Arianna di Jennifer Saint. Un libro di occasioni sprecate

articolo di @twobookishghosts

Premesse

Cantami, o Diva, l’ira funesta dell’indignata Arianna… (io, non quella del libro.)

Sì, mi chiamo Arianna.

O Ariadne, se vogliamo usare la versione originale.

Il mio nome mi è sempre piaciuto, ci sono molto legata e di conseguenza sono molto interessata anche a tutto ciò che riguarda la sua origine. Mi ha sempre affascinato la mitologia greca, e ultimamente di retelling ce ne sono davvero tanti in giro.

Quello di cui parliamo oggi è proprio dedicato alla protagonista da cui viene il mio nome: Arianna, principessa di Creta, figlia di Minosse e Pasifae e sorella di Asterio, il temibile Minotauro rinchiuso nel Labirinto costruito da Dedalo.
La storia, seppur nelle sue molteplici varianti, è molto famosa: Arianna si innamora di Teseo, il figlio di Egeo responsabile dell’uccisione del mostro, e tradisce la propria famiglia guidando il giovane fuori dal Labirinto con il suo filo.
Il giovane le promette di portarla via dall’isola e sposarla, ma le cose vanno diversamente e Arianna si ritrova sola e abbandonata sull’isola di Nasso.
Da qui in poi la storia ha diverse versioni: in alcune la fanciulla viene trovata da Dioniso, dio del vino e dell’ebbrezza, che la sposa e la rende immortale; in altre è questo stesso dio che ordina invece alla dea Artemide di uccidere la giovane, e così via.

Jennifer Saint vuole raccontarci proprio questo mito e dare voce direttamente alla figura di Arianna e alle donne dell’Antica Grecia.

Dal momento che questa storia mi affascina sin da quando ero piccolina, mi sono procurata il libro senza nemmeno attendere l’uscita italiana (3 febbraio 2022 per Sonzogno), ma acquistandolo in lingua originale la scorsa primavera.

Ero impaziente di leggere un altro retelling di mitologia greca, dopo aver apprezzato i chiacchieratissimi La Canzone di Achille e Circe di Madeline Miller. Perciò mi sono approcciata alla lettura con aspettative parecchio alte: forse è stato proprio questo che mi ha portata ad andare incontro a non poche delusioni, e sono qui per parlarvene. Andiamo per ordine.

Scrittura e scelte stilistiche

Il prologo ci racconta in due pagine di come Minosse, re di Creta e padre di Arianna, uccise la giovane Scilla [1] dopo aver perpetrato l’assedio di Megara, sottolineando come la sua azione fosse stata mossa dal suo disprezzo verso il gesto di tradimento della fanciulla nei confronti del padre Niso.

Dopodiché la narrazione si sposta su Arianna, che ci parla in prima persona della sua vicenda. Normalmente non apprezzo questa scelta narrativa, tendo invece a preferire quella in terza persona. Tuttavia, in libri come quelli della Miller l’ho trovata calzante e vincente. Lo stesso non si può dire di questo caso: se è vero che la prima persona aiuta il lettore ad avvicinarsi ulteriormente all’interiorità dei personaggi, qui il punto di vista della protagonista mi è parso fin troppo arido e povero di vitalità.

È questa, credo, una delle pecche più grandi del libro: la prosa è vuota, non mi ha trasmesso le emozioni che avrebbero dovuto coinvolgermi nella storia.

Le prime cento pagine, soprattutto, sono una mera riscrittura degli avvenimenti che costituiscono la vicenda del Labirinto, senza alcuna aggiunta personale dell’autrice che avrebbe potuto conferire maggiore dinamicità e coinvolgimento alla storia.  

Persino l’arrivo di Dioniso, che avrebbe dovuto dare una svolta alla trama, risulta piatto, salvo per alcuni momenti che mi sono comunque piaciuti.

Dalla seconda metà si aggiunge alla narrazione anche il punto di vista di Fedra, la sorella di Arianna, che personalmente ho apprezzato più di quelli della protagonista in quanto a scrittura e dinamicità, ma che mantengono in generale le stesse pecche del resto del libro.

