Capitolo 8

La prima cosa che Vanessa notò quando aprì gli occhi fu che il sole non era ancora sorto. La seconda era che aveva ancora addosso i vestiti del giorno prima e che la coperta leggera arrotolata intorno alle sue gambe non riusciva a riscaldarla. Non ricordava di essere arrivata a casa il giorno prima, né il momento esatto in cui si era addormentata: tutta la serata rimaneva una sola immagine sfocata dal suo desiderio di chiudere gli occhi e dormire.

Si alzò stiracchiandosi e afferrò la coperta per avvolgerla intorno al suo corpo mentre un brivido le attraversava il corpo.

Ancora mezza addormentata, Vanessa tirò fuori il telefono dallo zaino e lo mise in carica, poi si passò una mano sul viso e fece una smorfia quando sentì la pelle tirare per il trucco che non aveva tolto il giorno prima. Cercando di fare silenzio si avviò verso il bagno, intenzionata a fare una doccia.

L’acqua calda la svegliò del tutto, ma Vanessa rimase comunque sotto il getto più a lungo del dovuto per lavare via anche il freddo della mattina.

Quando uscì dalla doccia, ancora gocciolante, la stanza era ormai diventata satura di vapore acqueo. La condensa sullo specchio era talmente spessa che Vanessa riusciva appena vedere il contorno suo corpo su di esso.
La stanza era calda, troppo calda per ricordarle il passato, ma Vanessa asciugò quasi con violenza le braccia per far sparire tutte le gocce che cadevano sul suo corpo.

Quando la sensazione divenne insopportabile, Vanessa aprì la porta del bagno, solo per balzare indietro urlando. Ci mise un attimo a mettere a fuoco Matthew, che che arrossì e distolse lo sguardo quando si accorse che era coperta solo da un asciugamano.

“Scusami, ho sentito l’acqua scorrere, ma mi sembrava troppo presto perché qualcuno fosse sveglio” disse, prima di spostarsi di lato per farla passare.

Vanessa non si mosse. “Non ti preoccupare, io… che ore sono?”

“Sono adesso le cinque.”

“Ah. Scusami, non volevo svegliarti.”

“Non ti preoccupare, ero già sveglio” rispose lui scrollando le spalle.

“Come mai?”

“Sto giocando con alcuni amici e D&D e abbiamo perso la cognizione del tempo.”

“Giochi a Dungeons and Dragons?” chiese sorpresa Vanessa.

Matthew sembrò ancora più stupito quando domandò: “Conosci Dungeons and Dragons?”

“Alcuni ragazzi del mio gruppo erano ossessionati dal gioco, ma non sono mai riuscita a fare una partita con loro.”

“Puoi partecipare alla nostra prossima campagna se vuoi. Anche perché credo che abbandoneremo questa molto presto. Il nostro Dungeon Master ha bevuto troppa birra nelle ultime due sessioni e ora insiste sul fatto che abbiamo alle calcagna degli orchi giganti invisibili che non possiamo sconfiggere. Di là stanno litigando da dieci minuti, per questo mi sono tolto le cuffie e ho sentito la doccia” concluse, continuando a guardare verso la porta della camera di Eric.

“Potrei unirmi alla prossima campagna allora, magari con un Dungeon Master diverso” scherzò e fu contenta di vedere un sorriso apparire sulle labbra di Matthew.

Il ragazzo fece un ultimo cenno e poi tornò verso la sua stanza, lasciando Vanessa a fare lo stesso.
Dopo essersi vestita, Vanessa si stese sul letto e accese la lampada da comodino che aveva comprato. Non aveva voglia di controllare il materiale delle lezioni che i professori le avevano fornito, quindi aprì il libro che aveva lasciato nello zaino e si mise a leggere.

Si interruppe solo quando vide il cielo schiarirsi e afferrò il telefono per controllare l’ora, accorgendosi per la prima volta di avere tre messaggi non letti.

Sorpresa, staccò il telefono dalla spina e sbloccò lo schermo. Uno dei messaggi era di Hannah, che chiedeva come fosse andato il primo giorno di lezione e le ricordava di chiamarla prima possibile.

Il secondo messaggio le era arrivato da un numero sconosciuto e diceva solo “Ho dato il tuo numero a Jensen. Spero non sia un problema. G.”

A questo seguiva un altro messaggio da un numero che non aveva salvato in rubrica, ma che era firmato da Kye. “Ho chiesto il tuo numero a Gray. Se vuoi posso accompagnarti a lezione oggi. Kye.”

Vanessa sorrise notando la somiglianza dei due messaggi. Lasciò indietro il messaggio di Hannah, ma rispose a Gideon con un breve “nessun problema” e a Kye con un semplice “Mi farebbe piacere”.

Mentre salvava entrambi i numeri, il suo telefono vibrò di nuovo e sullo schermo apparve un nuovo messaggio di Kye.

Kye: Già sveglia?

Vanessa: Potrei chiederti la stessa cosa. 

Kye: Sono andata a correre.

Vanessa pensò a cosa potesse rispondere, se chiudere la conversazione con un semplice “ok” oppure fare una battuta su quanto poco la invidiava per essere già fuori al freddo. Prima che potesse decidere, però, il cellulare vibrò.

Kye: Se riesci a prepararti in venti minuti ti passo a prendere. Possiamo fare colazione insieme.

