Vanessa si svegliò di soprassalto e per un attimo osservò confusa la stanza in cui si trovava. Quando usciva con Tamara e Sara succedeva che si trovassero a dormire con i vestiti con cui erano uscite, troppo stanche per cambiarsi e struccarsi, ma erano passati anni dall’ultima volta che era successo.
Quel pensiero fu sostituito dalla consapevolezza che non era uscita con Tamara e Sara la sera prima, ma con Eric, Gideon e Kye. E non era andata a casa di un suo compagno di classe, ma di Alicia.
Si stropicciò gli occhi per scacciare quel ricordo e quando vide le dita sporche di mascara si alzò dal letto con una smorfia e si diresse verso il bagno, attenta a non fare rumore visto che era ancora presto.
Dopo una lunga doccia, Vanessa si vestì e aprì la porta lentamente, sperando di riuscire a tornare in camera senza incontrare nessuno. Ma il suo desiderio fu infranto dalla figura seduta sul bordo delle scale.
Gideon, che stava scrivendo qualcosa sul bordo di un libro, alzò lo sguardo non appena la porta si aprì e mise la penna tra le pagine. “Sei già sveglia.”
“Anche tu.”
Gideon scrollò le spalle e si alzò. “Non dormo mai fino a tardi. Vuoi venire di sotto? Così possiamo parlare.”
Vanessa annuì, ma non accennò a muoversi.
“Io mi preparo un tè, tu vuoi qualcosa?”
“Un tè va benissimo.”
“Ti aspetto giù” concluse Gideon, poi si voltò e scese le scale in silenzio, lasciandola in piedi nel corridoio.
Vanessa tornò in camera per appoggiare i suoi vestiti, ma invece di uscire si sedette sul bordo del letto cercando di calmare il battito del suo cuore.
L’idea di raggiungere Gideon e porgli tutte le domande che la sera prima non era nemmeno riuscita a pensare era tanto forte quanto spaventosa era la prospettiva di scoprire quello che Gideon aveva già scoperto di lei.
Era quello il motivo per cui aveva voluto incontrarla il primo giorno? Per leggerle nella mente? Per avere accesso ai suoi pensieri prima che potesse distorcerli con le sue parole?
Il potere di Gideon sembrava tanto invasivo quanto quello di Alicia, ma almeno con quest’ultima poteva distinguere chiaramente che qualcosa non andasse. Che qualcosa stava succedendo. Come poteva dire lo stesso di Gideon?
Vanessa si costrinse ad alzarsi dal letto. Anche se conosceva Gideon da poco, il ragazzo non le aveva mai dato ragione di dubitare di lui. E, se voleva essere onesta con sé stessa, l’unica ragione per cui era così preoccupata era perché aveva davvero qualcosa da nascondere.
Una parte di lei, troppo piccola per farla sentire coraggiosa ma abbastanza forte da spingerla ad uscire dalla stanza, era convinta che se Gideon aveva già scoperto quel segreto e aveva continuato a trattarla allo stesso modo, meritava almeno che lei ascoltasse quello che aveva da dire.
Non era sicura di cosa si aspettasse di trovare in cucina – un campo di battaglia, con la musica in sottofondo in un crescendo di tensione mentre si avvicinava al bancone? Una scena da film, le luci spente intorno a loro e due occhi di bue puntati sui loro corpi pronti a scontrarsi? -, ma rimase colpita dalla banalità della scena che si presentò davanti a lei: Gideon, seduto al bancone, una tazza di thè fumante in mano e il cellulare nell’altra, che sembrava talmente immerso in quello che stava leggendo da non accorgersi del suo arrivo.
Più Vanessa lo guardava, più si rendeva conto che Gideon era un bel ragazzo: la sua bellezza non era immediata come quella di Eric, non era ovvia al primo occhio che si appoggiava sul suo volto. Era una bellezza postuma, di cui ci si rende conto solo dopo numerosi assaggi. I suoi lineamenti erano quasi graffianti, come se invece di essere stati levigati fossero stati scolpiti da una mano frettolosa di finire il lavoro. Il suo volto non era fatto per essere contemplato, per essere al centro di una fotografia da conservare come ricordo di un viaggio: era fatto per essere dimenticato, sorvolato tra le tante altre opere che lo circondavano. Per essere notato solo da pochi, che ne apprezzavano la rappresentazione nonostante la forma invece che per essa.
