Capitolo 10

Vanessa stava riconsiderando il vestito nero per la terza volta quando Eric bussò allo stipite della porta.

La settimana era passata in un lampo sotto i suoi occhi e, prima che se ne rendesse conto, era arrivata la sera della festa. Per giorni aveva cercato di allontanare quel pensiero, concentrandosi sulle lezioni, sui pranzi con Kye e sulle serate sul divano con Eric.

Ma quando sabato si era svegliata con un nodo allo stomaco si era resa conto che tutti i suoi tentativi erano falliti. E così aveva passato l’intera giornata nel limbo dell’attesa, incapace di dedicarsi a qualsiasi attività per più di qualche minuto.

Kye le aveva mandato un messaggio la sera prima per farle sapere che sarebbe andata anche lei alla festa, ma che li avrebbe aspettati direttamente lì.

Quel pensiero la rassicurava: a differenza di Eric e Gideon, Kye sapeva la vera ragione del suo nervosismo.

“Non sei costretta a venire” le ripeté Eric per la millesima volta, facendola sbuffare.
Vanessa si girò per protestare ma le parole le morirono in bocca. Eric indossava una camicia bianca sfiancata e dei pantaloni neri che sembravano troppo costosi per essere adatti ad una festa in cui dei drink vengono passati da una parte all’altra.

“Ma non aveva detto di vestirsi eleganti e casual?” chiese Vanessa preoccupata. Al contrario di quelli di Eric, i suoi vestiti tendevano più verso il casual che l’elegante.

Eric scrollo le spalle e si passò una mano tra i capelli perfettamente pettinati. Per un attimo Vanessa si chiese se lui non avesse passato tutto il pomeriggio a sistemarsi mentre lei camminava avanti a indietro per la sua stanza. “Non si può mai sapere con Alicia. Preferisco essere troppo elegante che troppo casual.”

“Avrei voluto saperlo” rispose Vanessa portando una mano alla bocca. Negli ultimi tempi l’abitudine di strapparsi le pellicine era tornata nonostante i suoi sforzi.

“Quale vestito ti vuoi mettere?” chiese indicando la pila confusa sul letto.

Vanessa pescò un vestito nero a collo alto, che aveva scelto perché era nero – e perciò intrinsecamente elegante – e con le maniche lunghe. Quest’ultimo dettaglio lo differenziava dal vestito che aveva indossato all’ultima festa a cui aveva partecipato. In quel momento l’ultima cosa di cui aveva bisogno era trovare dei punti di contatto tra quella sera e la festa a cui stava per andare.  

“Mi sembra perfetto, ma metti un paio di calze o rischi di morire di freddo.” Quando Vanessa annuì distratta, gli occhi che passavano da un vestito all’altro ancora una volta, Eric riprovò: “Non sei costretta-”

“A venire, lo so. Ma voglio farlo.”

“Perché? Hannah mi aveva fatto intendere che non fossi una grande appassionata di feste.”

A Vanessa non piaceva pensare che Eric e Hannah avessero parlato di lei alle sue spalle, ma sorvolò. “Non è che mi facciano impazzire, soprattutto se davvero ci saranno più di duecento persone, ma…” tentennò, preparandosi a rifilare a Eric la scusa che aveva provato ancora e ancora allo specchio, “vorrei fare amicizia, capire come funzionano qui le cose. Integrarmi.”

“Posso presentarsi tutte le persone che vuoi, non hai bisogno di venire alla festa di Alicia per conoscerle.”

Vanessa si accigliò. “Non voglio che tutte le persone facciano amicizia con me perché ti conosco. Voglio fare amicizia da sola, senza che ci sia tu a chiedere alle persone di trattarmi bene.”

“Non lo farei mai!” rispose Eric, troppo in fretta per essere sincero.

“Vuoi che lo chieda e Gideon? Non mi stupirei se avessi detto ai ragazzi che mangiano in mensa con noi di evitare di chiedermi qualcosa sulla mia magia” disse Vanessa e quando Eric abbassò lo sguardo colpevole continuò: “Ecco, parlo proprio di questo! Non puoi continuare a intercedere per me in ogni situazione. Non voglio che le persone mi parlino per fare un piacere a te, o addirittura non mi dicano certe cose perché gli hai chiesto di non farlo.”