Le dita di Vanessa rimasero sospese sulla tastiera mentre rileggeva il messaggio. L’aveva invitata perché si sentiva in colpa per come si era comportata il giorno prima? O, peggio, la vedeva come una ragazzina sperduta che aveva il compito di aiutare? Non era sicura di voler ricevere un invito per compassione. Ma d’altra parte, l’idea di incontrare Kye la rendeva felice. Qualsiasi fosse la ragione, era una persona che poteva diventare sua amica senza che ci fosse in mezzo lo zampino di Eric. Il cellulare vibrò di nuovo.

Kye: Offerta a tempo limitato, sto morendo di fame.

Prima che potesse cambiare idea, Vanessa rispose.

V: Anche io. Tra venti minuti esatti sono pronta. Ti serve l’indirizzo?

K: So dove abita Hoffman. Portati una giacca pesante.

V: Una giacca?

Kye non rispose e dopo un paio di minuti Vanessa sbuffò e appoggiò il telefono sul comodino, poi si alzò dal letto e cercò di prepararsi più in fretta che poteva.
Prese i primi jeans e maglia che trovò nell’armadio, poi una giacca di jeans che aveva comprato anno prima ad un mercatino con Tamara. Fece un salto veloce in bagno, ma non avendo il tempo di piastrare i capelli e truccarsi cercò di sistemare entrambi nella forma più decente che poteva.

Dopo aver preso lo zaino e aver controllato di avere tutto il necessario, uscì dalla sua stanza e si diresse verso le scale, solo per fermarsi davanti alla porta socchiusa di Matthew.

Vide il ragazzo seduto alla scrivania, le gambe incrociate sulla sedia e le mani strette intorno a una bottiglia di acqua di cui continuava ad avvitare e svitare il tappo.

“se non c’è nessuna porta Trev come pensi che possiamo trovarne un… lo hai appena detto tu! Kev smettila di urlare o ti giuro che mi uccido con la mia stessa spada” disse, poi si fermò per ascoltare le voci dall’altra parte e si voltò verso la porta.

Capendo che qualcuno doveva averla vista dalla videocamera, Vanessa fece un passo avanti e sorrise. Le voci nelle cuffie sembrarono intensificarsi e Matthew ne spostò una con una smorfia.

“Esco per colazione, dopo mando anche un messaggio ad Eric ma nel caso puoi dirglielo anche tu?”

“Nessun problema. Vuoi che gli dica di aspettarti per andare in università?”

“No, credo che andrò con la mia amica. Come procede la partita?” chiese e trattenne un sorriso quando vide l’espressione afflitta di Matthew.

“Lasciamo perdere, mi pento di averci passato tutta la notte. Lo so che mi senti Trevor, come mi hai sentito le altre dieci volte che lo ho detto! Kev smettila di urlare, mi stupisco che i tuoi coinquilini non ti abbiano buttato fuori!”

Vanessa si stupì della capacità di Matthew di urlare sussurrando. Il ragazzo si voltò e le fece un cenno con la mano, che lei ricambiò prima di chiudere la porta e scendere le scale.

Quando uscì sulla veranda vide che Kye la stava già aspettando seduta su una motocicletta.

Kye alzò lo sguardo e quando vide Vanessa le sorrise e mise via il telefono, poi si alzo per prendere secondo casco dal bauletto.

Vanessa si avvicinò alla moto e prima di potersi fermare chiese: “È tua?”

Kye la guardò accigliata, prima di annuire lentamente.

“Oh, è… molto bella?” concluse Vanessa, che non aveva idea di cosa potesse differenziare una moto dall’altra a parte, forse, il colore.

Kye la guardò con un’espressione divertita e Vanessa si rese conto che una parte di lei stava cercando di non mettersi a ridere. A suo favore però non uscirono suoni dalla bocca della ragazza, che si limitò a passarle il casco e chiederle se fosse mai andata prima in moto.

Quando Vanessa scosse la testa, Kye disse: “Quando sali puoi appoggiare i piedi qui. E puoi tenerti alla mia vita o a queste maniglie. Cerca di seguire i movimenti della moto e non cercare di mettere i piedi sull’asfalto quando ci fermiamo, d’accordo?”

“D’accordo. Dove andiamo?”

“C’è un diner poco distante da qui aperto anche a colazione. Può andare bene?”

“Va bene qualsiasi cosa sia commestibile” rispose Vanessa, sperando che il suo stomaco non brontolasse proprio in quel momento.

Kye annuì e salì sulla moto, poi aiutò anche Vanessa a fare lo stesso. Guardò verso Vanessa, che le aveva appoggiato le mani sui fianchi, e disse: “Tieniti stretta, non ho intenzione di perderti a metà strada”.

Poi partì.

Quando Kye aveva chiesto a Vanessa se fosse mai salita su una moto, lei aveva mentito: era successo una volta, cinque anni prima, quando un amico di Tamara aveva appena preso la patente e per festeggiare aveva deciso di far fare un giro a tutti nel quartiere. Quando era toccato a lei, Vanessa era salita entusiasta dietro il piccolo scooter, solo per impallidire per la pessima guida del ragazzo, che continuava a prendere le curve troppo strette e a inchiodare poco prima di andare a sbattere contro le macchine. 

L’esperienza con Kye era completamente diversa. La ragazza guidava con la fluidità dell’esperienza, mantenendo una velocità costante ma mai esagerata e rallentando prima di ogni incrocio, e quando alla fine la vide entrare in un parcheggio fu quasi dispiaciuta che il loro viaggio fosse già finito.

