L’idea di serata migliore, per Eric, era una bevuta con un gruppo di amici in un pub di Omaville.
L’usuale assenza di piscine nei pub e la rassicurazione da parte di Eric che Alicia non era solita frequentare quel posto furono due delle ragioni per cui Vanessa fu tentata di accettare, ma si decise davvero solo quando Kye le confermò che anche lei sarebbe venuta.
Dato che avevano lo stesso proprietario, Vanessa si era aspettata di trovare un pub tanto caratteristico quanto il diner, per questo la sorprese trovarsi davanti un locale normalissimo, banale e ordinario come solo un pub per ragazzi poteva essere.
Nonostante fosse ancora presto il locale era già affollato e quasi tutti i tavoli erano occupati da studenti più o meno giovani impegnati a chiacchierare. Su un lato, dove erano stati collocati un tavolo da biliardo e uno da calcio balilla, il pavimento era stato modificato per ospitare una piccola pista da ballo. Ma il progetto di lasciare uno spazio per scatenarsi a ritmo di musica, come suggeriva lo stereo collocato sopra un finto jukebox, doveva essere fallito, perché la zona era stata occupata da poltrone più o meno nuove e sedie sparse intorno a qualche tavolino di fortuna.
Vanessa si guardò intorno cercando di individuare qualche volto familiare, ma non riuscì ad associare a nessuno dei presenti un nome, nonostante alcuni le sorrisero con gentilezza.
Si arrese solo quando arrivarono al tavolo che Sabrina aveva tenuto per loro, dal quale la ragazza si alzò per salutarli. “Per fortuna siete arrivati! Ci hanno già chiesto tre volte di prendere le sedie, non sapevo più cosa dire.”
“Grazie Sabri, come faremmo senza di te?” rispose Eric allungandosi per abbracciarla.
Al tavolo erano già seduti anche Ricky e David, che sembravano troppo presi dalla loro conversazione per prestare attenzione al loro arrivo.
“Avete già preso da bere? Volete fare un secondo giro?” chiese Eric, appoggiando il cappotto su una delle sedie libere di fianco a Gideon.
Sabrina chiese un drink analcolico e Vanessa ordinò prontamente lo stesso. Eric ascoltò gli ordini di tutti poi si avviò verso il bancone.
Solo in quel momento Vanessa si rese conto della necessità di Eric in quel gruppo: senza di lui, la conversazione non sembrava cominciare, né Gideon e Kye sembravano interessati a farla partire.
Vanessa cercò un appiglio per evitare di rimanere in silenzio fino al ritorno del ragazzo, ma fu Sabrina a intercedere prima che potesse trovare qualcosa da dire.
E ovviamente l’argomento non poteva che essere la festa della sera prima. “Mi dispiace per ieri sera, Vanessa” cominciò, appoggiandole una mano sulla sua, “se avessi saputo che cosa aveva in mente Alicia avrei fatto qualcosa.”
Vanessa scrollò le spalle, fingendo un’indifferenza che non sentiva davvero. “Ormai è andata, mi dispiace solo avervi rovinato la serata.”
“Figurati, dovevi vedere la faccia che ha fatto Alicia quando Eric l’ha tirata da parte per parlarle. Le sue feste sono fantastiche, ma non può fare quello che le pare.”
“Dillo a lei” replicò Gideon, la cui attenzione era però diretta verso il banco dove Eric stava chiacchierando animatamente con qualcuno.
“Magari avessi il coraggio di farlo. Ogni volta che la guardo mi sento… un insetto” concluse rabbrividendo, poi con un gesto nervoso spostò i capelli dietro un orecchio e si voltò verso Kye. “Tu non hai avuto problemi a tenerle testa, però. Sei stata fantastica, pensavo l’avresti incenerita lì sul posto” disse, poi, quando Kye fece un cenno vago come per minimizzare, lei continuò: “No, davvero! Quella storia della camera? Brillante, vorrei essere capace di ribattere così facilmente. E comunque non sapevo che conoscessi Alicia così bene, pensavo-”
“Mandare Eric a prendere i nostri drink è stata una pessima idea” si intromise Gideon e tutti si voltarono verso il bancone, dove il ragazzo continuava a essere circondato da nuove persone. Vanessa non era sicura che fosse riuscito a ordinare anche solo una birra.
