Capitolo 11

Dato che il giardino era off-limits, Kye la guidò all’interno della casa. Vanessa rinunciò a capirne la struttura quando attraversarono l’ennesimo corridoio che si apriva su un numero eccessivo di porte.

Kye invece sembrava a suo agio, superando arco dopo arco senza esitazione. Passarono di fianco a una stanza, più grande di quelle che Vanessa aveva osservato in precedenza, dove le luci dei lampadari erano state sostituite da altre colorate che davano l’effetto di una vera e propria discoteca.

Kye si voltò verso di lei interrogativa, ma Vanessa scosse la testa. Non le era mai piaciuto trovarsi schiacciata in mezzo a così tante persone, ma in quel momento la preoccupava di più Alicia: cosa avrebbe potuto fare se la ragazza si fosse avvicinata in mezzo a tutta quella gente? Se avesse creato un’illusione intorno a lei proprio quando era circondata da sconosciuti?

Vanessa sentì qualcuno sfiorarle la mano e si ritrasse istintivamente, solo per accorgersi che le dita che l’avevano toccata appartenevano a Kye.

“Se rimani indietro non torno a riprenderti” disse la ragazza, prima di allungarsi di nuovo verso la sua mano. Questa volta Vanessa non si sottrasse e lasciò che la ragazza la guidasse lontana dalla musica.

“Dove stiamo andando?” chiese ad un certo punto Vanessa, quando attraversarono quella che doveva essere la cucina in cui erano raccolti gli alcolici e altro cibo, che due ragazze continuavano a versare meccanicamente nelle ciotole che si svuotano.

“In salotto. Di solito lì la musica è più bassa.”

Quando le persone si cominciarono a diradarsi intorno a loro, Kye avvicinò Vanessa al suo fianco e, dopo un attimo di esitazione, le lasciò la mano. Vanessa cercò di scacciare la sensazione di vuoto che quella perdita di contatto le aveva lasciato, ma rimase accostata a Kye mentre camminavano in silenzio per la casa.
Quando raggiunsero il salotto, fu grazie al mobilio nella stanza che Vanessa si rese conto per la prima volta dell’assenza di arredamento nelle altre camere che avevano attraversato fino a quel momento.

La prima cosa che la colpì fu la mancanza di coerenza tra i vari elementi: le librerie di solido legno, piene di libri che dovevano aver almeno un centinaio di anni, facevano a pugni con i divani bianchi posizionati al centro della stanza; le pareti color mogano davano all’ambiente un aspetto più austero di quanto non facesse lo schermo piatto circondato da cavi e console di gioco; il lampadario di cristallo pendeva dal soffitto spento, lasciando che fossero le lampade da terra a illuminare la stanza.

Tutto nella stanza ricordava a Vanessa un lavoro in corso, un tentativo di rinnovamento che non riesce a trovare la sua conclusione. Ogni nuova aggiunta accostata a qualcosa di vecchio invece che in sua sostituzione.

Nonostante la mancanza di armonia, il salotto sembrava comunque contenere oggetti troppo preziosi perché un gruppo di ragazzi potesse metterci le mani con superficialità. Proprio in quel momento un ragazzo era appoggiato pericolosamente ad un busto, che Vanessa sperò non fosse di vero marmo.

Quando un movimento impacciato di quest’ultimo fece tremare pericolosamente il piedistallo, Vanessa si voltò per evitare di osservare la rovina.

Così facendo incontrò lo sguardo di Sabrina, che era seduta su uno dei divani in mezzo alla sala. La ragazza si illuminò e dopo aver detto qualcosa al ragazzo seduto al suo fianco si alzò per raggiungerla.

“Vanessa! Sei venuta!” le gridò mentre l’abbracciava, attirando l’attenzione di alcune delle persone intorno a loro.

Vanessa cercò di non arrossire mentre ricambiava l’abbraccio e quando Sabrina si allontanò e si voltò verso Kye interrogativa, Vanessa si affrettò a fare le presentazioni.

Non sapendo cosa aggiungere si limitò ai nomi e le osservò mentre Kye allungava una mano verso Sabrina, anticipando il suo tentativo di un abbraccio.
Sabrina ricambiò il gesto e sorrise a Kye, prima di voltarsi verso Vanessa e chiedere: “Volete unirvi a noi? Stavamo parlando degli ultimi film della Marvel, ma sono sicura che Ricky sarebbe contento di una scusa per cambiare argomento.”