Mentre aspettava che Kye sistemasse la moto, Vanessa osservò il diner davanti al quale si erano fermate: all’esterno gli unici elementi che creavano una atmosfera erano il grande neon che riportava la scritta Burning Burgers e i dettagli rossi che incorniciavano le grandi vetrate, da cui però si poteva vedere la perfetta riproduzione interna di un diner anni ’50.

All’ingresso, invece di aspettare che uno dei camerieri venisse ad accoglierle, Kye fece cenno a Vanessa di seguirla e si accomodò ad uno dei tavoli vuoti come se gli appartenesse. Intorno a loro il diner era ancora quasi vuoto, ma c’erano comunque più persone di quante se ne sarebbe immaginate Vanessa ad un orario simile.

Una cameriera, che doveva avere circa la loro età, fece cenno di aspettare un secondo mentre concludeva l’ordine di un altro tavolo. Diversamente dal ragazzo dietro il bancone, che portava solo una maglietta nera con una targhetta, la ragazza indossava una replica perfetta di una divisa da cameriera degli anni ’50, molto simile a quella che Vanessa aveva visto tante volte nei film che sua madre amava.
Indossava persino i pattini, il più grande azzardo per Vanessa quando si dovevano trasportare cibi e bevande da un tavolo all’altro. Invece la ragazza si muoveva fluida su di essi e quando completò l’ordine all’altro tavolo si avviò allegra verso quello dove erano sedute Vanessa e Kye.

“Guarda chi si vede, la mia cliente preferita!”

“Solo perché ti lascio sempre una mancia spropositata” rispose Kye a mo’ di saluto.

“Non è vero, sai che ho un debole per il tuo sguardo imbronciato. E hai portato un’amica. Sono sconvolta, pensavo di aver occupato l’unico ruolo disponibile!” disse la cameriera, ma il suo tono sembrava genuinamente sorpreso.

“Chloe” la riprese Kye.

Ma Chloe non degnò Kye nemmeno di uno sguardo e porse il menù a Vanessa prima di aggiungere: “Ogni volta che vedi quel musino imbronciato dalle qualcosa da mangiare e vedrai che cambiamento. Io sono Chloe comunque.”

“Vanessa, piacere di conoscerti” rispose Vanessa con il sorriso migliore di cui era capace. Se Chloe era un’amica di Kye, voleva lasciarle almeno una buona prima impressione. Stava cercando qualcosa da aggiungere, quando il suo stomaco brontolò.

Mentre Vanessa arrossiva, Chloe le sorrise gentilmente. “Dovrete essere affamatissime, sapete già cosa volete bere? Posso portarvi qualcosa mentre scegliete.”

“Un caffè per me” rispose Kye.

“Per me un thè?”

“Nero o verde?”

“Nero, ai frutti rossi magari?”

Chloe annuì e le lanciò un ultimo breve sorriso prima di avviarsi verso l’ingresso, dove un paio di signori di mezz’età si erano fermati ad aspettare. Vanessa la seguì con lo sguardo, senza riuscire a smettere di osservare la divisa che portava. Tutte quelle che aveva visto in passato sembravano fatte con lo stampino, pensate per essere facili da fare e poco costose, indipendentemente dal corpo che doveva indossarle. Invece quella di Chloe si appoggiava sui suoi fianchi larghi alla perfezione e tutti i dettagli sembravano cuciti con cura. Persino il grembiule era di un bianco lucente e su di esso, Vanessa notò nonostante la distanza, era cucito il nome di Chloe con un rosso accesso.

“Lo ha fatto lei” disse Kye, attirando la sua attenzione.

Vanessa si voltò verso la ragazza davanti a lei. Kye era appoggiata con i gomiti sul tavolo tra di loro e si stava sporgendo appena verso di lei per evitare che i raggi del sole le arrivassero direttamente sugli occhi. La luce era così appoggiata sul resto del suo volto, illuminando i suoi capelli neri legati in una coda bassa e il suo mento, che Kye teneva appoggiato su una mano. 

In quella posizione, con il sole che la circondava, Kye sembrava un’apparizione temporanea, un volto che appare sotto le luci dei lampioni solo per sparire nel buio che lasciano intorno a loro. Vanessa si stupì di poter pensare a lei come qualcosa di effimero e solido allo stesso tempo, come una casa costruita con fondamenta salde in una città colpita da frequenti tornadi.

Quando Kye alzò un sopracciglio con un’espressione interrogativa, Vanessa si rese conto di non aver ascoltato quello che aveva detto poco prima.

“Scusa, non stavo ascoltando, cosa hai detto?”

“Dicevo che Chloe ha fatto la divisa” spiegò Kye.

“Davvero?” si voltò di nuovo per lanciare un’occhiata a Chloe prima di chiedere dubbiosa: “Ha usato… la magia?”

Kye sembrò presa in contropiede e guardò Vanessa stupita per qualche secondo prima di abbassare lo sguardo sul tavolo. Quando portò una mano davanti alla bocca, Vanessa si rese conto che stava cercando di nascondere un sorriso.

“Un sorriso della signorina Jensen è più raro di una eclissi lunare. Devo abbassare gli occhi prima di rimanere abbagliata?” domandò Chloe tornando di fianco al loro tavolo.  

Kye si appoggiò allo schienale e si schiarì la gola. “Vanessa pensa che tu abbia creato la tua divisa con uno schiocco di dita e un pizzico di magia.”

“Non ho detto questo!” rispose Vanessa e incrociò le braccia, cercando di trasformare il rossore che sentiva sulle guance in una espressione di indignazione.  