Sentì un sorriso affiorarle sulle labbra mentre la scena della mensa si ripeteva nel pub, ma quando si voltò verso Kye per raccontargliela si accorse dell’espressione della ragazza.
Invece di voltarsi verso Eric come tutti gli altri, Kye era rimasta ad osservare il muro alle spalle di Vanessa, concentrandosi su un punto indefinito su di esso come se cercasse un qualche tipo di risposta. O un buco abbastanza grande da cui fuggire.
“Jensen, tu conosci Jack, no? Puoi fare qualcosa?” continuò Gideon, tornando a voltarsi verso il gruppo.
Kye annuì e si alzò con un movimento meccanico, allontanandosi dal tavolo prima che qualcuno potesse ripeterle cosa aveva ordinato.
“Vado a vedere se ha bisogno di una mano” disse Vanessa prima di potersi fermare, lo sguardo di Kye ancora fissato nella sua mente.
Il locale non era troppo grande, ma Kye era stata comunque capace di sparire dietro a una folla di studenti e Vanessa dovette allungarsi tra una spalla e l’altra per individuarla.
La ragazza si era appoggiata in un angolo del bancone su cui erano stati lasciati numerosi bicchieri vuoti che aspettavano di essere lavati. Mentre si avvicinava la vide parlare con un uomo, che nonostante fosse dietro il bancone non sembrava interessato a servire i clienti.
L’uomo, che stava mescolando con cura un drink di un arancione innaturale, doveva avere dall’aspetto poco più di trent’anni, ma nascondeva nel sorriso complice che stava rivolgendo a Kye una giovinezza ancora conservata con cura.
Vanessa non riuscì a sentire cosa stessero dicendo, ma quando l’uomo si accorse della sua presenza si interruppe e cambiò espressione, trasformando il sorriso genuino in uno che doveva aver allenato in anni di lavoro come barista.
“Per i drink devi chiedere agli altri ragazzi” le disse, senza cattiveria ma con decisione.
Kye si voltò scocciata verso di lei, ma la sua espressione cambiò appena la riconobbe. La ragazza le sorrise e le fece segno di avvicinarsi prima di rivolgersi all’uomo dietro il bancone: “Jack, lei è Vanessa. Si è trasferita da poco.”
“Ah, la famosa Vanny. Le voci su di te ti precedono” replicò Jack, mentre inseriva una cannuccia dentro i due drink conclusi.
“Spero solo cose belle” scherzò Vanessa, cercando di nascondere la preoccupazione dalla sua voce. Da dove gli erano arrivate le voci? Da qualcuno che era alla festa il giorno prima?
“Oh non ti preoccupare, quando Kye si disturba a nominare qualcuno, di solito è per dire qualcosa di positivo.”
“Finiscila, Jack” intervenne Kye e quando Vanessa si voltò verso di lei la ragazza evitò di incrociare il suo sguardo.
Vanessa si sentì come rinvigorita da quella scoperta, ma invece di punzecchiare Kye preferì cambiare argomento. “Quindi sei il proprietario del pub?”
“Il solo e unico, anche se ormai non sono più abituato a gestire le resse del weekend. Di solito Maggie mi mette alla cassa o mi lascia restare in ufficio per evitare che faccia danni” concluse, indicando una delle ragazze che, poco distante da loro, stava cercando di dare un certo ordine al caos delle ordinazioni. Sentendosi gli sguardi addosso, la ragazza si voltò per sorridere brevemente a Vanessa e fare l’occhiolino a Jack, poi tornò a concentrarsi sul lavoro davanti a lei.
Jack le sorrise complice, poi afferrò due energy drink da un frigorifero e le chiese: “Come ti trovi a Omaville? Hai avuto modo di farti un giro in città?”
“Sembra un bel posto, ma non ho ancora visto un granché. Tu vivi qui da molto?”
“Da sempre, sono nato qui. Uno dei pochi senza poteri che si è impuntato a restare in città. Ma una volta che ne vedi la bellezza è difficile lasciarla andare” concluse, appoggiando due birre sul vassoio che Vanessa non aveva notato. “Ecco i vostri drink, offre la casa.”
“No, Jack, lasciami-”
“Non cominciare. Avrò anche il brutto vizio di regalare troppi drink, ma se il grande capo ha qualche problema può sempre licenziarmi” disse Jack e fece l’occhiolino a Vanessa.