Vanessa guardò Kye, ma la ragazza era distratta da qualcosa fuori dalla stanza. “Magari tra poco?”

Sabrina annuì e le strinse delicatamente il braccio, poi tornò verso i suoi amici sul divano.
“Hai visto qualcosa?” sussurrò Vanessa, cercando di attirare l’attenzione di Kye.

La ragazza si voltò verso di lei confusa, come se avesse dimenticato per un attimo dove si trovava. “Cosa?”

“Hai visto qualcosa? Sembri preoccupata.”

Invece di rispondere alla sua domanda, Kye disse: “Devo controllare una cosa, ti dispiace se ti lascio qui un secondo?”

“Anche più di un secondo, non sei obbligata a restare con me tutta la sera.”

Kye sembrò sul punto di aggiungere qualcosa, ma alla fine annuì e uscì dalla stanza in fretta, sparendo dietro una delle porte che Vanessa non era sicura di aver attraversato prima.

Vanessa non aveva mentito quando aveva detto a Kye che non era obbligata a rimanere con lei tutta la sera, ma ora che la ragazza l’aveva lasciata sola sentì intorno a lei il peso dell’enorme casa piena di persone che non conosceva.

Prima di poterci ripensare tornò a guardare Sabrina, che incrociò di nuovo il suo sguardo e le sorrise, e si avviò nella direzione del suo gruppo di amici.

“Non mi interessa quanto è bello Tom Holland, il miglior Spiderman rimane comunque Toby Maguire” stava dicendo uno di loro, che aveva spostato il tavolo di vetro davanti ai divani abbastanza da potersi sedere a terra di fronte ai suoi amici.

Il ragazzo seduto di fianco a Sabrina, che Vanessa ricordò dal primo pranzo in mensa, si spostò in un gesto fluido dal divano al pavimento, poi la guardò con un’espressione esasperata. “Ti prego Vanessa, scegli un qualsiasi altro argomento, ma fermali. Preferisco farmi mangiare da un ragno più che continuare a parlare di Spiderman.”

“Un ragno riuscirebbe a mangiarti?” si stupì a chiedere Vanessa, mentre si sedeva nel posto vuoto che Sabrina le stava indicando.
Pensava che qualcuno le avrebbe riso in faccia per quella domanda così stupida, invece, forse a causa dell’alcool già in circolo o del desiderio di molti di cambiare argomento, tutti i presenti si gettarono in una riflessione più o meno coerente sulla capacità di un ragno di mangiare un essere umano.

Vanessa non riuscì a capire la decisione finale del gruppo, ma prima che se ne accorgesse la conversazione si spostò su altri argomenti. Vanessa si trovò a parlare con David, Ricky e Sabrina, i tre ragazzi che occupavano il tavolo di Eric a mensa.
Anche se non erano persone che aveva conosciuto con le sue sole forze, era contenta di scoprirsi capace di intrattenere una conversazione con degli sconosciuti. E in quel momento, seduta su un divano di una persona che non conosceva circondata da altrettanti sconosciuti, sentì per la prima volta di appartenere a qualcosa, di esistere in un momento con qualcun altro. Il solo pensiero la faceva sentire viva, presente: era la sensazione, rassicurante e distruttiva allo stesso tempo, di potersi dire davvero una persona solo perché visibile all’occhio altrui.

E tutti nel gruppo la trattarono come un’amica di vecchia data, condividendo opinioni e ricordi come se parlassero di ogni cosa come se fosse una novità anche per loro. Fu anche la prima volta che parlarono dei loro poteri: Vanessa scoprì che David, come Matthew, era telecinetico, mentre Sabrina aveva poteri di guarigione come Eric, per questo erano diventati amici durante un corso che avevano seguito insieme. Ricky – Vanessa non capì se fosse il suo vero nome o un’abbreviazione – restò invece molto vago, anche se spiegò di essere a sua volta un elementista.

Nessuno insistette per sapere qualcosa della sua magia e Vanessa gliene fu grata. Lasciò che l’argomento fluisse naturalmente su altri temi e si distrasse solo quando sentì il cellulare vibrare nella borsa.

Aspettò che l’attenzione fosse diretta a qualcun altro prima di tirarlo fuori e controllare il messaggio.