Chloe però stava scuotendo la testa e diede una piccola spinta a Kye prima di rivolgersi a Vanessa. “Lasciala perdere tesoro, quando fa così diventa insopportabile. Comunque capisco perché possa venirti il dubbio, questo è uno dei miei lavori migliori, è un peccato che possa usarlo solo a lavoro.”

“Sei una sarta?” chiese curiosa Vanessa, evitando lo sguardo di Kye.

“Solo per hobby. A volte è più facile farsi un vestito su misura che comprarne uno che mi entri bene in tutti i punti. Soprattutto con queste spalle” concluse, facendo una piccola piroetta con le mani appoggiate sulle spalle appena nominate.

“Sei bravissima, davvero.”

“Grazie, tesoro. Mi fa sempre piacere quando qualcuno apprezza i miei lavori. Hai scelto cosa mangiare?”

Vanessa non aveva scelto, perciò aprì il menù a caso e scelse una delle opzioni con i pancakes. Poi prima che Chloe potesse finire di scriverlo si ricordò di chiedere se ci fossero noci.

“No, nessuna noce. C’è altro che non puoi mangiare?” chiese e quando Vanessa scosse la testa annuì e scrisse ancora qualcosa, poi prese il menù e le informò che sarebbe tornata in dieci minuti al massimo.

Vanessa si voltò verso Kye confusa. “Tu non mangi niente?”

“Chloe conosce il mio ordine a memoria, lo ha già inserito.”

Vanessa annuì, poi si guardò intorno senza sapere bene cosa dire. Per un po’ rimasero in silenzio, fino a quando Kye non si scusò di punto in bianco.

“Per cosa?”

“Per averti preso in giro prima.”

“Non è colpa tua se sono un’idiota” disse Vanessa scrollando le spalle.

Kye aggrottò la fronte e fece una smorfia. “Non sei un’idiota. Ma vedi questo posto come qualcosa che non è. Non tutto qui è legato alla magia.”

“Sì lo so, ma allo stesso tempo… qui c’è la magia e dove stavo prima no. Quindi qualsiasi cosa per me è…”

“Assurda” concluse Kye.

Le due ragazze si guardarono e scambiarono un sorriso. Poi Kye si spostò per fare posto ai piatti che Chloe aveva portato al tavolo.

Tra un boccone e l’altro Kye le domandò se stesse leggendo qualcosa di interessante e Vanessa rispose con entusiasmo, lanciandosi in una discussione che le occupò fino a quando i piatti non furono vuoti.

Mentre Kye le parlava dell’ultimo libro che aveva letto, L’educazione, Vanessa scoprì che aveva cambiato corso anche lei, passando da Lettere a Sociologia magica, una ramificazione della Sociologia classica specializzata nello sviluppo e supporto magico.

Quando Chloe passò a prendere i piatti lasciò sul tavolo un pezzo di torta a testa che Vanessa non ricordava di aver ordinato, ma che assaggiò felice dopo esserci accertata che non ci fossero noci all’interno.

“Non mi capita spesso di parlare di libri con qualcuno che legge tanto quanto me” ammise Vanessa tra un boccone e l’altro.

“Ma non frequentavi un corso di letteratura e giornalismo prima di venire qui?”

“Si, ma quando sono entrata in università avevo già il mio gruppo di amici e non ne ho mai cercati degli altri. E poi Sara e Tamara hanno sempre detto che sembro troppo ossessionata quando parlo di libri e… non so, non volevo che gli altri si facessero una idea strana di me.”

“Non credo che essere ossessionati dai libri sia una così brutta cosa” disse Kye prendendo una forchettata di dolce. Si voltò un attimo verso il bancone e fece un cenno a qualcuno, poi tornò a guardare Vanessa e chiese: “Le tue amiche cosa studiano?”

“Sara stava… sta seguendo un corso di moda molto costoso in una università privata, ma in realtà è solo una scusa per guadagnare qualche anno prima di doversi trovare un lavoro. Tamara invece studia architettura ed è tra le più brave del suo corso.”

“Come vi siete conosciute? Non mi sembra abbiate molto in comune.”

Vanessa mandò giù a fatica il pezzo di torta che aveva in bocca, poi appoggiò la forchetta sul piatto. Sapeva che parlare del proprio passato era normale, ma era da tanto tempo che non le capitava di dover raccontare la sua vita a qualcuno. Ed era la prima volta che doveva farlo da quando l’aveva persa.

Cercò di mantenere un tono neutrale mentre raccontava. “Le nostre madri sono migliori amiche dal liceo. Sono rimaste incinta tutte lo stesso anno e così siamo nate a poca distanza una dall’altra. Mia madre diceva amava dire che il destino ci aveva fatto trovare e che saremmo state amiche per sempre. Da quando siamo piccole abbiamo fatto tutto insieme, come delle sorelle. Persino il fratellino di Tamara sembra meno parte della sua famiglia di noi. Ma immagino che prima o poi le cose dovessero cambiare.”

Vanessa si pentì di aver raccontato una storia così avvilente, ma Kye non sembrava infastidita. Al contrario, sembrava persa in un pensiero lontano, che cercava fuori dalle finestre del diner.

Quando cominciò a parlare i suoi occhi rimasero vuoti, distanti, e Vanessa si avvicinò appena per sentire quello che stava dicendo a bassa voce. “Anche mia madre e quella di Cassandra erano migliori amiche. Ci hanno cresciuto come sorelle, anche se era chiaro che fossimo una l’opposto dell’altra.”

“Cassandra vive qui a Omaville?”

Kye fece una smorfia, poi rispose con un secco: “Non più.”