Kye sbuffò e lo ringraziò, poi, approfittando di un varco lasciato da alcuni ragazzi, si avviò verso il tavolo a cui erano seduti gli altri.
Quando anche Vanessa lo ringraziò per i drink, Jack fece un gesto vago e afferrò uno dei vassoi pieni di bicchieri vuoti. Prima di andarsene, però, aggiunse: “È stato un piacere incontrarti, Vanessa. Devi avere davvero qualcosa di speciale se hai convinto Kye a venire in uno dei giorni più affollati.”
Prima che potesse chiedergli cosa intendesse, Jack urlò a Maggie di fargli largo e sparì dietro una porta. Vanessa guardò nella sua direzione confusa e si riprese solo quando un ragazzo particolarmente ubriaco sbatté contro la sua spalla e rischiò di versarle un drink addosso.
Raggiunse il tavolo nello stesso momento in cui Eric si sedette, scusandosi per aver fallito nella sua missione.
Anche se le voci intorno a loro rendevano complicato mantenere una conversazione continua, Vanessa trovò la serata molto più piacevole di quella precedente. L’ansia che l’aveva attanagliata il giorno prima era stata sostituita da un senso di tranquillità, da un divertimento genuino che l’attraversava ogni volta che Eric si esaltava per qualcosa che diceva Sabrina o si imbronciava per un rimprovero di Gideon.
Solo Kye rimase silenziosa durante tutta la serata e anche se Vanessa la osservò più volte per controllare che stesse bene, non cercò mai di forzarla nella conversazione. Ogni volta che incrociava il suo sguardo, Kye le sorrideva debolmente, ma dopo qualche istante tornava a guardare lo stesso punto nel muro, come se fosse immersa in qualche pensiero troppo lontano rispetto a dove erano loro.
Ad un certo punto qualcuno alzò la musica dallo stereo e alcuni dei ragazzi, privati della pista da ballo, cominciarono a muoversi in modo confuso spostando tavoli e sedie. Il rompersi di alcuni bicchieri li distrasse dalla loro conversazione e Gideon colse l’occasione per una pausa sigaretta.
Senza dire niente, anche Kye si alzò e prese la giacca per seguire Gideon, forse più tentata da una pausa dalla confusione che dall’idea di fumare. Quando passò al suo fianco le appoggiò una mano sulla spalla, ma prima che Vanessa potesse dire qualcosa la ragazza sparì tra la folla.
Vanessa provò a concentrarsi sulla conversazione, ma il suo sguardo continuava a spostarsi sulla porta, mentre l’indecisione la attanagliava. Decise solo quando, voltandosi verso Eric, lo vide farle un cenno con la testa per indicare l’uscita.
Si scusò con Sabrina, che stava raccontando qualcosa su un film che volevano andare a vedere tutti insieme il week end successivo, e si alzò anche lei per uscire.
Una ventata di aria fredda la colpì quando aprì la porta e per un attimo Vanessa si pentì di non aver preso con sé il suo cappotto. Non fece fatica a trovare Gideon e Kye, che si erano appoggiati alla macchina di Gideon per distanziarsi dai gruppi di studenti che urlavano e bevevano sull’ingresso. Vanessa si avvicinò a passo veloce, trattenendosi dal lanciare un’occhiataccia quando qualcuno le fischiò dietro.
Gideon si era seduto sul cofano della macchina e stava fumando con lentezza, come se volesse far durare la sigaretta più a lungo possibile, mentre Kye era rimasta in piedi poco distante, lo sguardo puntato sulla strada scarsamente illuminata che portava fuori città.
Da uno sguardo esterno, Gideon e Kye sembravano due sconosciuti messi uno di fianco all’altro per caso, due studenti che senza conoscersi finiscono seduti nello stesso vagone della metropolitana. Sembravano due coincidenze nel caos, accostati per scherzo o per fortuna, lasciati ad affrontare le conseguenze della loro vicinanza senza che questa fosse mai stata voluta.
Eppure, anche se non stavano parlando, Vanessa vide come l’espressione di Kye, tesa fino a un momento prima, si era distesa ora che era lontana dal resto del gruppo.