Eric si sedette sul letto in silenzio, poi si passò una mano sulla faccia prima di tornare a guardarla colpevole. “Gideon ha detto che mi sto comportando come un fratello maggiore.”

“Non ho mai avuto un fratello,” ammise Vanessa sedendosi a fianco di Eric, “ma non lo voglio in ogni caso. Voglio che tu sia mio amico. Un amico che mi supporti nell’idea folle di provare a socializzare a una festa con centinaia di sconosciuti e un dress code troppo vago.”

Eric sorrise, poi batté le mani e si alzò dal letto. “D’accordo! Quanto ti ci vuole per essere pronta?”

“Mezz’ora, quaranta minuti al massimo?”

“Benissimo! Prima andiamo, prima fai amicizia con qualcuno, prima posso trovare una scusa per tornare a casa. Vado ad avvisare Gideon” concluse prima di uscire dalla stanza.

Appena la porta si chiuse Vanessa si lasciò cadere sul letto pieno di vestiti e respirò profondamente un paio di volte, cercando di trovare la calma necessaria per affrontare quella serata. Si arrese dopo qualche minuto, quando si rese conto che l’ultima cosa che stava ottenendo era fare tardi.

Quarantacinque minuti dopo si osservò allo specchio, soddisfatta del lavoro che aveva fatto. Per mancanza di tempo aveva semplicemente piastrato i capelli, anche se la vista della ricrescita la disturbava ogni giorno di più.
Prese il cappotto più elegante che aveva nell’armadio, una delle borse troppo piccole che Sara le aveva regalato per il suo compleanno – non si era mai abituata alla dimensione troppo insignificante per renderla una vera borsa, ma non aveva avuto il coraggio di dirlo a Sara ed era in ogni caso una delle più serie che aveva – e gli stivali con il tacco.

Con tutte le cose in mano corse giù per le scale proprio mentre Gideon chiudeva la porta alle sue spalle. Quando si voltò verso di lei, Vanessa si bloccò esattamente come aveva fatto con Eric. Poi scoppiò a ridere.

Gideon indossava un maglioncino a collo alto sopra dei jeans neri e portava un cappotto molto simile a quello di Vanessa.

Quando Eric li raggiunse in corridoio diede voci ai pensieri di tutti i presenti. “Siete vestiti uguali! Sembrate una coppia sposata!”

Gideon sembrò riprendersi grazie all’affermazione di Eric e si voltò verso l’amico scrollando le spalle. “Se abbiamo entrambi buon gusto non è certo colpa nostra. Cosa hai fatto ai capelli?” chiese, distraendo il ragazzo dalla conversazione.
Eric si lanciò in una descrizione accurata della sua acconciatura e si diresse verso la cucina per prendere le sue cose, mentre Gideon e Vanessa rimasero sulla porta.

“Vuoi che mi cambi?” domandò Vanessa, anche se non era sicura di avere davvero qualche alternativa valida a quell’abito.

Gideon scosse la testa. “Stai bene vestita così” disse, come se stesse dando un’informazione più che facendo un complimento.

“Grazie, anche tu.”

“Il nero risalta i capelli e aiuta a mimetizzare” rispose il ragazzo, poi disse ad Eric di muoversi e aprì la porta d’ingresso. “Vieni fuori ad aspettarlo?”

Vanessa lo seguì sulla veranda, dove Gideon si accese una sigaretta. L’aria era ancora sopportabilmente fresca, ma Vanessa era contenta di aver preso la giacca.

“Come sono andate le lezioni ieri?” chiese Gideon, lasciando che il fumo lo circondasse prima di sparire nella notte.

Vanessa sbuffò. “Non mi va di parlare di università anche stasera.”

“E di cosa vuoi parlare?”

“Non lo so, cosa fai quando non sei in un’università?”

Gideon esitò solo un secondo prima di dire: “Faccio il tatuatore.”

Vanessa fallì a nascondere la sorpresa. “Davvero?”

“È così sorprendente?”

“No è che… Non ti ho mai visto disegnare.”

“Non mi piace disegnare in università. Troppi occhi curiosi.”