Vanessa sapeva riconoscere un argomento chiuso quando ne incontrava uno, quindi preferì deviare la conversazione e chiese: “Come mai Chloe è l’unica ad indossare una divisa?”

Kye sembrò grata del cambio di argomento e tornò a guardare verso il locare mentre spiegava con un mezzo sorriso. “Quando sei a Roma, comportati da romano è il suo motto. Ma credo che sia più una questione di passione, le piace confezionare vestiti di altre epoche. Se fosse per lei tutti sarebbero costretti a indossare abiti simili e a portare i pattini. Ma Jack ha messo in chiaro fin da subito che non avrebbe imposto nessun dress-code, fatta eccezione per le serate a tema che ora Chloe cerca di organizzare almeno due volte al mese.”

“Jack?”

“Il proprietario. Questo locale e il pub in fondo alla strada sono suoi. Di solito passa lì tutte le serate, ma ogni tanto si fa vedere da queste parti. Se vuoi incontrare un po’ di studenti, allora devi partecipare alle serate organizzate all’Homa.”

“Tu ci vai spesso?”

“Al pub, qualche volta. Alle serate universitarie, mai. Non amo la ressa che si crea.”

“Neanche io sono una grande fan, ma potrebbe essere un modo di farmi qualche amico” considerò Vanessa, mangiando l’ultimo pezzo di torta.

“Se ti interessa solo quello ti basta stare intorno a Eric, ti farai dei nuovi amici in un batter d’occhio.”

“Tu sei amica di Eric?”

“Non più di altri” rispose Kye scrollando le spalle. A differenza degli studenti che aveva visto in mensa, Kye non sembrava interessata ad essere inserita nella cerchia di Eric, né a dimostrare che tra di loro ci fosse un rapporto maggiore di quello reale. Forse per questo Gideon aveva detto a Vanessa di darle una possibilità.

“Sei pronta ad andare?” chiese Kye, distraendola dai suoi pensieri. Vanessa annuì e raccolse le sue cose, nello stesso momento in cui il suo telefono cominciò a vibrare nella tasca della sua giacca.

Il nome di Eric brillò sullo schermo e, prima che Vanessa potesse decidere se rispondere o meno, la chiamata si interruppe.

Vanessa guardò Kye che le fece un gesto vago e si alzò per andare al bancone dove era appoggiata Chloe.

Eric rispose al secondo squillo, ma la voce non era la sua.

“Sei con Jensen?” chiese Gideon.

“Si, siamo uscite per fare colazione.”

Vanessa sentì un’altra voce, quella di Eric, che diceva qualcosa. Gideon doveva aver spostato il telefono per non farsi sentire, ma comunque Vanessa riuscì a distinguere la frase “lo sai che non verrà”. Seguì un breve battibecco prima che Gideon tornasse a parlare con lei al telefono. “Eric vuole sapere se vi dobbiamo tenere un posto a pranzo.”

Vanessa non voleva rispondere anche per Kye, ma non voleva nemmeno interromperla mentre stava parlando con Chloe. Mentre esitava, le arrivò distante ma chiara la voce di Eric. “Dille che possiamo mangiare da qualche parte in giardino, visto che è una bella giornata.”

Proprio in quello momento Kye si voltò verso di lei e la guardò interrogativa.

“Vi faccio sapere, okay?” disse Vanessa e non appena Gideon le diede una risposta affermativa buttò giù e si accostò a Kye, che salutò velocemente Chloe.

Mentre si incamminavano verso la moto Vanessa si ricordò del conto e sussultò. “Non ho pagato la colazione!”

Kye scrollò le spalle e continuò a camminare. “Ci ho pensato io, Chloe mi fa sempre un prezzo speciale.”

“Ma mi ha anche dato un passaggio, il minimo che posso fare è pagarti la colazione.”

Kye la guardò per un attimo, come riflettendo su quello che stava per dire, poi concluse: “Vorrà dire che pagherai la prossima volta.”

Poi, senza aspettare una risposta, si mise il casco e fece segno a Vanessa di fare lo stesso. Vanessa obbedì cercando di nascondere il sorriso che era apparso sul suo viso continuò a ripetere nella sua mente le parole di Kye mentre si stringeva ai suoi fianchi.

Solo quando raggiunsero l’ingresso dell’ufficio di Mrs. Blois Vanessa si ricordò della chiamata di Gideon.

“Ti va di pranzare insieme oggi?”

“Io e te?” domandò la Kye mentre si scioglieva la coda bassa e passava una mano tra i capelli impeccabili. Vanessa non riusciva a capire come potessero essere così lunghi e sani allo stesso tempo, ma distolse lo sguardo prima che la ragazza notasse quanto attentamente la stava osservando.

“In realtà me lo ha chiesto Eric. Ha detto che possiamo mangiare da qualche parte fuori visto che è una bella giornata.”

Kye esitò, una mano ancora ferma in mezzo ai capelli, come se tutte le sue energie fossero impegnate da qualche altra parte. Alla fine lasciò andare i capelli prima di dire: “Non saprei, te lo posso dire più tardi?”

Vanessa annuì, cercando di nascondere la delusione nel suo sguardo. Kye non sembrò notarlo e la salutò in fretta prima di dirigersi verso le aule in cui aveva lezione.

Rimasta sola, Vanessa provò a bussare di nuovo alla porta, ma non ottenne nessuna risposta. Ricontrollò l’ora, ma secondo il calendario che le aveva consegnato Mr. Harrison era in perfetto orario.  