“Non stai morendo di freddo?” chiese Gideon quando Vanessa li raggiunse.
Vanessa scosse la testa, ma nello stesso momento un brivido le attraversò il corpo. Kye la guardò e ricambiò il suo sorriso incerto prima di farle cenno di avvicinarsi.
Prima che potesse chiedere cosa volesse fare, Kye la afferrò delicatamente per il braccio e la fece appoggiare al suo fianco. Vanessa non sapeva se il senso di calore improvviso fosse dato dal corpo di Kye che era ora appoggiato al suo, o se era per l’imbarazzo di esserle così vicina all’improvviso.
Sapeva che se avesse girato lo sguardo si sarebbe trovata a pochi centimetri di distanza dal volto di Kye, per questo rimase con lo sguardo fisso sulle persone davanti al pub. Alcuni ragazzi si erano lanciati in una gara di agilità e stavano cercando restare in equilibrio sulle mani, esibendosi in verticali instabili per imitare una ragazza che aveva appena svolto lo stesso esercizio con un tacco vertiginosamente alto.
“Come fanno domani ad andare a lezione?” chiese Vanessa quando uno dei ragazzi cadde a terra, troppo ubriaco per riuscire a rimanere in equilibrio a lungo.
“Come fanno tutte le domeniche, occhiali alla mano, bottiglie di acque e pennichelle in fondo all’aula” disse Gideon.
“Oppure non si presentano” concluse Kye.
Anche se il braccio che Kye le aveva passato intorno allo stomaco la distraeva più di quanto avrebbe voluto, Vanessa cercò di concentrarsi sulla conversazione. “Non credo di essermi mai ubriacata così tanto.”
“Vorrei poter dire la stessa cosa. Ma almeno non ho mai sbattuto il naso sull’asfalto” concluse Gideon, quando il ragazzo di poco prima, incurante del primo fallimento, aveva ritentato con la verticale e aveva sbattuto la faccia sul marciapiede. Vanessa sperava che qualcuno lo fermasse.
“E tu?” chiese a Kye, voltando appena il volto verso di lei senza però girarsi completamente. Cercò di non rabbrividire quando sentì il suo respiro accarezzarle la guancia.
“Non in un posto così affollato.”
“Dovreste andare, ci vorrà ancora parecchio prima che le cose si calmino qui” disse Gideon. Vanessa lo sentì scendere dal cofano e pochi secondi dopo il ragazzo apparve davanti al suo campo visivo.
Vanessa si allontanò riluttante da Kye e incrociò il suo sguardo. “Vuoi andare via?”
Kye scrollò le spalle come se la decisione non la riguardasse, ma la tensione sembrò tornare sul suo volto. E in quel momento Vanessa capì che Kye non era andata lì per prendersi una birra con degli amici. Era lì per lei.
Le tornò in mente la conversazione di quella mattina, le parole che Kye le aveva detto al telefono e che aveva già trasformato in realtà. Mi piacerebbe vederti, anche fuori dall’università intendo.
Per quanto fosse contenta di passare la serata insieme, l’idea che Kye si fosse imposta di restare in mezzo a tutte quelle persone quando era l’ultima cosa che voleva fare la metteva a disagio e allo stesso tempo faceva crescere in lei il desiderio di abbracciare la ragazza.
Invece si limitò a dire: “Devo prendere la giacca, mi aspetti qui?”
Tornò dentro con Gideon e si intrattenne il tempo necessario a scusarsi per la toccata e fuga, a rassicurare Eric che stava bene, che era solo un po’ stanca, e prima che la coinvolgessero in un ulteriore giro di saluti e promesse di rivedersi afferrò la giacca e la borsa ed uscì dalla sala.
La giacca che aveva preso era perfetta per una serata chiusa dentro in un pub, per attraversare la strada dall’ingresso alla macchina di Gideon, ma non era sufficiente per proteggerla dal vento che la trafiggeva ogni volta che Kye prendeva velocità.
Per questo fu sollevata quando Kye si fermò e ci mise qualche secondo a rendersi conto che di non riconoscere l’ambiente circostante. Invece che a casa di Eric, Kye si era fermata all’ingresso di un parco che Vanessa non aveva mai visto.