“Però ti piace?”

“Cosa? Disegnare o tatuare?”

“Entrambi.”

Gideon rifletté un po’ prima di rispondere. “Sì, mi piace disegnare. Più di molte altre cose comunque.”

Vanessa annuì e chiese: “E fare il tatuatore?”

Gideon si voltò verso di lei e la osservò in silenzio, poi tornò a guardare verso la strada deserta. “Sì, probabilmente anche più di disegnare. Mi piace creare qualcosa pensato da qualcun altro. Diciamo che sono… particolarmente bravo in questo campo.”

L’ultima frase colpì Vanessa, che si chiese se per caso non avesse a che fare con la magia di Gideon. E si rese conto solo in quel momento che non sapeva niente sui poteri di Gideon, che non era nemmeno sicura che fosse un risvegliato.

Ma prima che potesse chiedergli qualcosa, Gideon fece cadere a terra la sigaretta mezza fumata e la spense con uno dei suoi stivali rovinati.

Buttò entrambi i mozziconi in un cestino che Vanessa non aveva visto proprio nel momento in cui Eric aprì la porta di casa affannato.

“Scusate, mi ha chiamato mio padre e non mi mollava più. Siete pronti ad andare?”

Vanessa si aspettò di sentire Gideon fare un commento ironico, invece entrambi i ragazzi si voltarono verso di lei. Dopo aver preso un respiro profondo e non aver trovato in fondo ad esso nessun conforto concluse: “Sì, andiamo.”

La casa di Alicia si trovava dall’altra parte di Omaville rispetto a dove abitava Eric, ma il viaggio fu meno lungo di quanto si aspettasse.
Vanessa aveva occupato il posto del passeggero nonostante le proteste, mentre Eric si era seduto dietro il sedile di Gideon. Quest’ultimo era alla guida dato che avevano preso la sua macchina, una jeep nera che troppo vecchia per essere guidata agli occhi di Eric.

“Questa macchina è un catorcio, Vanny. Non puoi negarlo” disse Eric sporgendosi verso di lei.

“Solo perché non hai mai guidato una macchina che avesse più di due anni di vita non significa che tutte le altre sono catorci.”

“Non tutte le macchine sono catorci,” concordò Eric offeso, “ma questa lo è. Ti ho detto mille volte che puoi prendere quella di mio zio. Lui non la può più guidare e tu non saresti costretto a farci stare in questo rottame.”

“Se volessi cambiarla avrei i soldi per farlo. Non cambiarla è una mia decisione” rispose Gideon, ma il tono piccato tradiva una nota di divertimento. Gideon non sembrava essere offeso dall’offerta di Eric, ma Vanessa ricordava bene quanto quest’ultimo avesse insistito per ridargli i soldi del libro che aveva comprato per lui.

“Quando i freni cederanno e noi finiremo contro un palo avrai sulla coscienza me e Vanny.”

“Come sempre, la tua fiducia in me è commuovente. E comunque sarei molto più capace di te di accorgermi se qualcosa non andasse in questa macchina” concluse Gideon, poi osservò l’incrocio a cui si era fermato per qualche secondo prima di annuire e mettere la freccia.

“Ha un nome?” chiese Vanessa, per cercare di distrarli dal loro battibecco ed evitare di pensare a quanto potevano essere vicini a casa di Alicia.

“Che cosa?” domandò Gideon senza distogliere lo sguardo dalla strada.

“La macchina. Alcuni miei amici avevano dato un nome alle loro macchine.”

Gideon scosse la testa. “Quando l’ho comprata non avevo molte speranze che durasse a lungo, quindi non le ho mai dato un nome.” Eric sembrò sul punto di aggiungere qualcosa, ma Gideon gli lanciò uno sguardo eloquente e il ragazzo lasciò perdere. “Comunque non mi piace dare un nome alle cose, ma se ti va puoi farlo tu.”

“Perché non io?” si intromise Eric piccato, anche se la sua attenzione era ora divisa tra la loro conversazione e il telefono.

“Hai perso il diritto di darle un nome quando l’hai insultata la prima volta” rispose Gideon, prima di lanciare un mezzo sorriso a Vanny. “Hai qualche idea?”