Non trovando il coraggio di entrare nell’ufficio – e sperando di poter in questo modo saltare il primo allenamento che tanto temeva – Vanessa si avviò verso un gruppo di sedie vuote decisa a mandare un messaggio a Eric, ma proprio in quel momento un rumore di passi la raggiunse dalle scale.

Vanessa si voltò e vide apparire Mrs. Blois. “Vanessa, non hai ricevuto la mia mail?”

Sorpresa, Vanessa scosse la testa. In realtà non aveva nemmeno pensato di controllare le mail quella mattina e la sera prima non aveva avuto neanche le energie per cambiarsi, figurarsi controllare il telefono.

“Ti avevo scritto di raggiungermi davanti alle aule di magia. Per fortuna ho visto la signorina Jensen andare via e ho pensato di venire a controllare. Seguimi per favore.”

Mrs. Blois si incamminò senza aspettare una risposta e Vanessa la seguì lentamente, cercando di tenere a bada il nervosismo che le faceva tremare le mani.

L’ufficio di Mrs. Blois non era molto distante dalle aule e prima che Vanessa se ne rendesse conto la professoressa stava aprendo la stessa porta in cui era entrata il primo giorno con Mr. Harrison.

L’aula era spoglia come la prima volta che l’aveva vista, ma la parete in fondo era stata sgomberata e al posto delle sedie Vanessa vide uno sportello aperto, nel quale erano incastrati alcuni scaffali pieni di oggetti stranamente ordinari. Vanessa riuscì a riconoscere delle lampadine, dei sacchi di terriccio e numerose scatole di fiammiferi prima che Mrs. Blois afferrasse una scatola e richiudesse lo sportello.

Come la porta all’ingresso, anche quello sparì nel muro e Vanessa si chiese se lo avrebbe notato senza averlo visto prima aperto.

Mrs. Blois dovette accorgersi del suo sguardo curioso perché indicò la parete prima di spiegare: “Lì teniamo tutti gli oggetti necessari per le lezioni. Dato che alcuni sono molto fragili, preferiamo proteggerli nel caso la situazione sfugga di mano.”

La professoressa tirò fuori dalla scatola due ciotole nere e le posizionò al centro della stanza. Vanessa la osservò aprire un sacchetto e versare su una delle due ciotole una decina di piume di diverse dimensioni e sfumature di grigio.

Quando si fu assicurata che tutte fossero collocate all’interno della ciotola, si voltò verso Vanessa e le fece segno di raggiungerla al centro dell’aula. “Lascia pure le tue cose all’ingresso, non ti serviranno per questo esercizio.”

Vanessa esitò e Mrs. Blois aspetto pazientemente che decidesse di muoversi. Alla fine prese un respiro profondo e appoggiò le sue cose il più vicino possibile all’uscita.

Solo quando raggiunse Mrs. Blois lei cominciò a spiegare. “Vorrei che ti posizionassi in mezzo a queste due ciotole. Puoi restare in piedi o sederti, oppure posso darti una sedia se preferisci.”

“In piedi va benissimo.”

“D’accordo, ma sappi che puoi cambiare idea in qualsiasi momento. Non è detto che funzioni tutto al primo tentativo. Ora mettiti comoda,” disse e aspettò che Vanessa si posizionasse prima di continuare: “Vorrei che tu provassi a spostare una o più delle piume.”

“Spostarle dove, nell’altra ciotola?”

Mrs. Blois sorrise alzando le spalle. “Dove preferisci. Il tuo unico compito è spostarle, sta a te scegliere in che modo e luogo.”

“Ma… se non riuscissi a controllarli?” chiese Vanessa cercando di nascondere il terrore nella sua voce. Se non fosse riuscita a controllarli? Se avesse fatto male alla professoressa mentre il suo unico obiettivo era spostare delle piume? Come l’avrebbero guardata Hannah, Mr. Harrison, sua madre? L’idea che potesse succedere la terrorizzava, facendole perdere il briciolo di razionalità a cui si stava così fragilmente attaccando.

“Non amo l’utilizzo di quella parola. Controllo. Non credo sia adatta per descrivere quello che cerchiamo di fare” disse Mrs. Blois.

Quella frase la distrasse abbastanza da farla sentire di nuovo presente, salda, lontana dalla magia che tanto temeva. E le sembrava una buona scusa per ritardare quell’esercizio.

“Ma quando ho parlato con Mr. Harrison lui ha detto-”

Mrs. Blois la interruppe prima che potesse finire. “Io e Adam condividiamo molti punti di vista quando si parla di magia, ma su questo siamo in forte contrasto. Lui parla con troppa leggerezza di controllo, ma far credere ai risvegliati di poter controllare la magia è come convincere una persona che tirare un leone per la criniera gli impedirà di attaccarti. La magia non è qualcosa che ci appartiene, non è qualcosa che ti appartiene. Fa parte di te, ma non è tua.”

“Allora… allora cosa sto facendo qui?” chiese, senza riuscire a nascondere la frustrazione nella sua voce. Se non era lì per imparare a controllare i suoi poteri, che senso aveva essere a Omaville?

“Tu sei qui per imparare a capire la tua magia, per imparare a fidarti di lei. La magia è il tuo più grande alleato, ma non un tuo schiavo. Il tuo compito non è piegarla, ma imparare ad ascoltarla come lei ascolta te.”

“Ma se decidessi di addormentarla…” Vanessa tentennò sull’ultima parola, preoccupata della reazione che avrebbe avuto la professoressa. Quando vide che la osservava paziente continuò: “Se decidessi di addormentarla, non la starei controllando?”