“Il tè si sta raffreddando” disse Gideon, trascinandola fuori dalla sua immagine.
Cercando di non arrossire, Vanessa si sedette sul lato opposto del bancone, dove Gideon aveva poggiato una tazza fumante per lei.
Gideon bloccò il cellulare e lo appoggiò a schermo girato sul tavolo prima di voltarsi a osservare Vanessa, che al contrario teneva lo sguardo fisso sul suo tè.
Passarono così alcuni minuti, prima che Gideon dichiarasse: “Non riesco a sentire quello che stai pensando.”
Vanessa alzò lo sguardo di scatto e ribatté confusa: “Ma ieri hai detto che potevi.”
“Posso farlo, ma non per questo lo faccio sempre. Come tu non stai sempre usando la tua magia.”
“Come un interruttore?”
Vanessa temette che la similitudine potesse offenderlo, invece Gideon rifletté per qualche secondo prima di rispondere: “Non proprio. Non posso spegnerlo come faresti con la luce, ma quando non mi concentro per sentire qualcosa le voci rimangono un semplice brusio di sottofondo. È un po’ come essere sempre in mezzo ad una folla. So che le persone stanno parlando, ma non capisco quello che dicono.”
“Non sembra piacevole.”
“Non lo era all’inizio, ci ho messo un po’ a farci l’abitudine. Ma è anche vero che alcuni sono più bravi di altri a schermare i propri pensieri.”
“Ma ieri hai sentito quello che pensavo.”
Gideon annuì. “Appena Alicia ti ha intrappolato nella sua illusione ti ho sentito. La paura è un messaggero molto efficiente, riesce a restringe i nostri pensieri a istinti. Gli istinti sono più facili da percepire per me.”
“Però potevi sentire tutto quello che pensavo?”
“Sì e no. Posso sentire tutto quello che stai pensando, ma non vuol dire che io riesca a decifrarlo. Riflettere su qualcosa, ricordare qualcosa, non è mai un processo lineare. Non è come se tu pronunciassi una frase con la tua mente.”
Dovresti provare a tingerti i capelli di biondo, pensò Vanessa, cercando di immaginare la frase come se l’avesse pronunciata. Quando Gideon fece una smorfia Vanessa disse: “L’hai sentita! Mi stai ancora ascoltando!”
Gideon sbuffò, poi si voltò e riempì di nuovo il bollitore di acqua prima di voltarsi verso di lei e incrociare le braccia. “Non smetto mai di ascoltarti Vanessa. Non smetto mai di ascoltare nessuno. Ma… Okay, immagina un qualsiasi sport in cui si usa un pallone. Mentre i giocatori si passano la palla tu puoi decidere di seguirla o di concentrare la tua attenzione su qualsiasi altra cosa. Puoi anche non prestare nessuna attenzione al gioco se non ti interessa. Ma se qualcuno ti tira un pallone in faccia, in un modo o nell’altro ti accorgerai della sua presenza. Ecco, quello che hai appena fatto è stato tirarmi un pallone in faccia. Ma per rispondere alla tua vera domanda, non ho sentito tutto quello che hai pensato da quando sei in questa cucina, né quello che hai pensato da quando sei a Omaville. Se lo avessi sentito, avrei saputo di quello che era successo con Alicia.”
La velocità con cui Gideon aveva cambiato argomento destabilizzò Vanessa, che abbassò di nuovo gli occhi sulla tazza e cominciò a giocherellare con la bustina di tè che era rimasta al suo interno.
“Perché non ce l’hai detto?”