Poco distante da loro un’area pic nic era stata allestita per una festa a cui, nonostante l’ora, partecipavano ancora numerosi bambini. Mentre i più piccoli si lanciava sull’erba, sui giochi, su qualsiasi cosa li circondasse, i genitori disinteressati preferivano chiacchierare tra di loro intorno ai tavoli apparecchiati.
Quando una mano toccò la sua, Vanessa si voltò di scattò verso Kye, dimenticando la festa e concentrando tutta la sua attenzione sulla ragazza.
“Facciamo un giro? Più in là c’è un laghetto.”
“Non vorrai mica fare un tuffo di mezzanotte?”
Kye le sorrise e cominciò a camminare tirandola delicatamente con sé. Vanessa sorrise a sua volta e si lasciò guidare, percependo appena gli schiamazzi dei bambini che diventavano un sottofondo sempre più lontano.
“È qui che vieni a correre?”
“Ogni tanto. C’è un altro parco più vicino a casa mia, ma qui ci sono più cose interessanti da guardare.”
“Tipo?” chiese Vanessa, cercando di individuare qualcosa intorno a sé che potesse essere più interessante di qualche albero.
Kye indicò un punto impreciso alla loro destra e spiegò: “Là dietro c’è un’installazione di un artista di Omaville piuttosto famoso. Ci sono cinque statue di marmo realizzate in perfetto stile classico, ma ogni volta che passo cambiano forma.”
“Come?”
“Quando l’artista passa, modifica la forma che ha dato al marmo per cambiare la loro posizione. E poi ha lasciato una spiegazione su come fare in un cartello poco distante, quindi se qualche passante ha la pazienza di provarci, può modificare a sua volta qualcosa. Hanno provato a toglierle qualche mese fa quando un ragazzo particolarmente bravo le ha messe in posizioni… provocatorie, ma alla fine sono tornate al loro posto. Mi piace passare e vedere che forma gli danno le persone. Mi piace che non siano solo opere d’arte da guardare, ma tele su cui ognuno può continuare a disegnare.”
Vanessa ascoltò quel racconto rapita e continuò a guardare gli angoli bui e solo apparentemente vuoti che Kye indicava, nei quali si nascondevano storie straordinarie che riusciva a malapena a immaginare.
“È tutto così… magico” disse, quando Kye smise di raccontare l’ennesimo aneddoto.
Kye le sorrise e le strinse la mano. “Omaville fa questo effetto ai nuovi arrivati.”
“Solo ai nuovi arrivati?”
“Superata la sorpresa iniziale, anche la magia comincia a sembrare qualcosa di ordinario. Più passa il tempo, più mi convinco che tutto diventa banale se lo guardi troppo a lungo.”
“Ma le cose cambiano. Noi cambiamo. Anche se le guardi a lungo, le cose non sono mai le stesse. Tu non sei mai la stessa. Siamo come quelle statue, plasmate da chi di circonda, capaci di modificarci anche rimanendo sempre noi stesse. Non è anche questa la magia? Creare qualcosa dove prima non c’era niente? Trasformare ciò che vediamo in qualcosa di sempre nuovo?”
Kye non incrociò il suo sguardo e per un attimo Vanessa pensò di aver detto qualcosa di sbagliato. Invece la ragazza sembrò riscuotersi quando disse con un mezzo sorriso: “Non pensavo che ti affascinasse così tanto la magia. Fino a una settimana fa eri pronta ad addormentare i tuoi poteri.”
“Non ho mai detto di volervi addormentare. Ho detto che ci stavo pensando. Sono due cose diverse.”
“Davvero?”
“Certo. Fino a due mesi fa non sapevo nulla di questi poteri. Non sapevo nemmeno che esistesse una città come Omaville. E quando sono arrivata qui, dopo quello che è successo…” Vanessa si interruppe e per un attimo desiderò raccontare tutto a Kye. Liberarsi di quel peso prima che la soffocasse. Invece disse: “Quando Mr. Harrison mi ha detto che avevo la possibilità di farli sparire mi sono sentita… forte. Come se avessi in mano la possibilità di scegliere della mia vita. Per questo non ho scartato l’opzione, né intendo farlo per il momento. Ma non perché io odi la magia, né chi ce l’ha.”
Kye si fermò e la guardò con stupore. “Pensi che sia questa la ragione per cui mi sono arrabbiata il primo giorno? Perché credo che tu odi la magia?”