Vanny rimase spiazzata. Nonostante Gideon si fosse dimostrato amichevole tutta la settimana, non le sembrava di potersi considerare ancora abbastanza sua amica da poter dare un nome alla sua macchina. Per questo si schiarì la gola e sussurrò: “Ci penserò su.”

“Fammi sapere se ti viene in mente qualcosa prima che smetta di camminare.”

“Cosa che potrebbe succedere stasera per quanto ne sappiamo” sussurrò Eric senza alzare lo sguardo dallo schermo.

“Facciamo così Hoffman” replicò Gideon alzando la voce e puntando un dito verso lo specchietto retrovisore. “Se questo catorcio smette di funzionare stasera, andrò a chiedere personalmente ad Alicia di prestarmi la sua nuovissima macchina per tornare a casa. Va bene?”

Vanessa si voltò per vedere la risposta di Eric, ma il ragazzo si limitò a fare una smorfia e mettere via il telefono prima di alzare lo sguardo su di lei e chiedere: “Kye ha detto a che ora arriva?”

“Mi ha scritto prima che partissimo dicendo che ci aspettava lì” rispose Vanessa controllando il telefono. Nessun nuovo messaggio. “Quanto manca?”

“Dieci minuti al massimo, se gli invitati hanno lasciato il viale libero” disse Gideon girando all’ennesimo incrocio.
Vanessa si accorse solo in quel momento che le case di quartiere erano state sostituite da una grande strada su cui affacciavano numerosi imponenti cancelli dall’aria tanto costosa quanto antica.

Provò a guardare all’interno di uno di essi senza riuscire a vedere nessuna casa e per un attimo si chiese se fosse colpa del buio o della distanza a cui si trovavano.

I primi tre cancelli sembravano quasi abbandonati nel buio della sera, ma dal quarto in poi cominciarono ad apparire, prima rade poi sempre più frequenti, delle macchine accostate alla strada.
Il numero di veicoli preoccupò Vanessa, che aveva fino a quel momento sperato che duecento persone fosse un’esagerazione di Gideon, e dovette sforzarsi di non chiedere a Gideon di fare retromarcia e riportarla a casa.
Kye aspetta dentro, continuò a ripetersi, sperando che il pensiero della ragazza potesse portare via una parte dell’ansia.

Gideon non accennò a fermarsi in nessuno dei rari posti vuoti che accostarono sulla strada, ma prima che Vanessa potesse chiedergli qualcosa, il ragazzo girò verso uno dei cancelli, il primo aperto su tutta la strada.
Intorno ad esso erano raccolti veri gruppi di persone che stavano entrando con più o meno entusiasmo nel giardino parzialmente illuminato.
Gideon si fermò a pochi metri dall’ingresso e Vanessa si accorse solo in quel momento di un ragazzo vestito in un completo scuro che si stava dirigendo verso di loro. Quando si accostò alla macchina Vanessa vide che doveva aver almeno dieci anni più di lei e che portava un auricolare all’orecchio.
Prima che potesse dire qualcosa, Gideon abbassò il finestrino posteriore ed Eric fece un gesto al ragazzo, che annuì e gli fece un segno di proseguire.

Mentre le persone intorno a loro li guardavano più o meno infastiditi, Vanessa si voltò verso Eric confusa. “Chi era quello?”

“Uno della sicurezza. Alicia non vuole che le persone parcheggino nel giardino interno. L’ultima volta hanno distrutto un intero roseto e un ragazzo si è schiantato contro un albero.”

“E perché noi siamo entrati?”

“Alicia fa delle eccezioni per… gli amici più stretti” rispose Eric con una smorfia.

Vedendo la sua espressione Vanessa preferì non insistere e si voltò, solo per trovarsi davanti la casa di Alicia.

Casa era riduttivo: l’ultima volta che era rimasta stupita da un’abitazione era stato per la festa di compleanno di una cugina di secondo grado di Tamara, che aveva affittato una villa esageratamente grande per il numero di persone che effettivamente conosceva. E così avevano passato la serata nel salotto gigante quando si era messo a piovere a dirotto, facendo giochi da tavolo e guardando film con abiti troppo scomodi per essere usati su un divano.