“Non sono una vostra responsabilità” replicò Vanessa nel tono più neutro che le riuscì. La domanda di Gideon era stata pronunciata con sincera preoccupazione, eppure Vanessa non riusciva a sentire in essa altro che un rimprovero paternalistico.
“Però sei nostra amica.”
La frase uscì dalle labbra di Gideon come un dato di fatto, qualcosa che si era già concretizzato prima ancora che Vanessa avesse trovato una definizione da darle. “Ci conosciamo da una settimana.”
“Okay. Quindi cosa siamo, secondo te?”
Vanessa cercò una risposta adatta, ma quando non riuscì a trovare le parole si limitò a scrollare le spalle e bere un sorso di tè.
“Se domani mi vedessi in un angolo dell’università in lacrime per un esame andato male ti gireresti dall’altra parte e mi lasceresti lì da solo?”
Prima di potersi fermare, Vanessa sussurrò: “Non ti ci vedo a piangere per un esame.”
Quando alzò lo sguardo, vide che Gideon le stava sorridendo. “Questo dimostra che mi conosci già meglio di quanto credi. Ma era solo un esempio. Mi lasceresti lì da solo?”
“No.”
“E io non lascerei sola te. E forse non abbiamo la stessa definizione di amicizia, ma per quanto poco ti conosco ci tengo a te e, nel mio piccolo, mi piacerebbe aiutarti come possibile in questa… transizione. Soprattutto quando il fatto che ci frequenti ti mette in pericolo.”
“Non ero davvero in pericolo, però” protestò Vanessa.
“Non avevi controllo sul tuo corpo in una stanza piena di sconosciuti. Non potevi difenderti se qualcuno ti avesse attaccato. O non hai percepito la grandezza del pericolo, oppure stai cercando di minimizzarla. L’ultima volta che sono finito in un’illusione di Alicia, sono rimasto frastornato per ore.”
“È successo anche a te?” chiese sorpresa Vanessa.
“Non nello stesso modo. Io e Alicia siamo due mentalisti, quindi abbiamo seguito più di una lezione magica insieme. Ma non è facile allenarsi con Alicia, è una mina vagante. Ogni volta che ti costruisce qualcosa intorno…”
Quando Gideon esitò, Vanessa concluse: “Il mondo diventa reale e irreale allo stesso tempo.”
“Esatto.”
“E come ti sei abituato? Come… ti liberavi da una illusione?”
Gideon fece una smorfia e allungò una mano verso la tasca dei pantaloni. Quando la trovò vuota, afferrò un elastico che portava al polso e si mise a giocarci. “Non lo so, non è uguale per tutti. Ma quando Alicia costruisce un’illusione… Una parte di lei la segue all’interno. Così diventa più esposta ad attacchi di altri mentalisti. Per me era più facile leggerle nella mente quando ero dentro una sua costruzione e di solito mi bastava ricordarglielo per interrompere l’esercizio. Ma a volte ci mettevo un po’ a capire che quella che stavo vedendo non era l’aula di magia.”
“Nelle tue illusioni non sparivano le persone?”
Gideon scosse la testa. “Non tutte le illusioni sono uguali. Con me, Alicia si stava allenando a ricreare un ambiente in modo che l’altra persona non si rendesse conto di essere in una finta realtà.”
“Nel mio caso invece voleva che io sapessi che era un’illusione. Voleva… voleva che sapessi che ero intrappolata” disse Vanessa, cercando di nascondere il brivido che le attraversò il corpo.
“Devi segnalare la cosa a Adam e Mrs. Blois. Alicia, come tutti i risvegliati, non può utilizzare i suoi poteri per ferire… per mettere in pericolo” si corresse Gideon quando vide che Vanessa stava per protestare “altri studenti.”
“Non ho prove di quello che è successo però. Sarebbe la mia parola contro la sua. Come faccio a dimostrarlo?”
Gideon continuò a giocare con il suo elastico, intrecciandolo e tirandolo in tutte le direzioni come se volesse spezzarlo. “Non lo so. Ci scommetterei che Alicia ha fatto qualcosa di simile in passato, ma non so se qualcuno l’abbia mai denunciata ai professori. Alicia è brava a… rigirarsi le persone.”