“Anche questo è un errore comune quando si parla di magia. Addormentare la tua magia non significa imparare a spingerla in un angolo fino a quando non avrà più la possibilità di manifestarsi. Addormentare la tua magia vuol dire imparare a conoscerla abbastanza da poterla rinnegare. La magia dentro di te ti ha scelto, ma non per questo tu devi sceglierla a tua volta. Ma se dici di no, se rifiuti la magia, il processo diventa irreversibile. Una volta diventata una dormiente non puoi più tornare indietro.”

“E se dicessi no ora. Cioè se la… rinnegassi, come diceva lei?”

Mrs. Blois raggiunse una delle sedie posizionate sui lati della stanza e si sedette prima di dire: “Probabilmente è quello che hai fatto fino ad ora.”

“Non capisco” replicò Vanessa, che era tentata di chiedere una sedia a sua volta. Quella conversazione stava diventando troppo tutto insieme.

“Alcuni lo chiamano autoassopimento. Accade quando una persona cerca di reprimere la magia senza esserne consapevole, per ragioni di ogni tipo. A volte succede a persone che hanno già scoperto di essere risvegliati. Altre volte, come nel tuo caso, la persona impedisce alla magia di manifestarsi. Ma quello non è rinnegare i tuoi poteri, quanto spingerli in una gabbia impedendogli di uscire. Il problema, come hai potuto provare sulla tua pelle, è che la soluzione è solo temporanea. Finché la magia esiste dentro di te, continuerà a spingere per essere usata, per manifestarsi. A quel punto sarà solo un gioco di forza, di quanto a lungo la persona è capace di tenere chiusa la porta della gabbia.”

Le parole continuavano a entrare nella testa di Vanessa e intrecciarsi con ricordi casuali della sua vita. Per quanto ci provasse, non riusciva a ricordare un solo momento in cui aveva sentito quel formicolio, in cui aveva scelto di farlo sparire.

“Addormentare la magia,” continuò Mrs. Blois “è un percorso molto più complesso. È necessario che il risvegliato conosca a fondo la magia, che sia in contatto con lei al punto da poterla rinnegare consapevolmente. Quando il risvegliato è al pari della sua magia, quando la può guardare con la testa alta e con la consapevolezza di cosa rappresenta, allora può rinnegarla e lei sparirà. Ma, come dicevo, non è un processo semplice e non funziona per tutti al primo tentativo.”

Mrs. Blois smise di parlare e Vanessa immaginò che stesse aspettando delle possibili domande. Ma la mente di Vanessa era vuota, incapace di formulare un pensiero coerente. Hannah le aveva raccontato tutto questo e lei lo aveva dimenticato?

Una parte di lei si era convinta che addormentare la sua magia sarebbe stato semplice, che la parte più difficile sarebbe stata scegliere cosa fare. Tutte quelle difficoltà, tutti quegli ostacoli inaspettati la terrorizzavano e per un attimo desiderò di poter semplicemente sparire e rifugiarsi sotto le sue coperte, di smettere di ascoltare quello che le stava succedendo come aveva fatto le prime settimane con Hannah.

Invece la voce di Mrs. Blois le arrivò chiara e limpida riportandola nell’aula di magia. “Se non hai altre domande, direi di cominciare. Non vorrei farti arrivare tardi alle lezioni successive.”

Vanessa annuì, poi guardò le ciotole posizionate di fianco a lei e ammise sottovoce: “Non so come fare.”

“Il mio consiglio è di trovare una posizione comoda, chiudere gli occhi e provare a concentrarti” disse Mrs. Blois continuando ad osservarla seduta a debita distanza. Quando Vanessa non fece nessuna delle tre cose, la professoressa aggiunse: “Non ci sono voti o errori. Non importa se alla fine dell’esercizio tutte le piume saranno ancora al loro posto. L’importante è che tu provi a spostarle.”

“D’accordo” rispose Vanessa, incapace di trovare altre scuse per allungare quella conversazione.
Restare in piedi in mezzo alla stanza la metteva a disagio, quindi optò per sedersi sul pavimento. Quando trovò una posizione abbastanza comoda chiuse gli occhi e cercò dentro di sé la sua magia. Per quanto in fretta era apparsa altre volte, quel giorno sembrava essere sparita nel nulla, nonostante i suoi tentativi di concentrarsi.

Quando Mrs. Blois parlò di nuovo, Vanessa non riuscì a capire se fossero passati pochi secondi o intere ore. “Non pensare troppo, cerca di fissarti su un unico obiettivo. Con chi vuoi entrare in contatto? Con le piume? Con la magia? Cerca un punto di aggancio e prova a muoverti da lì.”

Vanessa avrebbe voluto che quelle parole avessero più senso per lei, ma per quanto ci provasse non riusciva a immaginare come pensare alle piume potesse aiutarla a connettersi con la magia.

E più teneva gli occhi chiusi, più immaginava lo sguardo di disappunto di Mrs. Blois, seguito da quello di Hannah. Da lì la strada era breve per il volto sconvolto dei suoi genitori.

Consapevole che quella tattica non stava funzionando, Vanessa aprì gli occhi ed evitò di guardare Mrs. Blois, concentrandosi invece sulla ciotola con le piume sopra.

Nella stanza non sembrava tirare nemmeno un filo di vento e le piume giacevano perfettamente immobili una sull’altra. Lo sguardo di Vanessa fu attirato da una piuma in particolare, grigia come tutte le altre ma con una piccola sfumatura bianca sulla base. Provò a concentrarsi su di essa, provando a immaginare che effetto avrebbe fatto vederla muovere.