Adattamento del mito e dei personaggi

Come si sa, i miti presentano diverse versioni, ed un retelling deve inevitabilmente fare una scelta su quale inserire, oltre che apportare modifiche fini agli scopi della narrazione. Tuttavia, dato che si tratta di una rivisitazione e non di una riscrittura fedele all’originale, appunto, è anche necessario dare profondità ai personaggi e permettergli di avere uno sviluppo in positivo o in negativo all’interno della vicenda.

Arianna ci viene mostrata come la giovane principessa ribelle che abbandona tutto per amore all’inizio della storia, per poi passare alla figura di moglie di Dioniso e madre premurosa dei loro figli. Il suo personaggio, però, appare completamente svuotato della sua individualità: ciò che vediamo di lei è il modo in cui gli uomini che incontra lungo il cammino influenzano le sue scelte, e alla fine deve sempre pagarne il prezzo. In Circe, per esempio, il suo personaggio è appena abbozzato, ma l’ho apprezzato proprio per il focus sulla sua personalità, come nella descrizione della sua passione per la danza, il suo carattere ottimista e un po’ ingenuo che cerca sempre di vedere il buono in tutto e in tutti, lasciandosi guidare dal cuore. In poche righe la Miller è riuscita a trasmettermi l’aura luminosa di Arianna, che ho trovato invece spenta in quasi tutte le parti di questo libro.

La sua passività, per quanto possa essere comprensibile in alcuni punti, a lungo andare rende solo la lettura frustrante e non rende giustizia al suo personaggio.

Fedra, dal canto suo, ci appare una figura più caratterialmente forte rispetto alla sorella maggiore, seppur anch’essa nella sua tragicità. Mi è piaciuto sicuramente il parallelismo fra le due, specialmente in relazione al loro modo di affrontare la maternità completamente in antitesi: Arianna abbraccia il ruolo di madre, che diventa praticamente l’unica ragione che la spinge ad andare avanti; Fedra, invece, pur portandolo avanti, lo rifiuta in assoluto.

L’ho trovata una bella rappresentazione, che ci ricorda che ogni donna ha il diritto di determinare il proprio destino, decidendo o meno di includere la maternità nel proprio cammino, senza mai dover condannare né l’una né l’altra scelta.

La rappresentazione di Teseo, invece, l’ho trovata abbastanza in linea con il suo personaggio: un uomo che è accecato dal desiderio di fama e potere, a tal punto che nient’altro conta per lui.

Dal testo originale:

Theseus had not left me because I was at fault, or because I did not matter. He had left because, to him, nothing mattered at all beyond the cold pursuit of his own fame. I would not let a man who knew the value of nothing make me doubt the value of myself.”

(Certo, Arianna, hai ragione… se solo poi non ci ricadessi ogni santa volta.)

Quella di Dioniso è stata probabilmente la rappresentazione che mi ha delusa di più. All’inizio ci sono stati suoi momenti che ho apprezzato, ma per il resto del tempo l’ho trovato di una piattezza unica. Era letteralmente il personaggio che avrebbe dovuto dare una svolta al romanzo, ma man mano che proseguivo con la lettura lo trovavo solo più irritante. È sicuramente molto interessante la scelta dell’autrice di mostrare anche i suoi lati più nascosti, i suoi rituali dalla moralità ambigua. Così com’era giusto sottolineare come gli dei strumentalizzino sempre i mortali, soprattutto le donne, per i loro scopi personali, e non sono soltanto dei “fighi palestrati dotati di poteri” (a volte ho l’impressione che qualcuno, romanticizzandoli in maniera forzata, li riduca a questo). Cosa che Dioniso all’inizio dichiara di non aver intenzione di fare, ma (oh, che sorpresa!) finisce proprio per fare ciò.

“I cannot love another immortal. I see them, vain and stupid, puffed up with their own importance and their petty cruelties. Mortals may age, but the gods are prisoners of their own infantile whimsies, never capable of change and never knowing what it is to love because they dare not risk the suffering of loss.”