“Quindi anche se dicessi qualcosa, potrebbero non credermi.”
“Potrebbero. Oppure potrebbero crederti e prendere provvedimenti. Nasconderlo non è comunque una soluzione, soprattutto a noi” concluse voltandosi verso di lei.
Vanessa questa volta sostenne il suo sguardo e dopo un attimo di esitazione annuì. Gideon sembrò soddisfatto da quel gesto e si voltò verso la caffettiera.
“Comunque, credo per un po’ ti lascerà in pace. Ieri Eric ci è andato giù pesante.”
“Cosa le ha detto?”
“Chiedilo a lui, si è svegliato.”
Vanessa si girò, aspettandosi di vedere Eric alle sue spalle, ma il corridoio d’ingresso era vuoto. Non riuscendo a sentire nessun rumore dal piano di sopra, Vanessa tornò a guardare Gideon interrogativa.
“Come fai a saperlo?”
“Alcuni vedono solo i pericoli di leggere nella mente, altri le potenzialità. Come chiedermi di mettere su un caffè senza doversi sforzare di scendere dal letto.”
“Ti ha… parlato nella mente?”
“Lo fa spesso” rispose Gideon, afferrando una tazza nello stesso momento in cui Vanessa sentì la porta del bagno chiudersi al piano superiore. “Anche se è una comunicazione in una sola direzione, ha i suoi vantaggi. Se mai ti trovassi senza telefono e avessi bisogno di qualcosa, puoi mandarmi anche tu un… messaggio mentale” concluse con una smorfia. Vanessa immaginò che quel nome fosse stato tirato fuori dalla stessa mente che aveva creato il termine magedico.
“Puoi sentire le persone da qualsiasi distanza?”
“Dipende dalla situazione, dalla forza del messaggio, da tante cose. E soprattutto, dalle persone.”
“Non capisco.”
“Diciamo che sono sintonizzato su certe persone più di altre, nel caso, appunto, avessero bisogno di qualcosa.”
Vanessa avrebbe voluto chiedergli se tra quelle persone c’era anche lei, ma non era sicura di voler sentire la risposta. D’altronde, si conoscevano davvero da solo una settimana.
Mentre lo osservava, Vanessa si rese conto che Gideon si muoveva nella cucina con la naturalezza di un proprietario di casa, come se quella casa fosse tanto sua quanto di chi ci abitava davvero.
“Non hai mai pensato di trasferirti qui?” chiese Vanessa prima di potersi fermare.
Gideon la guardò sorpreso, poi distolse lo sguardo quando la caffettiera cominciò a fischiare. “In che senso?”
“Quando il vecchio coinquilino se n’è andato, non hai pensato di trasferirti qui?”
“Sì” rispose il ragazzo, poi senza voltarsi verso di lei aggiunse: “Ma per ora non posso andarmene da casa mia.”
Il perché? Apparve sulla punta della sua lingua solo per sparire dentro la sua gola quando Gideon tirò fuori il telefono dalla sua tasca e disse: “Dovresti controllare il telefono, Jensen ti ha scritto.”
Era un chiaro tentativo di cambiare discorso, ma Vanessa senti un’improvvisa urgenza di parlare con la ragazza, di chiedere ancora una volta scusa per la serata che le aveva fatto passare.
“Vai pure, Eric è troppo rincoglionito senza il suo caffè per accorgersi della tua assenza” la precedette Gideon quando vide la sua esitazione e Vanessa le lanciò un sorriso grato prima di muoversi verso la sua stanza.
“Come ti senti?” fu la prima cosa che chiese Kye quando rispose alla chiamata.
Vanessa aveva staccato il telefono dalla corrente e si era infilata sotto le coperte prima di controllare i messaggi che Kye aveva lasciato.
Dato che né questi ultimi né la sua voce sembrava particolarmente preoccupata, Vanessa immaginò che lei e Gideon si fossero scambiati più di un messaggio da quando si era svegliata.