Quella villa impallidiva di fronte all’edificio che Vanessa aveva ora davanti agli occhi. La casa di Alicia era una magione: con più finestre di quante sarebbe riuscita a contarne, si estendeva su almeno tre piani e occupava tutto il suo campo visivo nonostante la lontananza. Sembrava vecchia, come se fosse stata costruita molto tempo prima a mai modernizzata.
Vanessa si chiese come potesse Alicia vivere in una casa tanto grande: aveva fratelli e sorelle? Più generazioni della sua famiglia vivevano lì? Probabilmente due persone sarebbero riuscite a vivere con tranquillità per settimane dentro quella magione senza mai incontrarsi.

Eric, che sembrò leggerle nel suo volto lo stupore, si sporse e spiegò: “Questa era la casa dei bisnonni di Alicia. Quando Alicia era piccola vivevano qui anche i suoi nonni e tutti i prozii e prozie, ma negli anni sono morti e da qualche anno i genitori usano solo le alee più basse della casa. Aprono di sopra solo per i ricevimenti o eventi speciali.”
Per Vanessa, che era abituata a case con al massimo tre stanze da letto, quell’idea era terrificante. Sapere di avere intorno a sé tutto quello spazio vuoto, silenzioso e inutilizzato, la faceva rabbrividire.
Continuando a osservare la casa si rese conto con angoscia che se avesse perso di vista i ragazzi, avrebbe rischiato di non trovarli più.

Gideon rallentò proprio nello spiazzo davanti all’ingresso e aspettò che le persone si fermassero per passare e dirigersi verso il lato su cui erano parcheggiate alcune macchine. Vanessa lo guardò spegnere il motore e respirare profondamente prima di aprire lo sportello e uscire dalla macchina.
Non avendo nessuna scusa per ritardare, Vanessa lo imitò e si accostò a Eric cercando di evitare gli sguardi che gli invitati continuavano a lanciare verso di loro.

Proprio mentre si chiedeva come avrebbe fatto a trovare Kye in un luogo così grande, un gruppo di ragazzi lasciò un varco abbastanza grande perché Vanessa potesse vedere la moto della ragazza parcheggiata di fronte all’ingresso.

Alicia aveva deciso di far passare gli invitati dal retro della casa, perché il portone centrale era chiuso e le luci intorno ad esso spente, come per far desistere chiunque dall’entrare su quel lato. Ad una prima occhiata Kye spariva nell’ombra della casa, i capelli corvini che si confondevano con l’oscurità alle sue spalle, ma non appena l’ebbe notata Vanessa non riuscì più a distogliere lo sguardo.

Mentre si avvicinava notò il completo giacca pantalone di velluto color mogano, che la ragazza aveva abbinato ad un paio di converse nere che non stonavano tanto quanto Vanessa avrebbe immaginato. Era il perfetto mix di elegante e casual, ma Vanessa temeva che quell’abbinamento funzionasse solo perché era lei a indossarlo.

Kye aveva appoggiato la giacca sulla moto e sembrava impegnata a leggere qualcosa sul telefono, ma quando Vanessa quasi inciampò sulla ghiaia che non aveva visto prima alzò la testa di scatto verso di lei.

“Come hai fatto a entrare con la moto?” si sorprese a chiedere Vanessa.

Kye mise il cellulare in tasca e afferrò il cappotto prima di rispondere: “Conosco Billy.”

“Il ragazzo all’ingresso?”

Kye annuì. “Mi ha fatto entrare lui. Posso lasciare la giacca nella tua macchina? Non voglio perderla là dentro” continuò guardando dietro la sua spalla dove doveva essersi fermati Gideon ed Eric.

Senza aspettare una risposta Kye si avvicinò al ragazzo, che allungò il braccio con cui non stava fumando per farglielo appoggiare.
Anche Eric si tolse il suo giubbotto e lo lasciò a Gideon, che si voltò poi verso Vanessa. “Lasciami anche il tuo e infilatevi, io vi raggiungo appena finisco di fumare.”