Gideon: Dove sei?

Vanessa: In salotto? La stanza con i busti di marmo e i divani bianchi?

G: Kye è con te?

V: No, perché?

G: Arriviamo

V: Non vi preoccupate, sono con Sabrina, Ricky e altri ragazzi!

Quando Gideon non rispose, Vanessa mise via il telefono e si risintonizzò sulla conversazione, che si era spostata su un laboratorio di teatro che Sabrina stava seguendo.

Mentre cercava di riprendere il filo del discorso, Vanessa sentì una voce chiamare il suo nome. Quel semplice suono la fece irrigidire e per un attimo si convinse che, se non avesse spostato lo sguardo, avrebbe potuto fingere che quella voce non esistesse.

Invece Alicia pronunciò di nuovo il suo nome, questa volta con un tono abbastanza alto da far voltare anche le persone sedute più lontano da lei. Vanessa alzò lo sguardo e vide la ragazza che si avviava verso di lei con un sorriso brillante.
Quando arrivò al centro della sala Alicia aprì le braccia verso di lei, in un gesto che doveva apparire tanto naturale agli altri quanto predatorio a lei: sembrava una trappola, una trappola messa in bella mostra per tutte le sue vittime, che non avevano altra scelta che camminarci dentro.  
Vanessa fu tentata di rimanere seduta, di lasciarla lì a mezz’aria fino a quando il movimento stesso non fosse diventato imbarazzante, ma entrambe sapevano che in quel gioco non era lei ad avere una mano vincente.
Per questo si alzò controvoglia e raggiunse Alicia, che la strinse in un delicato e nonostante questo soffocante abbraccio, prima di allontanarla e appoggiarle le mani sulle spalle.

“Sei venuta! Quando ho visto Eric e Gideon da soli ho temuto che mi avessi dato buca” disse allegra e, quando Vanessa rimase in silenzio incapace di trovare qualcosa da aggiungere, si voltò verso il gruppo di ragazzi sui divani. “E vedo che hai già trovato qualche nuovo amico. Vi state divertendo?”

Vanessa non sentì le loro risposte, troppo concentrata a osservare i gesti e movimenti di Alicia. Quando la ragazza la lasciò andare, Vanessa fece un passo indietro cercando di trattenere un sospiro di sollievo.

Alicia però dimenticò presto gli altri e tornò a concentrarsi su di lei. “E tu, ti stai divertendo?”

La sua voce era allegra, spontanea, eppure il suo sguardo era tagliente, come se aspettasse che Vanessa dicesse la cosa sbagliata. Una parte di lei si chiese se qualcuno non l’avesse vista fuori poco prima e non avesse già riferito tutto ad Alicia. Alla fine si limitò a dire: “Sì, è una bella festa. E la tua casa è bellissima.”

“Dovresti vederla durante le feste. I miei genitori danno il loro meglio in quel periodo” replicò, poi sembrò pensare un attimo prima di aggiungere: “Eric ti ha fatto fare un giro? Devi vedere il salone di sopra, è ancora più bello di questo!”

Vanessa scosse la testa, ma cercò di mantenere un tono gentile. “Magari un’altra volta, sto aspettando che Kye-“

“Kye è venuta qui?” chiese Alicia improvvisamente seria. Il suo sorriso traballò per un secondo, ma prima che qualcuno se ne potesse accorgere si riprese e continuò: “Sono sicura che riuscirà a trovarti senza problemi! Dai, non puoi dirmi di no!”

L’ultima frase, nonostante il tono leggero, aveva una sfumatura minacciosa che fece rabbrividire Vanessa. Sentiva su di sé lo sguardo di Sabrina, Ricky e David, ma era incapace di trovare una risposta che potesse evitarle di andare con Alicia senza offenderla.

Prima che Alicia potesse aggiungere altro, però, una nuova voce la raggiunse dall’ingresso del salotto, talmente familiare da farle tremare le gambe per il sollievo.

“Vanny! Ti abbiamo trovata finalmente” disse Eric e appena la raggiunse le mise un braccio intorno alle spalle in un gesto tanto spontaneo quanto protettivo. Dall’espressione di Alicia, Vanessa capì che non era la mossa giusta da fare, ma Eric sembrò non notarla mentre si voltava verso i suoi amici: “Spero tu non abbia ascoltato quello che dicono Sabrina e Ricky sul mio conto! Metà sono sicuramente bugie.”