“Meglio, anche se avrei voluto dormire un po’ di più.”
“Puoi ancora farlo, è sabato.”
“Non sono brava con i riposini, rischio di dormire tutto il pomeriggio e non riuscire a chiudere occhio stanotte.”
Kye fece un suono d’assenso, poi aggiunse: “Gray mi ha detto che avete parlato stamattina.”
“Sì.”
“Gli hai raccontato cosa è successo con Alicia?”
“Sì. Mi ha detto che dovrei parlarne con uno dei professori.”
“Non è una cattiva idea. Tenere il segreto per ora non è stata una grande idea.”
Invece di rispondere, Vanessa si accoccolò contro i cuscini prima di sussurrare: “Gideon dice che potrebbe non essere la prima volta che lo fa.”
Kye sospirò dall’altra parte del telefono prima di rispondere. “Non mi stupirei se fosse così, ma è difficile che qualcuno lo abbia raccontato in giro. Per questo dovresti dirlo ai professori.”
“Non adesso. Non vorrei… peggiorare la situazione.”
Non aveva il coraggio di dire a Kye la vera ragione della sua esitazione: se Eric era riuscito in qualche modo a non far arrabbiare Alicia la sera prima, sicuramente un richiamo da un professore l’avrebbe potuta indispettire abbastanza da rivelare a qualcuno il suo segreto. Se già non lo aveva fatto.
Kye non sembrò accorgersi della sua esitazione, perché continuò imperterrita. “Avevi deciso di non dire niente a Hoffman e Gray e hai visto come è finita.”
“È diverso?”
“Davvero? Perché?”
Invece di rispondere alle domande, Vanessa chiese: “Cosa stai facendo?”
Kye sospirò ancora una volta, ma alla fine rispose: “Sto facendo due passi. Non avevo voglia di correre stamattina e ho fatto un giro in moto.”
“Avresti potuto restare a letto, chissà a che ora sei tornata a casa ieri sera. Mi…”
“Non voglio più sentirti dire mi dispiace.”
“Ma è così. Ieri sera ho rovinato la serata a tutti, devo almeno scusarmi.”
“Allora dovrei scusarmi anche io per averti lasciato da sola.”
“Non eri venuta alla festa per farmi da babysitter, Kye.”
“Sì, ma ero venuta per stare con te.”
“Oh” fu tutto quello che riuscì a rispondere Vanessa. Per un po’ rimasero in silenzio e Vanessa sentì dall’altra parte del telefono voci di bambini e adulti in sottofondo, come se Kye si trovasse in mezzo ad un parco giochi. Solo quando si fecero più lontane Vanessa si trovò a dire: “Sei stata carina a venire per me, ma non voglio che tu ti senta in qualche modo responsabile.”
“Non sono venuta perché mi sentivo responsabile di te. Sono venuta perché volevo vederti.”
“Oh.”
“Lo hai già detto” disse Kye e Vanessa immaginò il sorriso appena accennato che riusciva a sentire nella sua voce.
“È che non so cosa dire” ammise alla fine, sprofondando ancora di più nel letto.
“Non devi dire niente” disse, poi sembrò prendere un lungo respiro prima di continuare. “Non mi piacciono le persone, ma mi piace stare con te. Mi fai sentire… tranquilla, come se fosse facile avere delle amiche. E sì, ieri sera sono venuta perché temevo che Alicia avrebbe potuto fare qualcosa, ma la vera ragione è che mi piaceva l’idea di passare una serata insieme.” Esitò ancora una volta e aspettò che Vanessa dicesse qualcosa, ma quando l’altra ragazza rimase in silenzio aggiunse: “Mi piacerebbe vederti, anche fuori dall’università intendo.”
“Anche a me piacerebbe.”
“Bene. Bene” ripeté Kye, poi con noncuranza disse: “Comunque anche tu stavi molto bene ieri sera.”
Vanessa arrossì, rendendosi conto che Kye doveva averla sentita la sera prima, quando le aveva parlato prima di addormentarsi.