Vanessa, presa in contropiede, distolse lo sguardo e scrollò le spalle prima di sussurrare: “Mi sembrava la cosa più ragionevole. Una sconosciuta arriva a Omaville e la prima cosa che ti dice è che vuole liberarsi di ciò che rende… speciale questa città. Avevi tutte le ragioni per arrabbiarti.”
“Vanessa, guardami un secondo” rispose Kye, poi quando Vanessa incrociò il suo sguardo continuò: “Non ero arrabbiata con te, mi hai solo presa alla sprovvista. La scelta di addormentare i propri poteri è un tema che… mi tocca personalmente.”
“Perché?”
“Perché” cominciò, poi sembrò esitare e si passò una mano tra i capelli neri nervosa. Vanessa soffocò la protesta quando Kye le lasciò le mani e incrociò le braccia, ma dimenticò tutto quando la ragazza disse: “Perché è una scelta che avevamo fatto anche io e Cassandra.”
Calò il silenzio. Vanessa sentì in lontananza le voci dei genitori che urlavano ai bambini che era ora di andare via. Sentì indistinto il suo degli uccelli che risuonava tra gli alberi intorno a loro. Ma ogni suono era mischiato nella sua mente con le parole che Kye aveva appena pronunciato.
“Tu… volevi addormentare i tuoi poteri?”
Kye annuì. “Io e Cassandra avevamo deciso di farlo il giorno del suo dodicesimo compleanno. Non ricordo neanche cosa fosse successo, ma avevamo scritto sul nostro diario un contratto dicendo che entro i diciotto anni ci saremmo liberate dei nostri poteri.”
“Anche lei era un’elementista?”
“Sì, ma molto più brava di me. All’epoca io era a malapena in grado di accendere un fiammifero, mentre Cassandra poteva creare fuochi a suo piacimento senza il minimo sforzo. È lei che mi ha regalato il primo accendi scintille” disse, guardando il gioiello che potava alla mano. Vanessa lo aveva visto il primo giorno davanti all’ufficio di Mr. Harrison, ma aveva presto dimenticato la sua presenza. D’altronde, tutte le volte che Kye le aveva preso la mano, aveva sempre utilizzato la sinistra.
“È un oggetto magico?”
“No, ma è utile per chi controlla il fuoco. L’anello è diviso in due parti, quella esterna è collegata alla catenella, quella interna è seghettata e può roteare. Se fatto nel modo giusto, l’anello seghettato a contatto con la catenella genera una scintilla che posso usare per creare un fuoco. Da anni so creare una fiamma dal nulla, ma è sempre comodo avere una scintilla iniziale” spiegò Kye e Vanessa si avvicinò per osservare il gioiello. Aveva sempre creduto che fosse un semplice accessorio, non aveva mai considerato che potesse essere utile a qualcosa.
“Mi fai vedere?” chiese prima di potersi fermare.
Kye annuì e spostò la mano di lato per evitare che fosse troppo vicina ai loro corpi. Il suo pollice sparì sotto il palmo e, prima che Vanessa potesse processare davvero l’apparizione di una scintilla, una fiamma apparve sul dorso della mano di Kye. Così come era apparso, il fuoco si spostò fino ad appoggiarsi sul palmo della ragazza e poi sparì quando chiuse le dita su di esso.
Vanessa avrebbe voluto chiederle di rifarlo, ma si trattenne quando vide l’espressione di Kye, che stava serrando le labbra con tale violenza da renderle bianche.
“Che cosa è successo, Kye?”
Kye la guardò come se avesse dimenticato che era lì. Poi si rabbuiò e tornò a guardare un punto indefinito davanti a sé. “Cassandra è diventata la più brava. Tutti i professori continuavano a ripetere di non aver mai visto nessuno più portato per la magia. E lei continuava a studiare, a esercitarsi con una dedizione che io non ero capace di imitare. Per anni ho pensato che…” Kye si interruppe e sul suo volto apparve un’ombra di terrore.
“Cosa hai pensato?” provò a incoraggiarla Vanessa, ma Kye scosse la testa e fece un passo indietro.