Mentre Gideon tornava verso la macchina, i tre si infilarono nel fiume di persone che si stavano avviando verso il retro della casa.
Immediatamente qualcuno diede una pacca sulla spalla a Eric e appena il ragazzo si voltò per salutare fu inglobato in una conversazione poco distante da loro. 
Vanessa si voltò verso Kye e si accorse che la ragazza la stava osservando. “Cosa c’è?”

“Niente. Il vestito ti sta bene” rispose, distogliendo lo sguardo.
Vanessa avrebbe voluto dirle che era lei a essere vestita benissimo, ma proprio in quel momento una ragazza davanti spinse una delle sue amiche che inciampò indietro. Vanessa si spostò per evitare di essere trascinata a terra e così facendo uscì dalla colonna di persone.

La prima cosa che notò fu il grande giardino che si estendeva sul retro della casa, abbastanza da ospitare un paio di matrimoni. La seconda fu la grande piscina intorno alla quale alcuni invitati stavano chiacchierando o ballando scoordinatamente.

La parte razionale di Vanessa sapeva che quella era una piscina diversa, che il fondale colorato di rosa non corrispondeva a quello scarsamente illuminato intorno al quale aveva ballato mesi prima. La parte razionale di lei sapeva che anche a Omaville dovevano esserci delle piscine, che presto o tardi avrebbe visto una piscina, che non era la piscina in sé come struttura ad essere il problema.

Ma la parte razionale di lei si spense nel momento stesso in cui i suoi occhi videro l’acqua, lasciando un solo e unico pensiero. Scappa.

Scappa. Scappa. Scappa.

Nonostante la parola continuasse a ripetersi nella sua mente, un chiaro messaggio di allarme che cercava di farsi sentire in mezzo al rumore del mondo, Vanessa rimase ferma sul posto, consapevole che non avrebbe potuto andarsene neanche volendo. Perché doveva vedere Alicia, doveva dimostrarle che aveva fatto quello che le aveva chiesto e sperare che sarebbe stato sufficiente a convincerla a tenere il suo segreto un giorno in più. Due necessità contrapposte che la tiravano in due direzioni diverse lasciandola incapace di muoversi.

Vanessa sentì gli occhi riempirsi di lacrime proprio nello stesso momento in cui una figura si interpose tra lei e la visione della piscina.
Anche se non aveva il coraggio di alzare gli occhi, riconobbe le scarpe di Kye. Tutto il rumore intorno attorno a loro arrivava ovattato alle sue orecchie, per questo le ci volle qualche secondo per capire che la ragazza le stava parlando.

“Vanessa? Che succede? Vanessa?” continuava a ripetere Kye, che come lei si era estratta dal fiume di invitati diretti verso il retro della casa. Nonostante cercasse di attirare la sua attenzione, Kye non la toccò, limitandosi ad avvicinare il volto al suo per sussurrare: “Alicia sta facendo qualcosa?”

Vanessa scosse la testa proprio quando un’altra figura si avvicinò a loro. “Cosa sta succedendo?” chiese Gideon, posizionandosi di fianco a Kye. Solo a posteriori Vanessa si sarebbe resa conto che il ragazzo aveva scelto quel posto per una ragione: dando le spalle alle persone che stavano camminando, aveva creato un muro che la copriva da sguardi curiosi.

I due ragazzi di fianco a lei la osservarono in silenzio mentre Vanessa cercava di riprendere fiato e impedirsi di piangere. Ironicamente, il pensiero che le lacrime avrebbero fatto colare il suo mascara le permise di riprendere un po’ di chiarezza.

“La piscina” fu tutto quello che riuscì a dire.

Dato che Kye era direttamente di fronte alla piscina, Vanessa si voltò a guardare Gideon, che annuì nella sua direzione come se quella parola fosse stata sufficiente a chiarire tutto -u na parte di Vanessa avrebbe voluto che lo fosse-.

“Vuoi tornare indietro? Posso lasciare la macchina a Kye” propose Gideon, poi quando Vanessa scosse la testa aggiunse: “Okay, allora possiamo entrare dalla cucina, ci sono le scale appena dietro l’angolo.”

“Oppure possiamo usare la porta d’ingresso, dovrei avere ancora la chiave” concluse Kye, già intenta a cercare qualcosa nelle tasche della giacca.