Prima di rendersene conto, la sua mano si spostò verso la ciotola, solo per fermarsi a poca distanza dalla piuma. Vanessa esitò, ma Mrs. Blois non aveva specificato niente sul non toccarle.

Quando il suo dito entrò in contatto con la superficie liscia Vanessa sentì il formicolio scoppiare dentro di lei come un petardo. Un momento prima non esisteva, quello dopo era ovunque, come un raggio di luce che appare in una stanza quando qualcuno riesce finalmente a trovare l’interruttore.

Vanessa alzò la mano e, con sua sorpresa, la piuma la seguì. Cominciò a librare appena sotto il suo palmo, nonostante lei non sentisse nient’altro tranne il formicolio a cui si stava lentamente abituando.

Quando un’altra piuma si alzò dalla ciotola, seguita da un’altra ancora, Vanessa cercò di trattenere la sorpresa. Ma non sembrava che la magia avesse bisogno della sua concentrazione per far alzare tutte le piume che in poco tempo cominciarono a muoversi delicate intorno alla sua mano.

Qualunque cosa stesse facendo, stava funzionando senza intoppi e tragedie. Non aveva dubitato delle parole di Mr. Harrison e Hannah, ma fino a quel momento non gli aveva mai creduto davvero.  

La sua magia stava facendo volare quelle piume e basta. Non stava facendo danni, non stava ferendo nessuno. Le sembrava quasi troppo bello per essere vero.

La sensazione di sollievo si mescolò a una di felicità e orgoglio e per un attimo il formicolio nel suo corpo si fece più intenso.

L’aumento di intensità, per quanto piccolo, fu sufficiente a spaventarla abbastanza da fare ritrarre lei e il formicolio nel suo corpo. Nello stesso momento le piume cominciarono a cadere in piccoli archi verso terra, sparpagliandosi intorno al suo corpo.

Vanessa le guardò cadere e non alzò lo sguardo fino a quando anche l’ultima non toccò il pavimento.

“Come ti senti?” chiese Mrs. Blois quando incrociò il suo sguardo.

“Tranquilla?”

Mrs. Blois annuì e scrisse qualcosa nella cartella che Vanessa non le aveva visto tirare fuori. “Come ti sei sentita quando le piume si sono alzate? È stato difficile riuscirci?”

Vanessa cercò una risposta, ma quello che aveva appena vissuto le sembrava troppo complesso per spiegarlo a parole. “Non lo so. Io… Io ho sentito un formicolio e poi la piuma si è alzata. E quelle dopo, non so, io non ho fatto niente, credo che sia stata la magia.”

“Senti sempre un formicolio quando stai utilizzando la magia?”

“Le poche volte che l’ho usata sì. È così che capisco quando sta… apparendo. Non è così per tutti?”

Mrs. Blois fece un gesto vago, continuando a scrivere sul foglio davanti a lei. “Per alcuni, non per tutti. Nel mio caso, la magia assomiglia più ad un rombo di motore, sentirla dentro di me mi tranquillizza.”

“Oh” fu tutto quello che riuscì a dire Vanessa.

La professoressa scrisse ancora qualcosa, poi chiuse la cartelletta e guardò Vanessa dritta negli occhi. “Molto bene, per oggi abbiamo concluso. Entro fine settimana faremo un altro incontro individuale, mentre dalla prossima settimana sarai inserita nel gruppo del primo ciclo.”

“Così presto?”

“Non vedo perché no, ti sarà utile osservare gli altri e potrai imparare molte più cose lavorando con loro” concluse Mrs. Blois raccogliendo le sue cose. Vanessa si voltò per raccogliere le ciotole, solo per accorgersi che erano sparite insieme alle piume.

Quando uscirono dall’aula Mrs. Blois le ricordo dell’appuntamento del venerdì e la invitò a scriverle per qualsiasi problema, poi sparì nella folla di studenti.

Vanessa si rese conto solo in quel momento di quante più persone ci fossero nell’ala di magia e il suo primo istinto fu di allontanarsi il più possibile da quel luogo.

Mandò un messaggio a Kye per dirle che aveva finito. Il suo cellulare vibrò immediatamente e sullo schermo apparve un primo messaggio di Kye che le faceva sapere di non riuscire ad accompagnarla alla lezione dopo, seguito da uno infinito in cui le dava indicazioni dettagliate su come raggiungere l’aula successiva.

Troppo impegnata a rispondere al messaggio di Kye non si accorse della persona che le stava andando incontro e si fermò solo quando le andò a sbattere addosso.

Alzò lo sguardo di scatto pronta a scusarsi, ma si fermò quando riconobbe Alicia, che la stava guardando con un sorriso malizioso.

“Ma guarda che fortuna, speravo proprio di incontrarti, Vanessa.”

Vanessa cercò di sorridere gentile, mentre sulla schiena le correva un brivido.

“Ciao Alicia. Scusami, sono in ritardo per la mia prossima lezione…” disse, superando la ragazza e incamminandosi a passo veloce verso l’aula.

Prima che potesse allontanarsi, però, Alicia la afferrò per il polso, costringendola a girarsi verso di lei. Vanessa si liberò dalla presa, ma si voltò, pronta a dirle di lasciarla in pace.

Ma Alicia fece un passo verso di lei. Il suo profumo di lavanda le inondò le narici mentre le sussurrava all’orecchio: “Attenta a quello che fai. Non vorrai fare arrabbiare l’unica persona che conosce il tuo segreto.”