“Ehi! Io non dico bugie” ribatté Ricky offeso.

“Dici un sacco di bugie, Ricky, ma in questo caso ha ragione. Siamo stati bravissimi” continuò Sabrina, che stava osservando i tre ragazzi in piedi come per capire cosa stesse succedendo.

Alicia, infastidita dall’aver perso l’attenzione del gruppo, intervenne: “Hanno tenuto compagnia a Vanessa mentre tu facevi il tuo giro alla festa. Ma forse preferisce dei posti più tranquilli dopo…”

Alicia lasciò cadere la frase guardandola dritta negli occhi e Vanessa si sforzò di rimanere immobile. Per quanto avere Eric al suo fianco la rassicurasse, si rese conto in quel momento che se Alicia avesse svelato il suo segreto tutti i presenti l’avrebbero sentita. Tutte le persone di cui aveva cominciato a importarle qualcosa.

“Grazia mille per l’invito Alicia, ma, come ti dicevo, siamo solo di passaggio” replicò invece Eric, come se non avesse visto l’amo che la ragazza le aveva lanciato, o avesse semplicemente deciso di ignorarlo.

“Oh non potete andarvene così presto! E poi io e Vanessa stavamo per andare a bere una cosa insieme, non è vero?”

“Sono sicuro che ci saranno altre occasioni” ribatté Gideon. Il ragazzo si era seduto sul lato del divano di fianco a Sabrina. Stava guardando Alicia con un’espressione annoiata, ma la rigidezza del suo corpo tradiva la tensione.

Alicia lo guardò con malcelato disprezzo. “Credo che Vanessa sia in grado di decidere per sé stessa se vuole bere qualcosa con me, no?”

“Veramente io…” provò Vanessa, anche se non sapeva bene quale risposta fosse quella giusta. Se avesse detto di no, Alicia avrebbe avuto tutto il tempo per dire qualcosa che non doveva. Se avesse detto di sì, si sarebbe trovata da sola a bere con Alicia e le sue amiche, opzione che non le sembrava molto più allettante.

Ma prima che potesse completare la frase, prima che scegliesse cosa dire per riuscire a salvarsi da quella situazione, la stanza si svuotò.

La seconda volta non fu meno spaventosa della prima: tutte le persone intorno a lei sparirono nel tempo che impiegò a sbattere le ciglia e con esse anche i suoni, che fino a quel momento erano stati un costante rumore di sottofondo, furono risucchiati lasciando un pesante e innaturale silenzio.

Questa volta la sensazione di irrealtà era più forte, come se Alicia avesse voluto cancellare ogni dubbio sul suo ruolo. Vanessa indietreggiò nel vuoto della stanza, ma per quanto si guardasse intorno non riusciva a trovare una via di uscita da quella illusione.
Era in gabbia, intrappolata senza possibilità di scappare e consapevole di non aver alcun potere sul suo corpo, ovunque esso fosse. E mentre tentava di tenere sotto controllo il panico, di non mettersi a urlare o piangere, nella sua testa continuava a ripetersi la stessa frase, sempre più forte: Scappa, scappa da qui. Devi scappare.  

E in mezzo alla paura, al terrore, sentì il formicolio accendersi dentro di lei come una scintilla, un tentativo di luce che cercava di raggiungerla per farsi fuoco. Mentre si espandeva dentro di lei, occupando ogni angolo del suo corpo che Vanessa non aveva mai sentito prima, divenne sempre più consapevole delle persone intorno a lei.
Per un attimo pensò che stessero urlando, la loro paura, rabbia, preoccupazione, incertezza che usciva dai loro corpi ad ogni parola che pronunciavano e che lei non riusciva a comprendere. Vanessa pensò che Eric, Gideon, qualcuno nella stanza si fosse accorto di quello che Alicia stava facendo, che stesse cercando di fare qualcosa per fermarla.

Le sentiva sempre più forti, sempre più invadenti, come se il suo corpo non le stesse solo ascoltando, ma assorbendo, alimentando le sue paure e annientando quelle esterne.

Ma quando le persone riapparvero intorno a lei, si rese conto che nessuno stava urlando. E che nessuno si era mosso intorno a lei, come se fosse passato meno di un secondo da quando tutto era cominciato. E, per ultimo, si rese conto di essere esausta.