“Grazie.”
“Mi piacevano molto i tuoi stivali, sembravano comodi.”
“Lo sono, te li presto se vuoi!”
“Non so se abbiamo lo stesso numero.”
Vanessa fu felice, in tutto quel maremoto di emozioni, di potersi fermare a parlare di qualcosa di normale come le scarpe. Continuò a chiacchierare con Kye a lungo, facendosi raccontare quello che vedeva intorno – dei bambini che rincorrevano un labrador giallo, una coppia che condivideva un gelato nonostante il freddo, un nonno seduto su una panchina con il palloncino in mano della nipotina a forma di cavalluccio marino – e quali erano i suoi programmi per la giornata.
Non si era resa conto di quanto fosse stanca, ma mentre ascoltava la voce rilassata di Kye si accoccolò definitivamente sotto le coperte e sentì le palpebre diventare sempre più pesanti.
Riaprì gli occhi di scatto quando sentì una mano toccarle il braccio e ci mise qualche secondo ad associare i capelli biondi arruffati a Eric.
“Scusa, non volevo disturbarti, ma noi stiamo per pranzare. Volevi mangiare qualcosa con noi?”
Vanessa si tirò a sedere frastornata. A quanto pare i riposini non erano davvero il suo forte. “Ma che ore sono?”
“Quasi l’una. Devi esserti addormentata quando sei tornata su.”
“Stavo parlando con Kye!” disse, prima di prendere il telefono che era scivolato sul letto quando si era addormentata. La chiamata era stata chiusa qualche ora prima e Kye le aveva scritto poco dopo.
K: Ti sei addormentata. Ti hanno mai detto che russi?
K: Sto scherzando.
K: Scrivimi quando ti svegli, se ti va.
Vanessa sorrise al telefono e scrisse in fretta un Sono viva a Kye prima di voltarsi verso Eric, che si era seduto sul bordo del suo letto.
“Come stai?”
Vanessa cercò di trattenere una smorfia. “Me lo state chiedendo tutti, non sono stata investita da una macchina.”
“No, ma eviterei di giocare la carta del poteva andare peggio” disse e Vanessa si rese conto solo in quel momento dello sguardo afflitto del ragazzo.
Vanessa si spostò di lato e fece un cenno a Eric di venirsi a stendere accanto a lei. Il ragazzo sembrò esitare solo un secondo prima di spostarsi al suo fianco.
“Mi dispiace di non averti raccontato di Alicia.”
“Immagino che Gideon ti abbia già fatto una ramanzina” rispose lui, mentre un sorriso debole affiorava sulle sue labbra.
“Più o meno.”
“Ti va di raccontarmi cos’è successo esattamente?”
Vanessa avrebbe voluto rispondere che no, non le andava di ripensare alla scorsa serata, che non voleva rivivere quei secondi che erano sembrati ore in cui si era sentita sola e indifesa. Ma allo stesso tempo sapeva che Eric l’aveva difesa il giorno prima, che l’aveva aiutata quando aveva avuto più bisogno. Perciò cominciò a raccontare quello che era successo, lasciando solo qualche buco qua e là per nascondere il confronto che era avvenuto con Alicia in università e la vera ragione per cui era andata alla festa. Eric non la interruppe e se notò le omissioni dal suo discorso non ne fece cenno.
Quando Vanessa finì di parlare, Eric rimase un attimo in silenzio prima strofinarsi le mani sul volto e sussurrare: “Mi dispiace.”
“L’ho detto anche a Kye, non è stata colpa vostra. Non eravate lì per farmi da babysitter.”
“Mi dispiace averti lasciata da sola, questo sì, ma…”
“Ma?”
“Ma” sospirò, poi si voltò verso di lei e la guardò negli occhi afflitto. “È colpa mia se Alicia se la sta prendendo con te.”
“Le hai detto tu di spaventarmi?”
“No!”
“Allora non è colpa tua. Non sei responsabile di quello che fa Alicia.”
