far fare alla magia quello che desiderano, ad altri basta solo pensare che qualcosa accada per vederlo realizzato davanti ai loro occhi. Nel tuo caso sembra che la magia che si è risvegliata dentro di te sia incline ad ascoltarti, a collaborare con te” concluse, poi fece una pausa e controllò l’orario sul computer e aggiunse: “Ci sarebbero molte altre cose che dovrei dirti a riguardo ma se non hai altre domande rimanderei a domani mattina.”
“Domani mattina?”
Ms. Blois annuì e chiuse il fascicolo. “Domani mattina faremo una prima lezione di magia. So che è tutto molto veloce, ma ho bisogno di vedere la tua magia in azione prima di decidere come procedere. Saremo comunque in un’area sicura e protetta, per questo la possibilità di incidenti è minima” aggiunse vedendo l’espressione di Vanessa.
Vanessa avrebbe voluto precisare che una possibilità minima è comunque una possibilità, ma all’improvviso la giornata appena trascorsa le piombò sulle spalle sotto forma di stanchezza. L’idea che fosse finita era un sogno che si avverava.
Per questo si limitò ad annuire, a ringraziare la professoressa e uscire dall’ufficio prima che potesse aggiungere qualsiasi cosa.
Kye, come aveva promesso, stava aspettando sull’ingresso, il libro sostituito da un telefono in cui stava scrivendo qualcosa velocemente. Quando sentì la porta sbattere alzò lo sguardo e si accigliò.
“È successo qualcosa?” le chiese non appena Vanessa le fu al fianco.
“No, abbiamo parlato e basta. Perché?”
“Perché sei pallida. Sicura di star bene? Come sei venuta fino in università? Vuoi un passaggio?”
“Sono venuta con Eric, mi dovrebbe star aspettando, ma…” Vanessa si fermò e chiuse gli occhi, aspettando che il mondo intorno a lei smettesse di ruotare. In quel momento avrebbe voluto stendersi e dormire una settimana.
“Vanessa?” la chiamò preoccupata Kye.
“Dammi un secondo, sto bene.”
“Non so quale sia la tua definizione di bene, ma nella mia di solito le persone non svengono” disse, poi esitò prima aggiungere: “Scrivo un messaggio a Gray.”
“Perché vi chiamate tutti per cognome? Siete parte di una gang?”
“Penso che in una gang si diano dei soprannomi” rispose Kye e quando Vanessa alzò lo sguardò su di lei vide che stava sorridendo.
“Gray dice che sono fuori nel parcheggio centrale. Riesci ad arrivare fino lì?”
“Mi piacciono i tuoi capelli” disse Vanessa senza pensarci, poi si rese conto di quello che era appena uscito dalla sua bocca e arrossì.
Kye alzò lo sguardo di scatto e la guardò confusa. Poi divertita. Quando abbassò lo sguardo per bloccare il telefono, Vanessa fu quasi certa che stesse nascondendo il rossore.
“Sono contenta che ti piacciano. Riesci ad arrivare alla macchina?”
Vanessa annuì ed entrambe si avviarono verso l’uscita. Kye era abbastanza vicina da afferrarla, forse temendo che cadesse a terra in qualsiasi momento, e la sensazione di un altro corpo vicino era stranamente rassicurante.
Quando finalmente raggiunsero il parcheggio centrale e Vanessa vide la macchina di Eric quasi le tremarono le gambe per il sollievo.
Eric era già seduto al posto guida con il motore acceso e Gideon era in piedi al suo fianco. Quando Eric la vide le fece un cenno con la mano e le sorrise, solo per accigliarsi come aveva fatto Kye poco prima.
Vanessa ricambiò il gesto, poi si voltò per ringraziare Kye e prima che potesse rendersene conto era seduta a fianco a Eric, che stava lasciando il parcheggio.
Tra una curva e l’altra, mentre cercava di non addormentarsi, Vanessa si rese conto di non aver restituito gli occhiali a Kye.