Le gambe le cedettero prima che potesse parlare e sentì appena il suo gomito scontrarsi contro qualcosa. Il dolore arrivò però ovattato, come se avesse visto qualcuno farsi male nella scena di un film e avesse sentito nel suo corpo una sofferenza che non le apparteneva.
E ovattate erano anche le voci che si erano alzate intorno a lei, che la chiamavano per nome e cercavano di attirare la sua attenzione.
Vanessa cercò di rispondere, ma quando aprì la bocca l’unica cosa che uscì fu un gemito. Tutto intorno a lei era troppo: troppo forte, troppo intenso, troppo soffocante. Era come le urla non fossero sparite, nonostante nessuno stesse gridando, come se tutti si fossero raccolti intorno alla sua testa per sussurrare parole che non poteva capire.

Vanessa voleva solo che smettessero, che la lasciassero in pace per un solo secondo, che si allontanassero abbastanza da farla respirare. Voleva solo che tutto smettesse di fare così male.

“Cosa ti fa male, Vanessa?” chiese Gideon e la sua voce riuscì ad attraversare il muro che si era erto intorno a lei.

Con essa riapparve anche quella di Kye, il cui tono però aveva sostituito tutta la preoccupazione di Gideon con la rabbia.  “Vattene Alicia, se non vuoi vedere cadere a pezzi un’altra ala della tua casa.”

“Non prendermi in giro, non avresti il coraggio di fare del male a degli sconosciuti solo perché la tua amichetta fa una scenata.”

Kye fece una pausa, ma quando ricominciò a parlare il suo tono era tagliente, minaccioso: “Credi che in questi anni non abbia imparato a controllare i miei poteri? Vuoi che te lo dimostri? Posso distruggere la tua stanza se vuoi, bruciare tutti i tuoi preziosissimi oggetti senza nemmeno arrivare a toccare la porta. Se non te ne vai adesso, quando andrai a dormire stasera sarai accolta da una pioggia di cenere. È questo che vuoi?”

“Vanessa, mi senti? Cosa ti fa male?” ripeté Gideon e la ragazza sbatté gli occhi un paio di volte per schiarirsi la mente.

Vanessa provò a parlare, ma le parole erano state drenate dalla sua gola così come le energie dal suo corpo. Come se il mondo intorno a lei stesse ancora risucchiando parte di lei senza lasciarle aria sufficiente per vivere. Voleva riuscire a dirlo a Gideon, spiegargli che non era il braccio il problema, ma le persone, quella stanza, quella casa.

“Va bene, adesso ce ne andiamo. Riesci ad alzarti?” chiese Gideon e quando Vanessa scosse la testa si spostò dal suo fianco e chiamò Eric, che apparve al suo fianco e la sollevò con un gesto fluido.
Una parte di Vanessa, quella che cercava di attaccarsi alla realtà del momento per non venire risucchiata via, immaginò la scena da fuori: Eric, il cavaliere biondo e bellissimo, che salva la povera ragazza indifesa e la porta in salvo. Probabilmente tutti i presenti lo vedevano brillare come un principe, un’aurea dorata intorno a lui come se fosse un dipinto invece che una persona reale.
Se Vanessa avesse avuto le forze, avrebbe riso per quell’immagine, ma in quel momento si limitò ad appoggiare la testa sul petto di Eric e chiudere gli occhi.

“Kye, ora quelle chiavi dell’ingresso potrebbero tornarci utili. Riusciamo ad uscire da lì?” chiese Gideon.

Vanessa non sentì la risposta, ovattata da tutti gli altri rumori che continuava a sentire intorno a sé. Il formicolio sulla sua pelle era ancora lì, ma invece che proiettato verso l’esterno, in quel momento sembrava muoversi delicato dentro di lei, come alla ricerca di un posto nel quale fermarsi. Forse, come lei, anche la sua magia stava cercando una pace e silenzio che quella casa non potevano offrire.

“Siamo quasi fuori, Vanny” disse Gideon e, nello stesso istante, Vanessa sentì sulla sua pelle l’aria fresca della sera.

Le voci sparirono gradualmente mentre si allontanavano dalla casa e pochi secondi dopo Eric la adagiò su uno dei sedili. Quando qualcuno le posò un capotto sul corpo, Vanessa si rese conto che stava tremando.