“Lo so. Lo dice sempre anche Gideon. Ma mi sento comunque in colpa, perché so che avrei potuto evitare tutta questa situazione.”
Vanessa esitò prima di chiedere incerta: “È gelosa di me? Siete stati insieme?”
Gideon scosse la testa, poi si appoggiò alla testiera del letto e si passò una mano tra i capelli nervoso. “Non siamo mai stati insieme. Le ho ripetuto più volte che non ero interessato, ma non importava un gran ché a lei o agli altri.”
“Non capisco.”
“Quando io e mio padre siamo arrivati a Omaville, lui si è candidato come sindaco. I genitori di Alicia sono due avvocati piuttosto rinomati in città, oltre che venire da una delle famiglie più influenti della città. All’epoca appoggiarono mio padre nella sua campagna elettorale e da allora le nostre famiglie sono rimaste molto unite. Io e Alicia avevamo la stessa età e ci spinsero a fare amicizia.”
“Amici di genitori” disse Vanessa, ricordando la sua esperienza con Tamara e Sara.
“All’inizio sì, visto che i nostri genitori spingevano perché potessimo tenerci compagnia a vicenda. Ma con il tempo è diventata davvero la mia migliore amica” disse Eric con un tono incerto e quando Vanessa non riuscì a nascondere la sorpresa si affrettò ad aggiungere: “So che è difficile per te immaginarla in questo modo, ma è una ragazza davvero brillante. Era lei quella capace di attirare le persone, di parlare con adulti che avevano il triplo dei suoi anni e risultare comunque più intelligente. E quando eravamo solo noi mostrava anche tutti i suoi lati più nascosti. Passava dal fare battute che mi facevano cadere dal letto al proporre riflessioni che mi tenevano sveglio la notte. Io sognavo di poter essere come lei e per un certo periodo della nostra vita siamo davvero stati inseparabili.”
“Per questo le persone pensavano steste insieme?” chiese Vanessa, cercando allo stesso tempo di sovrapporre la sua immagine di Alicia e quella che le stava descrivendo Eric.
“Anche, ma all’inizio era solo qualche allusione qua e là, a cui io non davo nemmeno peso. Poi però io sono diventato il capitano della mia squadra di basket, non so se te lo avevo raccontato?” si interruppe Eric per chiederlo e Vanessa scosse la testa, anche se aveva già ottenuto alcune di quelle informazioni da Gideon. “Beh, si ho giocato a basket per anni ed ero anche abbastanza bravo. E negli stessi anni Alicia è entrata nel gruppo delle cheerleader. A quel punto le allusioni sono diventate… quotidianità. Non importava quante volte ripetessi che tra noi non c’era niente, tutti continuavano a chiamarci la coppia del secolo, a farci i complimenti per quanto stavamo bene insieme.”
“E non è mai successo niente tra di voi?”
“Mai. Alicia non si è mai fatta avanti esplicitamente e io non ero interessato perciò pensavo… pensavo che se avessi aspettato abbastanza a lungo le persone si sarebbero arrese e noi saremmo potuti rimanere amici. Ma quando è arrivato l’ultimo anno…”
Eric si guardò le mani, come per leggerci qualcosa che non riusciva a trovare nella sua mente, e Vanessa gli colpi la coscia con un ginocchio prima di dire: “Non sei obbligato a raccontarmelo se non vuoi.”
“Lo so, ma dovrei farlo.”
“Non devi fare proprio niente. Mi… mi costringeresti a raccontare qualcosa del mio passato se non fossi pronta a farlo?” chiese, consapevole che quella domanda non l’aveva fatta solo per rassicurare il ragazzo. Quando Eric scosse la testa lei continuò: “Ecco, quindi non sei costretto a farlo nemmeno tu.”
Eric sembrò riflettere per qualche secondo prima di tornare a raccontare. “Diciamo che l’ultimo anno di liceo per me è stato… difficile. All’epoca mi allontanai da molte persone, anche e soprattutto da Alicia. E quando sono tornato” disse Eric, ma Vanessa non capì se il ragazzo intendesse letteralmente o meno, “io ero una persona diversa e loro erano sempre gli stessi. Le nostre vite non erano più compatibili e passare del tempo con loro per me era sempre più complicato. Negli ultimi anni mi sono allontanato parecchio dalla mia vecchia compagnia di amici, ma ad Alicia questa cosa non è mai andata giù.”