“No, no, la cucina va bene. Solo… non avviciniamoci all’acqua.”

Entrambi annuirono, poi Kye si voltò per fare strada e Gideon le rimase al fianco, facendole segno di seguirla.

Anche se Kye riusciva a coprire quasi del tutto la sua visuale, Vanessa preferì non alzare lo sguardo nella sua direzione. Si concentrò quindi sulle persone intorno a loro: riuscì a individuare subito Eric, che si era fermato con un gruppo di ragazzi e si voltò solo brevemente nella loro direzione. Nonostante il sorriso che aveva stampato in faccia Vanessa riconobbe un lampo di preoccupazione nei suoi occhi.
Ma come si era girato verso di loro tornò a guardare la persona al suo fianco, ridendo quando questa gli disse qualcosa sottovoce.

Il resto delle persone rimase sfocato al suo sguardo, volti che apparivano e scomparivano dalla sua mente prima che potessero fissarsi in essa i connotati. Vanessa non aveva davvero creduto alla scusa che aveva raccontato a Eric sul fare amicizia alla festa, ma una parte di lei aveva comunque sperato di poter conoscere qualcuno di nuovo. Ora, guardando tutti i gruppi di persone che ridevano e scherzavano intorno alla casa, si chiese se per caso avesse mai avuto le capacità sociali di compiere un’impresa simile.

Fu sollevata di vedere le scale e ancora di più quando queste si aprirono su porticato su cui si affacciavano numerose porte. Kye si infilò dentro la prima e Vanessa la seguì, rendendosi conto solo dopo aver varcato la porta di quanto rumore ci fosse in giardino.

La cucina era grande per i suoi standard, ma troppo piccola per poter soddisfare le esigenze dell’intera casa. All’interno c’erano solo una decina di persone, che stavano aprendo bevande o cercando qualcosa nel frigo quasi vuoto.

“Vuoi sederti?” le chiese Kye indicando una delle sedie alte intorno al bancone. Vanessa annuì e prese posto, seguita da Gideon, che continuava a lanciargli brevi occhiate.

“Scusatemi” sussurrò Vanessa, sperando le altre persone nella cucina fossero abbastanza lontane da non sentire la loro conversazione. “Non pensavo che-”

“Non ti preoccupare,” la interruppe Gideon, “ma se vuoi tornare a casa non è un problema, davvero.”

Vanessa cercò di nascondere una smorfia e scosse la testa dicendo: “Voglio restare.”

A Gideon sembrò sufficiente come risposta perché annuì e si voltò verso Kye. “C’è della Red Bull nel frigo?”

“No, nemmeno della Monster. C’è della birra e della Coca cola zero. Gli alcolici saranno nell’altra cucina con il cibo.”

“Non volevo qualcosa di alcolico, devo guidare.”

Kye annuì e prese una bottiglia di birra, poi aprì uno dei cassetti e tirò fuori un apribottiglie. Prese un lungo sorso prima di girarsi verso Vanessa e chiedere: “Tu vuoi qualcosa?”

“La coca cola va benissimo.”

Kye le passò la lattina proprio quando Eric entrò dalla porta con il fiato corto. “Scusate, ho cercato di tenerli impegnati ma alla fine non riuscivo più a staccarmi. Va tutto bene?”

L’ultima domanda era rivolta a Vanessa, che annuì e prese un sorso dalla lattina. Eric sembrò sul punto di aggiungere qualcosa, ma Gideon fece un impercettibile gesto con la testa e si alzò.

“Andiamo? Prima ci facciamo vedere in giro, prima possiamo andarcene.”

“Va bene. Voi due restate qui in cucina?” domandò Eric mentre salutava un ragazzo che era appena entrato.

Vanessa guardò Kye, che la stava osservando a sua volta senza dire niente. “Per ora. Ci aggiorniamo più tardi magari.”