“Scusami Vanny. Torno subito” disse la voce di Eric, ma quando Vanessa aprì gli occhi vide che il ragazzo si era già allontanato in direzione della casa.

Vanessa voleva chiedere dove stesse andando, ma prima che trovasse le forze per porre la domanda Gideon apparve nel suo campo visivo e disse: “Sta andando a parlare con Alicia. Deve guadagnarsi il suo titolo di principe, no?”

Vanessa lo guardò sconvolta. Non ricordava di aver detto ad alta voce quello che stava pensando, ma come poteva Gideon aver pensato la stessa cosa?

“Non l’hai detto ad alta voce” rispose Gideon, accendendosi una sigaretta e facendo un passo indietro per evitare che il fumo potesse andarle addosso.

Puoi leggere nella mente? Pensò e trattenne un verso di sorpresa quando Gideon annuì.
Vanessa chiuse gli occhi, temendo che Gideon potesse leggere la sua confusione, le sue domande, la sua paura. Quanto aveva sentito da quando si conoscevano? Cosa aveva sentito? Ripensò a tutto i momenti che avevano passato insieme nell’ultima settimana e si domandò quante cose aveva visto Gideon senza che lei lo sapesse, quanto avesse osservato la sua mente, i suoi pensieri, i suoi ricordi, senza che lei avesse bisogno di parlare.

Aprì gli occhi e tornò ad osservare Gideon, che era rimasto appoggiato allo sportello aperto della macchina e continuava a fumare guardando l’ingresso vuoto della casa di Alicia. La sua espressione aveva perso la teatralità di inizio serata, e ora gli spigoli del suo volto erano evidenziati dalla luce che illuminava il giardino della casa. Vanessa si accorse che non stava guardando niente in particolare, che il suo sguardo era diretto verso un punto indefinito che lei non era capace di vedere. Che sebbene fosse voltato in quella direzione, Gideon non vedeva il portone di ingresso, le colonne, la motocicletta di Kye.

“Kye” disse prima di potersi fermare, ricordandosi solo in quel momento della ragazza che l’aveva difesa di fronte ad Alicia.

Fu un sollievo vedere il volto di Kye apparire dal lato della macchina, dove doveva essere rimasta appoggiata fino a quel momento.
“Sono qui.” Due semplici parole, con un tono pacato e deciso, che non facevano altro che attestare la realtà delle cose, eppure riuscivano a rassicurare Vanessa in modi che non riusciva a spiegarsi.

La ragazza la stava guardando preoccupata, ma dietro la preoccupazione Vanessa lesse qualcosa di diverso, un senso di colpa mescolato a rabbia che Kye sembrava incapace di nascondere. Quando erano con altre persone Kye sembrava sempre così distante, indifferente a quello che succedeva intorno a lei, che Vanessa si stupì a vedere così tante sfumature in una sola volta.

Il suo primo desiderio di allungarsi e prendere la mano della ragazza, rassicurarla e allo stesso scusarsi per averla messa in quella situazione, ma proprio in quel momento una nuova fitta la colpì e sentii il formicolio espandersi come se fosse improvvisamente scoppiato.

Si accoccolò cercando di soffocare un gemito e aspettò che il momento passasse. Voleva solo andare a casa, lasciare quel posto e nascondersi sotto le coperte fino a quando tutte quelle emozioni non fossero sparite di nuovo dentro di lei.

Gideon disse: “Chiamo Eric” nello stesso momento in cui Kye le chiese cosa era successo con Alicia.

Vanessa era troppo stanca per spiegare tutta dinamica, quindi si limitò a sussurrare: “Sono spariti tutti, come nel corridoio. Non c’era più nessuno e…” e non sapeva come descrivere cosa era successo dopo, quali fossero le parole giuste per dare un senso a qualcosa che nemmeno lei aveva capito.

Ma non ci fu bisogno di aggiungere niente, perché Gideon si voltò verso di loro di scatto: “Quale corridoio?”

Vanessa si accorse troppo tardi del suo errore e cercò una scusa plausibile da poter rifilare a Gideon. Ma si rese conto di non essere stata abbastanza veloce quando vide le labbra del ragazzo stringersi in una linea sottile.

“Era già successo?”

Prima che una delle due ragazze potesse dire qualcosa, Gideon si voltò verso l’ingresso e poco dopo Eric apparve al suo fianco. Kye sparì dalla sua vista e il ragazzo biondo prese il suo posto.