Ci volle qualche minuto prima che ricominciasse a parlare. “A sedici anni ha concluso i tre cicli, la più giovane della sua classe. E così le hanno permesso di addormentare i suoi poteri. Alcuni professori erano restii, ma lei continuava a insistere che fossero solo interessati al suo potenziale. Quando la dichiararono ufficialmente un’addormentata organizzò una festa con tanto di giochi a tema e coccarde da regalare agli invitati. Quella sera mi promisi che sarei riuscita anche io ad addormentare i miei poteri entro la fine dell’anno e per mesi mi impegnai con quell’unico obiettivo. Non uscivo più di casa se non per andare a lezione di magia, passavo le serate a fare esercizi su esercizi. Cassandra non si faceva sentire spesso, ma ero convinta che cercasse di non farmi sentire sotto pressione. E poi una sera mi è arrivata una chiamata dal suo telefono, solo che c’era lei dall’altra parte.”
“Kye” provò a dire Vanessa, ma non seppe come continuare. Voleva che continuasse a raccontare? Che si fermasse? Voleva consolarla?
Ma Kye sembrò non sentirla, immersa completamente nel suo racconto. “Cassandra non era riuscita davvero ad addormentare i suoi poteri. Nessuno sapeva dire con certezza quando fosse consapevole di questa cosa e… E alla fine sono scoppiati e l’hanno uccisa” concluse Kye, mentre la voce le si incrinava.
Prima di potersi fermare, Vanessa si protese verso la ragazza e l’abbracciò. Kye si irrigidì, poi sembrò cedere e ricambiò il gesto, stringendola fino quasi a far male.
“Mi dispiace tantissimo. Non lo sapevo.”
Kye scosse la testa, ma non disse niente. Rimasero ferme in quella posizione per un tempo indefinito, la testa di Kye appoggiata alla spalla di Vanessa, che senza sapere cosa dire continuava ad accarezzare la schiena della ragazza con delicatezza.
Una parte di lei voleva sapere di più, voleva chiedere come fosse successo, cosa fosse successo, come era possibile che avessero fatto un errore simile. Ma il respiro spezzato di Kye la fece desistere.
La sorprese la violenza con cui l’emozioni della ragazza la investirono: anche se si conoscevano da così poco, Vanessa sentiva il suo dolore come proprio, percepiva la rabbia, la sofferenza, l’impotenza come lame che attraversavano i loro corpi stretti incatenandoli uno all’altro. E sentiva, con altrettanta forza, il desiderio di avere una risposta magica – letteralmente e metaforicamente – che potesse estrarre dal corpo stretto al suo tutto il male, che potesse offrire un rifugio, un’arma per combattere un dolore che non meritava di esistere.
Vanessa sentì dentro di sé il formicolio che diventava ogni giorno più familiare, ma questa volta non si spaventò. Ms. Blois le aveva spiegato durante una delle loro lezioni che le situazioni di forte emotività potevano influenzare l’apparizione della sua magia, cosa di cui aveva avuto ulteriore conferma la sera prima.
Si concentrò nel tenerla sotto controllo, nel focalizzare la sua attenzione sul corpo di Kye invece che su quello che succedeva dentro di sé, ma si tenne pronta ad allontanarsi se quello non fosse stato sufficiente.
Alla fine, però, fu Kye a staccarsi da lei e, nonostante Vanessa potesse ancora leggere nei suoi occhi il dolore, l’espressione della ragazza tornò una maschera neutra e distante.
Anche se non aveva detto niente, Vanessa riuscì comunque a capire. “Vuoi restare un po’ da sola?” chiese con tono gentile, sperando che Kye non interpretasse la sua domanda come un desiderio di allontanarsi da lei e da quello che le aveva raccontato.
Kye sorrise dispiaciuta ma annuì. “Ti do un passaggio a casa, oppure posso riportarti a Homa se preferisci.”
“A casa va benissimo, ho bisogno di un sonno rigenerante se domani non mi voglio addormentare alla lezione di letterature comparate.”
Kye sorrise, questa volta con più allegria, e la ascoltò con attenzione mentre Vanessa riempiva il percorso fino alla motocicletta con chiacchiere leggere.
Il viaggio fu breve, ma quando si fermarono ad uno dei semafori sulla strada deserta Kye le strinse con delicatezza una mano e Vanessa ricambiò la stretta.
Eric aveva ragione, nonostante tutto quella era stata una serata decisamente migliore rispetto a quella precedente.