“Se c’è qualche problema scrivici, anche solo per tornare a casa” rispose Gideon, seguendo poi Eric verso l’altra porta della cucina che portava all’interno della casa.
Quando si avvicinarono al ragazzo entrambi lo salutarono e Vanessa indugiò con lo sguardo su di loro mentre chiacchieravano: Gideon in quel momento sembrava la copia amatoriale di Eric, l’ultima bozza su carta di fianco all’affresco completato. Condividevano sorrisi amichevoli e pacche sulle spalle, battute e risate, ma in Eric tutte quelle azioni apparivano come attributi naturali, prolungamenti dei suoi capelli biondi e mani curate; in Gideon, tutti i gesti erano frutto di un calcolo ingegnoso, tutti i movimenti una coreografia ripetuta per ore davanti ad uno specchio. Gideon stava portando in scena una parte che aveva studiato così tante volte da farla sua. Ma per quanto fosse bravo, quella restava sempre e solo una parte.  

Si accorse di essere rimasta a fissarli solo quando sentì qualcosa di freddo toccarle la mano. Si voltò verso Kye, che la stava osservando interrogativa, ma non sapendo cosa dire si limitò a scrollare le spalle.

Per un po’ bevvero in silenzio, poi Kye guardò alle sue spalle un’ultima volta e appoggiò in un angolo la bottiglia vuota prima di chiedere: “Sicura che Alicia non stesse facendo nulla prima?”

“No, non è stata colpa sua. È solo che…” Vanessa tentennò, incapace di trovare le parole.

“Non devi raccontarmelo per forza.”

Prima che potesse fermarsi, le parole sgorgarono fuori dalla sua bocca. “Lo so, ma sono appena impazzita alla vista di una piscina e tu mi hai già aiutato una volta e non mi hai mai chiesto niente e io non voglio che tu creda che non mi fido di te, ma allo stesso tempo non riesco, non riesco a spiegarti il motivo, perché vorrei solo dimenticare tutto e fingere che questa sia una festa come un’altra e che l’unica ragione per cui sono qui sia dover fare amicizia come ho detto a Eric invece che-”

Vanessa si interruppe quando Kye le toccò delicatamente la mano e osservò la ragazza. “Respira un attimo, Vanessa” disse, poi aspettò che Vanessa eseguisse prima di continuare. “Prima di tutto, non mi devi nessuna spiegazione. Non ti ho aiutato perché volevo farti sentire in debito con me, ti ho aiutato perché ero lì e volevo aiutarti, fine. Quindi se vuoi possiamo fare finta che nessuno dei due episodi sia mai successo. Ma, allo stesso tempo, se sentirai mai il bisogno di parlare con qualcuno di quello che è accaduto, del perché succedono queste cose, io sono qui. Non ti tenere tutto dentro solo perché pensi che sia più facile per noi, d’accordo?”

“Okay” rispose Vanessa prima di prendere un altro sorso di Coca.

Kye annuì, poi aprì il frigo e prese un’altra bottiglia di birra. “Davvero hai detto a Hoffman che sei venuta qui per socializzare?”

“Perché, è così strano?”

“Non credo che molte persone si ricorderanno di te domani mattina.”

“Non penso di essere così insignificante” rispose Vanessa cercando di nascondere l’espressione ferita.

Kye le sorrise. “Non credo che tu sia insignificante. Ma credo che la metà delle persone qui sia già troppo ubriaca per ricordarsi anche solo il suo nome. Anche se ti presentassi a loro, domani ti passerebbero di fianco senza riconoscerti.”

Vanessa scosse la testa divertita. “Tanto era solo una scusa per Eric, non saprei nemmeno come fare amicizia con qualcuno”

“Sicuramente non aiuta rimanere rintanati in cucina.”

“Vero.”

Kye la guardò in silenzio, poi appoggiò la bottiglia di birra ancora mezza piena vicino a quella vuota e si sistemò i capelli prima di guardarla decisa. “Beh, visto che siamo qui, vuoi fare una prova?”

“Una prova? Di che tipo?” chiese Vanessa confusa.

Invece di rispondere, la ragazza girò intorno al bancone e prese la mano di Vanessa, che si fece guidare fino alla porta da cui poco prima erano usciti Gideon ed Eric.

Quando Kye aprì la porta, la musica che prima era stata quasi completamente ovattata dalla porta la colpì con violenza. Mentre guardava la gente che ballava nel salone, Kye le si avvicinò all’orecchio e disse: “Proviamo a rendere questa festa sopportabile.”