“Vanny, come stai? Ti sei fatta male prima? Posso vedere?” le chiese concitato, mentre con una mano si allungo verso il braccio che aveva sbattuto poco prima nel salotto. Solo in quel momento Vanessa sentì una fitta di dolore, ma quando capì le intenzioni di Eric si ritrasse abbastanza da fermare il ragazzo.

“Basta magia. Andiamo via” fu tutto quello che disse, prima di chiudere gli occhi per l’ennesima volta.
Quel gesto ebbe l’effetto desiderato. Kye dichiarò che li avrebbe seguiti in moto e anche Gideon ed Eric entrarono in macchina.

Vanessa appoggiò la testa al finestrino, lasciando che la vibrazione della macchina la cullasse nell’oscurità della notte. Cercò di non pensare a niente, di non provare nulla, ma nella sua mente continuavano ad apparire lo sguardo di Alicia, la stanza vuota, le urla delle persone intorno a lei.
Un nuovo moto di paura, rabbia, frustrazione la attraversò con tale violenza da farla gemere e sentì il formicolio nel suo corpo farsi più intenso, come se tentasse di raggiungere qualcosa, di allungarsi verso ciò che non riusciva a toccare.

Vanessa concentrò tutte le sue attenzioni su quello, facendo esattamente il contrario di quello che Mrs. Blois le aveva spiegato: lo spinse, più forte che poteva, lontano dalla superficie, bloccandolo in modo che non potesse toccarla, che sparisse dalla sua percezione.

“Vanny?” provò a chiamarla Eric. Poi, quando non rispose, chiese a Gideon: “Cosa succede?”

“Non lo so.”

“Cosa vuol dire non lo sai?”

“Vuol dire che non lo so. Non riesco a capire e non voglio… Lasciala stare un secondo Eric, siamo quasi a casa.”

Per il resto del tragitto rimasero in silenzio. Vanessa si accorse di essersi addormentata solo quando due braccia la sollevarono dal sedile. Una parte di lei voleva protestare, ricordare a Eric che sapeva camminare, ma finalmente la sua mente e la sua magia sembravano essersi calmate abbastanza da lasciarla respirare e Vanessa temeva di rompere quella tregua anche solo con una parola.

Percepì il suo corpo che entrava in contatto con una superficie morbida e una diversa ma altrettanto soffice superficie che veniva posizionata su di lei.

Le tornò in mente un ricordo del passato, un momento che era rimasto nascosto senza venire dimenticato: una Vanessa di quindici anni più piccola, stesa sul divano di casa accoccolata in una coperta mentre il mal di testa causato dal raffreddore la faceva piangere senza controllo, peggiorando a sua volta la situazione. E si ricordò la mano di sua madre, che le accarezzava delicatamente i capelli e le raccontava delle storie per distrarla, che la faceva ridere e le ripeteva che tutto sarebbe andato bene, che la medicina avrebbe fatto presto effetto.

Quel ricordo le provocò una fitta al cuore che le fece tanto male quanto la rassicurò: quel dolore, a differenza di quello che aveva provato durante tutta la serata, era riconoscibile, per quanto acuto, e aveva un nome e una spiegazione.

Il dolore le diede la lucidità sufficiente per sentire la voce sorpresa di Eric. “Tu lo sapevi?”

“Abbassa la voce” disse Gideon da un punto imprecisato della stanza.

“Me lo ha detto qualche giorno fa” sussurrò Kye. La sua voce aveva perso di volume ma non di intensità e Vanessa percepì la presenza della ragazza al suo fianco della sua testa.

“Quando è successo?” chiese Eric, la voce appena più bassa di prima.

“Il primo giorno di università. Ha detto che non si sono parlate, ma la scena che mi ha raccontato assomigliava a un’illusione di Alicia” rispose Kye, poi esitò prima di aggiungere: “Non pensavo che avrebbe fatto una cosa del genere in mezzo a tutte quelle persone. Non avrei dovuto…”

“Non è colpa tua” disse Gideon.

Kye non aggiunse niente, ma Vanessa percepì il suo disagio e prima di poterci pensare troppo allungò una mano nella sua direzione, sollevata di incontrare immediatamente quella della ragazza.