“E cosa c’entro io?” chiese Vanessa, confusa da quale fosse il suo ruolo nella storia.
Eric sospirò e sembrò scivolare sul letto nel tentativo di sparire dalla sua vista. “Credo che una parte di Alicia fosse convinta che ad un certo punto sarebbe successo qualcosa tra noi. Forse c’è una parte di lei che ancora lo spera e quindi il fatto che tu sia arrivata all’improvviso deve averla… Non voglio dire fatta arrabbiare, mi sembra così infantile.”
“Ma è infantile! Pensi che se la stia prendendo con me perché ti conosco?”
Vanessa cercò di nascondere l’irritazione nella voce, ma il suo tono fece comunque sussultare Eric, che continuò mestamente: “E perché vivi con me. E perché siedi a mensa con me e i miei nuovi amici.”
“Anche Sabrina mangia al tavolo con te, ha mai fatto le stesse cose a lei?”
Eric la osservò in silenzio a lungo, come se cercasse le parole giuste da dire. Ma alla fine sembrò cambiare idea. “Con Sabrina è diverso.”
Vanessa avrebbe voluto chiedere come poteva essere diverso, ma l’espressione di Eric le ricordò quella di Gideon di qualche giorno prima. Non è la mia storia da raccontare. Frustrata, si riappoggiò alla testiera del letto e rimase a riflettere.
“Mi dispiace, Vanny. Davvero.”
“Non è colpa tua Eric. No, davvero” aggiunse quando Eric provò a protestare. “Non mi importa del vostro passato, Gideon ha ragione quando dice che non è una tua responsabilità quello che fa. Non siamo all’asilo, se ha un problema con me dovrebbe venire a dirmelo direttamente invece di fare questi giochetti.”
Vanessa parlò con una sicurezza che non sentiva, ma almeno adesso aveva un quadro più chiaro della situazione. E anche se la ragazza aveva ancora tra le mani il suo segreto più grande, sapere le ragioni per quella battaglia la faceva sentire più pronta a combattere.
Era strano, ma per la prima volta da settimane si sentiva viva, come se nonostante tutta la paura, nonostante tutte le difficoltà, per un attimo fosse tornata ad essere una qualsiasi ragazza universitaria con un qualsiasi dramma in corso. Come se la magia non avesse cambiato niente.
Rigenerata da questa riflessione si voltò rapida verso Eric. “Facciamo un patto?”
Eric mosse la testa nella sua direzione e la guardò confuso. “Un patto?”
“Sì, io ti prometto di raccontarti se succede di nuovo qualcosa con Alicia, ma tu devi promettermi che smetterai di incolparti per quello che fa.”
Eric sembrò valutare la proposta, poi si voltò a sua volta. “D’accordo, ma a una condizione.”
“Quale?”
“Non voglio che mi racconti quello che succede. Voglio che mi chiami nel momento in cui succede qualcosa. Se Alicia ti viene intorno o ti infastidisce, tu lo riferisci subito a me, a Gideon, a Kye, a chi vuoi. Non aspettare che sia troppo tardi per avvisarci. Va bene?”
Vanessa tentennò quando vide Eric sporgere la mano. Anche era stata le a proporre il patto, le risultava più difficile pensare di chiedere aiuto immediatamente. Era più facile, nella sua testa, trovare un modo per gestire Alicia da sola e riportare solo quanto successo in una versione che non compromettesse il suo segreto.
Ma non stringere la mano di Eric significava riaprire la conversazione, rispondere a domande che non voleva fossero poste. Per questo allungò la sua e ricambiò la stretta.
“Molto bene. E ora passiamo alle cose serie: sei pronta a cancellare la serata di ieri con una anche migliore?”