Tematiche e finale  

Forse il problema è che quando ho letto “romanzo femminista” sulla copertina mi sono fatta le aspettative sbagliate. Nel libro è sicuramente evidenziato il ruolo della donna nell’Antica Grecia e si critica la misoginia che permea questa cultura. Però a volte non basta semplicemente descrivere un problema.
C’erano tanti modi in cui Arianna e Fedra avrebbero potuto riscattarsi (e con questo non intendo ovviamente riducendole alla figura stereotipata della donna invincibile che si ribella a tutto e a tutti) sia nel caso di un lieto fine, sia di un finale tragico.
Quest’ultimo è stato scelto dall’autrice e, anche se non andrò a svelare esattamente come si conclude questa storia, posso dire che il senso con cui mi ha lasciata è quello di un’insoddisfazione generale, come se il libro finisse prima di arrivare ad una vera conclusione.

A mio parere, la Saint avrebbe potuto prendere due strade con questo romanzo. La prima avrebbe potuto essere una riscrittura del mito in chiave romantica, focalizzandosi sul trionfo dell’amore e allo stesso tempo riaffermando l’indipendenza e la forza di Arianna da quest’ultimo, in quanto esso non la definisce né la completa, semplicemente aggiunge qualcosa al suo intero. Alla fine, il romance, che piaccia o meno, credo che funzioni molto bene in questo genere.

“We may only have a mortal lifetime, but it will belong to us and no one else.”

Il modo in cui ho sempre visto Arianna e Dioniso è perfettamente racchiuso in questi versi di Lorenzo de’ Medici:

Quest’è Bacco e Arianna,
belli, e l’un dell’altro ardenti:
perché ’l tempo fugge e inganna,
sempre insieme stan contenti.
Queste ninfe ed altre genti
sono allegre tuttavia.
Chi vuol esser lieto, sia:
di doman non c’è certezza.
[2]

Secondo me una costruzione della loro dinamica in questo senso avrebbe dato molto più colore al libro e avrebbe reso la lettura più piacevole. Invece, Arianna si riduce ad essere un fantoccio in mano a uomini e dei, senza alcuna possibilità di riscatto:

“Perhaps my life truly belonged to him – he had seized me from the jaws of death, after all.”

Il che ci porta alla seconda via, quella di una riscrittura in chiave tragica: questo finale per Arianna avrebbe avuto un immenso potere, sfruttando gli strumenti giusti. È vero, a lei come a molte altre donne purtroppo non è stato concesso un lieto fine, ma non per questo le loro esperienze sono state vane: sono anzi un’importantissima lezione da tenere a mente. In questo libro, però, mi è sembrato di leggere di Arianna, Fedra e tante altre donne come semplicemente destinate a soffrire o ad essere ridotte a mostri senza cuore, senza la possibilità di un cambiamento, di un riscatto, nemmeno di una crescita personale. Peccato, perché queste figure hanno tanto potenziale e tanto da raccontare, e credo che l’autrice abbia sprecato davvero molte occasioni in questo senso.

Tuttavia, non mi sento di condannare completamente il libro (e poi sono stata a sparlare fino ad adesso… okay, fai un po’ tu Arianna), anche perché se nutrite interesse verso la mitologia o volete approcciarvici per la prima volta, secondo me sarete capaci di apprezzare diversi punti della storia.

E poi, date le opinioni contrastanti che ho sentito a riguardo, non si può mai sapere: magari non avrà incontrato i miei gusti personali, però per qualcun altro potrebbe essere un bel libro. Io cerco sempre di dare una possibilità ad ogni storia, e vedere quali corde del mio essere riesce a toccare.

Per questo vi lascio con il consiglio di provare comunque ad accogliere Arianna nella vostra libreria e a scoprire la sua storia (e se poi vi beccate una delusione, ricordatevi sempre che in giro per il web ci sono un sacco di saggi, documenti, libri e fanfiction super interessanti e coinvolgenti)!

[1] Storia di Scilla: https://it.wikipedia.org/wiki/Scilla_(figlia_di_Niso)

[2] Lorenzo de’ Medici, Il trionfo di Bacco e Arianna (1490)