La mano calda di Kye ebbe uno spasmo, ma non si ritirò. “Sei sveglia?”

“Vanny?! Stai bene? Sei sveglia?” chiese Eric preoccupato, scusandosi quando Vanessa fece una smorfia.
“Sto bene, sono solo stanca. E mi sembra che un camion mi sia passato sulla testa” rispose la Vanessa aprendo gli occhi. La luce del salotto era tenuta al minimo, ma riuscì comunque a distinguere Eric inginocchiato davanti.
Cercò di mettersi seduta, ma un dolore fulmineo le colpì il gomito del braccio su cui si era appoggiata e il suo corpo fu scosso da un brivido.

Eric aveva già allungato una mano per sorreggerla, ma anche questa volta non la toccò. “Ti fa male il braccio? Posso vedere?”

Vanessa annuì e allungò il braccio, più per dare pace a Eric che per un vero desiderio che facesse qualcosa. Avrebbe preferito evitare di fargli usare la magia su di lei, ma dopo la serata che aveva fatto passare a tutti non se la sentiva di negarglielo ancora una volta.

“Bevi un po’ d’acqua” disse una voce alle sue spalle. Vanessa si voltò e vide per la prima volta Matthew, che fino a quel momento non sapeva neanche fosse nella stanza.

Matthew era in perfetto contrasto con loro: indossava un pigiama lungo con una frase sopra che non aveva nessun senso per lei e aveva i capelli arruffati, come se fosse saltato giù dal letto quando erano arrivati.

Vanessa accettò il bicchiere che Matthew le stava porgendo e bevve tutto il suo contenuto in un sorso, rendendosi conto solo in quel momento di quanto era assetata.
Matthew si allontanò di nuovo, ma rimase all’interno della stanza. Vanessa non aveva idea di quanto tempo fosse rimasta incosciente e non era sicura che qualcuno gli avesse spiegato quello che era successo. Ma dagli sguardi che le stava lanciando Gideon, Matthew non era l’unico che aveva delle domande da farle.  

L’idea di dover spiegare a tutti i presenti quello che era successo non fece altro che intensificare il suo mal di testa.

Vanessa percepì un senso di calore farsi strada nel suo avambraccio e si voltò sorpresa verso Eric, che stava guardando il suo arto con intensità. Come era apparsa, la sensazione sparì ed Eric le appoggiò il braccio in grembo prima di dire: “Non ti sei rotta niente per fortuna, ma è molto probabile che ti venga un livido. Posso far sparire anche quello se vuoi, ma…”

“Va bene così” rispose in fretta Vanessa, poi, prima che Eric potesse chiedere qualsiasi cosa, continuò: “So che vi devo delle spiegazioni, ma… Possiamo farlo domani? Ora vorrei solo andare a letto.”

Eric sembrò sul punto di protestare, ma Kye si alzò e interruppe qualsiasi protesta. “Ti accompagno in camera” disse allungando una mano nella sua direzione, la stessa che Vanessa aveva preso poco prima.

Vanessa annuì e accettò la mano di Kye, poi con la coperta ancora appoggiata sulle spalle si diresse verso le scale evitando lo sguardo di Gideon e Matthew.

Salì il primo gradino e si fermò, poi senza guardare nessuno in particolare sussurrò: “Mi dispiace.”

Riprese a camminare in fretta, senza dare il tempo a nessuno dei presenti di rispondere. Quando arrivò in camera si lanciò sul letto, troppo stanca per pensare anche solo di cambiarsi.
Kye le tolse le scarpe delicatamente, poi quando Vanessa non fece cenno di muoversi disse: “Almeno mettiti sotto le coperte o prenderai freddo.”

“Mmmmh” rispose Vanessa, a metà tra il sonno e la veglia.

“Mmmh non è una risposta.”

Vanessa ripeté il suono, ma quando Kye tirò la coperta da sotto di lei si spostò abbastanza da lasciargliela spostate. Se si fosse alzata il processo sarebbe stato molto più semplice, ma non aveva più la forza di tirarsi su, perciò si lanciò in una manovra più difficile del necessario per raggiungere lo stesso obiettivo.

Quando finalmente la sua testa toccò il cuscino, Kye le strinse delicatamente la spalla e le augurò buonanotte.
“Stavi benissimo stasera” disse Vanessa, ma non era sicura che Kye fosse ancora nella stanza per sentirla.